Certezza delle regole, integrità dei sistemi politici e maggiori responsabilità in proprio, ma anche una chiara identificazione degli interessi nazionali, di pari passo con una politica che sappia interpretarli e difenderli: questo il compito che attende la Ue per gli anni a venire
L’impegno deve essere innanzitutto politico, orientato alla salvaguardia dei rapporti multilaterali. Ma anche inteso come maggior sforzo per avvicinarsi alle reali esigenze dei cittadini e alle loro attese, che non sono di natura esclusivamente economica: bisogna riconquistare la fiducia degli europei e, per farlo, occorre dare chiari segnali di unione, quindi di unità nelle priorità da perseguire: stabilità, pace e sicurezza in primis. Per farlo, è indispensabile che ognuno degli Stati membri garantisca una politica inclusiva, in grado di identificare i bisogni nazionali, nel rispetto delle regole dell’Unione. È quanto ci ha spiegato l’Ambasciatore Giampiero Massolo, presidente dell’Ispi (Istituto di studi politici internazionali), a margine della decima conferenza Maeci-Banca d’Italia, svoltasi presso la nostra sede diplomatica, dalla quale è emersa la necessità di ridisegnare le priorità e i paradigmi di crescita finora perseguiti dall’Europa. Un ‘punto’ sulla situazione reso necessario dal cambiamento dello scacchiere internazionale in merito alle relazioni e alle alleanze politico-economiche, innescate soprattutto dalla politica protezionistica di Donald Trump, che molto probabilmente andrà a favorire i rapporti bilaterali rispetto al multilateralismo e che ridurrà drasticamente i processi di globalizzazione a favore di quelli di deglobalizzazione. La Ue deve duqnue sapere sin d'ora come dovrà reagire a tutto questo. La ricorrenza del sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma è stato sicuramente il momento per discuterne: ma cosa significa deglobalizzazione? Ed è necessaria? Abbiamo cercato di saperne di più.
Ambasciatore Massolo, in questi giorni si è fatto più volte riferimento alla deglobalizzazione: in cosa consiste?
“La globalizzazione ha portato moltissimo progresso, per moltissime persone. Si calcola abbia tolto dalla povertà almeno un miliardo di individui e ha promosso sviluppo in moltissimi Paesi. Detto questo, il processo ha indubbiamente avuto anche delle ripercussioni negative. Non per questo la globalizzazione va frenata: il rischio che corriamo oggi è che effettivamente vi sia la possibilità di rendere la globalizzazione un po’ più contenuta, di regionalizzarla”.
Secondo lei è necessaria? E cosa comporta?
“Io non credo sia un bene, ma credo anche che le forze profonde che operano nel mondo, le forze dei fenomeni della realtà stessa, s’imporranno. Tuttavia, dobbiamo operare tutti, dal punto di vista politico, per salvaguardare quelle che sono, come ha affermato anche il vicepresidente dell'Istituto Affari Internazionali, Fabrizio Saccomanni, i reali processi multilaterali mondiali e l’organizzazione mondiale del commercio”.
Il 60° anniversario dei Trattati di Roma si è svolto in uno scenario politico internazionale complesso: le misure protezionistiche della politica di Trump, così come la Brexit, cosa impongono all’Europa? Un piano di tassazione comune potrebbe continuare a garantire stabilità e crescita economica?
“Credo che l’Europa debba sollecitamente dare risposte alle attese delle persone. E si tratta di aspettative sia dal punto di vista della sicurezza, sia su quello della crescita. Su questo secondo aspetto, in modo particolare, credo che la ricetta non possa che esser quella degli investimenti infrastrutturali europei, più ampi e finanziati in base al valore del bilancio europeo. Vedremo se sarà così”.
In che modo si riconquista la fiducia dei cittadini?
“Dando dei segnali concreti in termini di crescita, sviluppo e sicurezza”.
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