La tensione diplomatica tra Italia e India, a seguito all’arresto dei due marò italiani accusati di aver ucciso due pescatori indiani scambiandoli per pirati, rischia di creare un precedente nel diritto internazionale. Nonostante la visita del ministro Terzi e la mobilitazione dell’Ue, la situazione è ancora in fase di stallo. L’esito delle elezioni nel Kerala potrebbe risolvere la crisi, ma non placare le polemiche sulla nostra politica estera. È passato circa un mese da quando Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, a bordo della petroliera italiana ‘Enrica Lexie’, sono stati trattenuti dalle autorità indiane con l’accusa di omicidio. La presenza degli ufficiali sull’imbarcazione rientra negli accordi militari di tutto il mondo. Il punto di divergenza tra Roma e Nuova Delhi riguarda dunque la posizione internazionali in materia di lotta alla pirateria, annosa piaga che vede impiegate le marine della petroliera: a detta delle autorità italiane, l’episodio del 15 febbraio è accaduto in acque internazionali, quindi di competenza della giurisdizione italiana; l’India, viceversa, sostiene il contrario, ribadendo la presenza nel mare dello Stato del Kerala. La situazione di stallo ha perfino indotto il premier Monti a telefona
re a
l primo ministro indiano Manmohan Singh, senza ottenere risultati rilevanti. Fin qui l’evoluzione della vicenda. Tuttavia, ai fini di una maggior comprensione della vicenda bisogna contestualizzare il momento politico che l’India sta vivendo sin dai primi giorni di marzo, con il rinnovo dei parlamenti in cinque Stati. I risultati sono stati negativi per il National Congress, Partito di Sonia Gandhi, attualmente al potere in India, la quale ha perso voti e credibilità. Galoppando l’istinto anticoloniale, che ancora vive tra gli indiani e giocando abilmente sull’italianità della Gandhi - non a caso i ‘cattivi’ soldati che hanno sparato ai pescatori sono della stessa nazionalità - i media locali stanno alimentando un sentimento ‘nazionalistico’ che suscita rabbia e indignazione, oltre a favorire i principali Partiti di opposizione. Ciò ha indotto le autorità indiane a un’eccessiva ‘fiscalità’ nel difendere gli ‘interessi nazionali’. Il caso ha voluto che dal 17 marzo nel Kerala si sia tenuta una tornata elettorale per eleggere un nuovo parlamentare, dopo la morte di un membro della coalizione di Chandy, primo ministro locale. Il Partito comunista indiano, molto influente nello Stato seppur all’opposizione, sperava di poter conquistare il sostegno dei pescatori ‘indignati’ e tornare al potere, vista la maggioranza risicata dell’attuale esecutivo. Aspettativa disattesa con la vittoria del candidato della maggioranza, Anup Jacob. Il sottosegretario agli Esteri italiano Staffan de Mistura, presente in India fin dai primi giorni dopo l’incidente, non ha mai celato la correlazione tra la liberazione degli ufficiali italiani e l’esito di questa consultazione. Ora la tensione si dovrebbe allentare e l’opinione pubblica ha tutto il tempo di dimenticare l’accaduto. L’episodio della ‘Enrica Lexie’ precede di qualche settimana il blitz britannico avvenuto in Nigeria, con il tentativo, poi fallito, di liberare un ostaggio britannico e il nostro Franco Lamolinara, uccisi dai sequestratori durante il lungo conflitto a fuoco. La polemica tra Londra e Roma è nata dalla mancata comunicazione al Governo italiano dell’operazione militare, se non quando essa era già in corso. La concatenazione dei due eventi ha fatto finire nuovamente sugli ‘scudi’ il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Santagata, accusato di scarsa incisività politica nella gestione di ambedue le vicende internazionali. È facile mettere puntare il dito sull’attuale diplomazia italiana, guidata da un ‘tecnico’ di lungo corso con maggiore esperienza rispetto ai predecessori ‘politici’ messi a capo della Farnesina. È necessario, invece, fare un esame di coscienza collettivo andando indietro negli anni, anzi nei decenni, per esaminare l’atteggiamento, spesso ambiguo, dell’Italia nelle controversie internazionali. Ultima in ordine di tempo è stata proprio la crisi in Libia, dove l’Italia ha partecipato a un conflitto - anche se la Costituzione ci impone di chiamarlo ‘intervento umanitario’, creando non pochi equivoci - contro quel Gheddafi con cui era stato raggiunto un ‘accordo di amicizia’ e al quale non erano stati negati imbarazzanti ‘baciamano’. La politica estera italiana dovrebbe ritornare - ammesso che lo sia mai stata - ai livelli che più le competono, vista la posizione ‘geostrategica’ e il ruolo di media potenza del Mediterraneo che spesso si tende a ignorare.