L'alternativa al petrolio è una sfida che da anni ha orientato la ricerca a produrre biocarburanti ed energia rinnovabile. Ma per farlo senza mettere a rischio la produzione agroalimentare è necessario sfruttare anche il più piccolo scarto vegetale. Il risultato è una fonte energetica a basso costo. E quando parliamo di scarti alimentari non andiamo molto lontani da prodotti che normalmente sono presenti sulle nostre tavole. Così, se da una parte l'olio di oliva è una delle eccellenze della dieta mediterranea, dall'altra i noccioli di olive sono un’ottima materia prima per produrre etanolo. Il metodo per trasformare gli scarti dell’industria di trasformazione delle olive (che produce una considerevole quantità di oli e olive da tavola de-nocciolate) è stato scoperto nel 2008 in Spagna dagli scienziati dell’Università di Jaén e Granada.
Il nocciolo d’oliva, prodotto nel settore dalla trasformazione nel prezioso olio d’oliva e nelle olive da tavola de-nocciolate, rappresenta circa un ¼ del totale del frutto. Esso è ricco, infatti, di polisaccaridi (cellulosa ed emicellulosa), che possono essere divisi poi in zucchero e poi fermentati per produrre etanolo. “Questa ricerca promuove quindi la possibilità di utilizzare dei noccioli di olive, che altrimenti andrebbero sprecati, nella produzione di energia ed etanolo. In questo modo siamo in grado di utilizzare al 100% l’intero raccolto degli alberi”, ha spiegato il ricercatore Sebastián Sánchez. Una soluzione che solo in Spagna può consentire di convertire in una preziosa risorsa fino a 4 milioni di tonnellate di noccioli di olive all'anno. Basti pensare che i rendimenti sono di circa 5,7 Kg di etanolo ogni 100 Kg di noccioli di olive.
A ricorrere agli scarti delle olive per produrre energia hanno pensato anche i ricercatori svedesi del Royal Institute of Technology del KTH, realizzando una tecnica in cui la conversione dei rifiuti in energia avviene in tre passaggi: 1) gli scarti dell’olio vengono immagazzinati in un biodigestore che li degrada, portando al rilascio di un biogas composto da metano, anidride carbonica e composti dello zolfo; 2) successivamente, il biogas viene convertito in anidride carbonica e idrogeno, che va ad alimentare le celle a combustibile; 3) nella terza fase, viene introdotto nella cella l'ossigeno, che mescolandosi con l’idrogeno e la CO2 genera calore ed elettricità. Le celle a combustibile vengono alimentate con i contaminanti che si trovano nell’olio d’oliva, o nell’ambiente in cui operano le celle, come il solfuro di idrogeno e l’ammoniaca. Nel corso di questo processo, le sostanze tossiche contenute negli scarti industriali dell’olio d’oliva diventano innocue (nelle olive infatti ci sono tracce di pesticidi che vengono dispersi nell’ambiente) e possono essere smaltite senza alcun rischio nelle comuni discariche.
Questo sistema sperimentale è stato adottato da un oleificio di Granada, gestito dalla Cooperativa San Isidro de Loja e produce circa 1 kW di potenza. Gli sviluppatori stanno progettando di ampliare la potenza a 200 kW, per riuscire a soddisfare il 50% del fabbisogno energetico dello stabilimento solo con gli scarti del processo di trasformazione delle olive in olio.