Incontro con la neo-ambasciatrice dell’Iraq presso la Santa Sede, per parlare delle attuali condizioni del suo Paese, recentemente investito da un’ondata di proteste represse duramente dalle milizie Asa'ib Ahl al-Haq
Lo scorso aprile si è insediata, a Roma, la nuova ambasciatrice dell'Iraq presso la Santa Sede, dottoressa Amal Mussa Al-Rubaye. Nelle proteste esplose a Baghdad da un mese a questa parte hanno infatti partecipato moltissime donne, a dimostrazione della trasversalità dei motivi che stavano alla base delle manifestazioni. L’ambasciatrice lavora in un bellissimo studio, dove trovano spazio elementi d'arte irachena e italiana, quasi a significare la vicinanza culturale tra i nostri Paesi. Su una parete è incorniciata anche una sua foto con Papa Francesco. Il nostro colloquio ha avuto, come oggetto principale, la condizione femminile in Iraq e, più in generale, nel mondo arabo.
Ambasciatrice Amal Al-Rubaye, gli italiani non hanno una visione sufficientemente chiara della situazione in Iraq, in particolar modo della condizione della donna irachena e, più in generale, nel mondo araba, legata al preconcetto della sottomissione e della negazione di diritti e possibilità concesse a quelle europee e occidentali: potrebbe aiutarci a comprendere meglio?
“Si tratta di una generalizzazione sbagliata: già 1300 anni fa, l'Islam ha riconosciuto alla donna dei diritti fondamentali. Pensiamo, per esempio, alla selezione delle nascite, quando le bambine venivano uccise appena venute al mondo in quanto femmine. L'Islam ha fermato questa strage, così come ha limitato il fenomeno della poligamia a 4 matrimoni, eliminando le unioni combinate senza il consenso della donna. Purtroppo, in alcuni villaggi questo succede ancora. Ma in linea generale, le cose sono migliorate radicalmente, grazie a una innegabile crescita culturale. Proprio come in Italia, anche in Iraq le donne partecipano attivamente alla vita politica, occupando il 25% circa dei seggi in parlamento. Hanno accesso alla magistratura e alle altre professioni. Io stessa sono un esempio di parità di genere: dopo la laurea in medicina, ho lavorato per 21 anni nelle province irachene, partecipando, contemporaneamente e attivamente, alla vita politica del mio Paese. Ho ricoperto diversi ruoli e sono stata la prima a Ambasciatrice a presentare la lettera di accreditamento per rappresentare l'Iraq in Malesia. L'Islam e le tradizioni dei Paesi arabi rivolgono molta attenzione alla donna, avendone cura e sostegno. Basti pensare alla figura della madre, che a livello familiare riveste una grande importanza, anche maggiore di quella del padre. Le donne sono fondamentali nella ricostruzione dell'Iraq, soprattutto nei territori che hanno subito l'occupazione dell'Isis e che, ora, necessitano di interventi a livello economico, culturale e umanitario, visti i danni subiti”.
Nadia Murad, premio Nobel per la Pace 2018, ha raccontato la sua vicenda: quali sono, a suo avviso, le strategie utili per gestire la situazione delle donne rese schiave dall’Isis?
“Nadia Murad è indubbiamente una donna che ha avuto il coraggio di scappare dalla ‘casa-carcere’ di Mosul, nella quale era rinchiusa e sottoposta a sevizie e violenze. E la forza di raccontare al mondo cosa è accaduto, a lei e alle tante altre donne rese schiave dall'Isis. Quando una donna è vittima di violenze di questo tipo, possono scattare due reazioni: o si tace, come fanno in molte, per paura o per vergogna; oppure, si reagisce, come ha fatto Nadia. Purtroppo, il silenzio non è quasi mai la scelta migliore, poiché viene interpretato come una resa e non fa che alimentare ulteriore violenza. Nadia, quindi, è un esempio di resilienza e resistenza. A seguito delle violenze e delle uccisioni subite, moltissimi bambini sono rimasti orfani e tante donne hanno avuto gravidanze a seguito degli stupri dei miliziani. Tutto questo non può che considerarsi un'emergenza umanitaria, alla quale va cercata una soluzione in tempi brevi”.
Quali sono state le sue impressioni sull'Italia, dopo la sua nomina ad ambasciatrice presso la Santa Sede?
“Mi sono insediata lo scorso aprile e la prima impressione che ho avuto dell'Italia è stata quella di un bellissimo Paese, sia dal punto di vista paesaggistico, sia culturale. Come l'Iraq, anche l'Italia possiede interessanti siti archeologici, e le reciproche contaminazioni culturali sono diverse. Mi riferisco in particolare alla Mesopotamia e ciò che ha significato a livello storico e artistico. Purtroppo, alcuni nostri importanti reperti sono stati danneggiati o distrutti dall'Isis, rendendo quanto mai necessaria la ricostruzione, che stiamo avviando. E' stato veramente molto doloroso assistere allo scempio di tanta inestimabile bellezza. Gli italiani si sono dimostrati un popolo socievole e generoso, inclusivo nei confronti della comunità irachena e dotato di caratteristiche comuni all'Oriente, quali l'ospitalità, l'accoglienza, la disponibilità verso lo straniero e l'empatia”.
Cosa vorrebbe dire ai nostri lettori?
“Ringrazio per l'opportunità che mi è stata concessa e invito i lettori ad approfondire la Storia e la cultura araba e irachena: potranno scoprire interessanti e inaspettati punti in comune con l'Italia”.
QUI SOPRA: STEFANIA CATALLO INTERVISTA L'AMBASCIATRICE DELL'IRAQ PRESSO LA SANTA SEDE
AL CENTRO: DONNA ARABA DI SPALLE COSTRETTA A FUGGIRE DAL PROPRIO PAESE
IN ALTO A DESTRA: LA DIPLOMATICA AMAL AL-RUBAYE DURANTE UN INCONTRO DI STATO
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