Dai due summit dei potenti della terra, riunitisi la scorsa settimana, sono arrivate importanti decisioni in ambito economico e geopolitico. Le parole più gettonate sono state ‘crescita’ e ‘lavoro’. Due momenti di confronto che condizioneranno il futuro europeo e i rapporti di forza con gli Stati Uniti. I prossimi mesi saranno la cartina di tornasole di una nuova edizione del ‘new deal’ nell’affrontare la crisi economica.
Mentre i media italiani concentravano, giustamente, la loro attenzione sull’attentato terroristico avvenuto alla scuola ‘Morbillo Falcone’ di Brindisi e sul sisma che ha colpito l’Emilia, dall’altra sponda dell’oceano si è svolto un importante G8 e, in successione, la riunione della Nato. Dai due summit dei potenti della terra sono arrivate importanti decisioni in ambito economico e geopolitico: in un clima che Obama ha voluto intenzionalmente rendere pseudoinformale - niente cravatte per i leader, tra gli scorci bucolici dell’immensa tenuta di Camp David - le parole più gettonate sono state ‘crescita’ e ‘lavoro’. Dopo i rigorismi esasperati che hanno segnato, sin qui, la politica economica della Merkel e la fine dell’asse franco-tedesco, i grandi del Vecchio continente sono stati i protagonisti assoluti del vertice. Gli elementi del cambiamento c’erano tutti: il nuovo presidente francese Hollande che, nonostante qualche ‘gaffe’ di troppo, dovuta all’inesperienza in ambito internazionale, aveva in tasca il programma sulla crescita economica dell’Europa; la cancelliera tedesca azzoppata dalla recente sconfitta nel Nord Reno-Westfalia e con una comprensibile paura di essere messa al ‘palo’ a causa della sua ostentata austerità; infine, il nostro premier, Mario Monti, che forte della nuova credibilità dell’Italia ha tentato una difficile mediazione tra Parigi e Berlino, nel tentativo di rilanciare l’economia europea. Chi ha accolto con gioia gli intenti di creare un nuovo ‘corso economico’ volto alla crescita economica è stato proprio Barack Obama, timoroso per un crollo dell’Euro dovuto alla possibile fuoriuscita della Grecia dalla moneta unica, che si ripercuoterebbe immediatamente sull’affannosa ripresa degli Usa. Con un presidente in piena campagna elettorale, gli incoraggiamenti per un cambio di rotta a Bruxelles non hanno assunto soltanto un valore retorico, ma è sembrata quasi una supplica, per sperare di prolungare la sua permanenza alla Casa Bianca. I mercati hanno reagito bene, nei giorni immediatamente successivi, con le principali piazze borsistiche in aumento, mentre sono andate in profondo rosso nel corso della settimana, in attesa di fatti concreti. I prossimi mesi saranno la cartina di tornasole di questa nuova edizione del ‘new deal’ nell’affrontare la crisi economica. Quasi tutti i protagonisti del G8, poi, nei due giorni seguenti hanno preso parte a un’importante riunione della Nato, che doveva tracciare le nuove strategie in Afghanistan e la politica difensiva dei Paesi membri, riuniti a Chicago alla presenza del segretario generale, Anders Rasmussen. Riguardo al primo obiettivo da definire, il progressivo ritiro del contingente Isaf entro la fine del 2014, si è subito distinta la posizione della Francia guidata da Hollande, il quale ha già annunciato che ritirerà le sue truppe dal territorio afghano prima del termine fissato dall’alleanza atlantica. Nodo non del tutto sciolto, invece, è quello relativo al raffreddamento delle relazioni diplomatiche tra Usa e Pakistan, avvenuto dopo l’uccisione di soldati pakistani in seguito ai continui attacchi dei droni americani, cioè gli aerei militari senza pilota. Pesa ancora, seppur non ufficialmente dichiarato, il fatto che Osama Bin Laden ha trovato rifugio per anni in Pakistan prima di essere ucciso da un blitz delle forze militari americane. Gli Stati Uniti, d’altro canto, necessitano dell’appoggio logistico pakistano, nei prossimi mesi, per concludere il ciclo di occupazione in Afghanistan, apertosi nel 2001. Sul fronte geopolitico, era immaginabile la creazione di uno scudo missilistico in funzione ‘anti-russa’ e un occhio particolare verso l’Iran, nemico ‘nascente’ dell’occidente da taluni considerato il nuovo possibile fronte di guerra degli Stati Uniti. Il secondo punto dovrebbe risolversi con il piazzamento di navi antimissile Aegis nei mari che contornano la Repubblica islamica. Ciò che colpisce è l’atteggiamento di Obama, che ha portato la questione iraniana all’interno della Nato, anziché relegarla a fatto nazionale da sbrigare al Pentagono. Alcuni analisti scorgono nella decisione di creare uno scudo antimissile come il tentativo degli Usa di svincolare il continente europeo dall’eccessiva dipendenza energetica verso l’ex Urss e di non lasciare l’est europeo sotto l’influenza sempre più tangibile e aggressiva di Putin. Non a caso, i missili già installati in Polonia e Romania testimoniano il timore che Mosca possa ridiventare una superpotenza, forte del suo peso nel mercato energetico di fronte a un’Europa sull’orlo dell’implosione. In conclusione, il G8 e il vertice Nato hanno toccato temi implicitamente legati tra loro i quali, seppur su versanti opposti, condizioneranno il futuro europeo e i rapporti di forza con gli Stati Uniti.