L’impegno della Farnesina per la creazione di un miracolo diplomatico è la sola e unica ‘carta’ in mano al Governo Conte per la stabilizzazione della Libia
La Libia è un Paese fondamentale nel bacino del Mediterraneo. Quando l’Italietta liberale ne prese possesso nel 1912, con la speranza di trovare una valvola di sfogo per l’emigrazione italiana, della Libia se ne sapeva molto poco. Giovanni Giolitti in persona, solo dopo qualche mese si rese conto che la colonizzazione italiana sarebbe stata assai difficile, poiché a parte la zona costiera, si trattava, sostanzialmente, di “uno scatolone di sabbia”. Lo stesso Mussolini non fu mai consapevole che si trattava di un deserto che galleggiava, praticamente, sopra a un giacimento petrolifero ricchissimo. E tutti i rischi che Hitler dovette assumersi nel tentativo di occupare i pozzi petroliferi del Caucaso sarebbe divenuti assai meno rilevanti, strategicamente, con un alleato così ricco di petrolio come l’Italia. La vittoria dell’asse si trovava esattamente sotto ai piedi delle armate italo-tedesche sconfitte a El Alamein, ma nessuno se ne accorse. Oggi, la Libia è il nostro bacino petrolifero privilegiato. L’Eni ha da tempo addestrato, sin dagli anni ’60 del secolo scorso, moltissimi operai specializzati, grazie ai quali ha potuto mantenere rapporti amichevoli. Successivamente, ha continuato a mantenere tali rapporti, garantendo i nostri interessi nazionali, ma anche quelli privati di molte aziende recatesi nel deserto libico per costruire oleodotti e impianti di raffinazione del petrolio (come la vecchia Montubi spa, per esempio). Dopo la fine del regime di Gheddafi, il Paese si è ritrovato nel caos. La Francia pensava di penetrare agilmente con le sue aziende estrattive e petrolifere, ma non si è mai resa conto delle difficoltà insite nella fase di transizione che si sarebbe aperta dopo una dittatura durata così a lungo. Ciò in quanto la Libia ‘propriamente detta’ non è mai esistita: essa è sempre stata divisa tra Cirenaica, Tripolitania e Fezzan. Inoltre, come in molti Paesi dell’area nord-sahariana e maghrebina (Algeria, Marocco e Tunisia), una netta divisione tra forze laiche e musulmane complica ulteriormente le cose. Le diverse visioni in seno all’Unione europea, in particolare tra l’Italia e la Francia, hanno finito per far saltare inequivocabilmente i difficili equilibri ricercati e ottenuti, temporaneamente, dalle Nazioni Unite. Tuttavia, le accuse rivolte dall’attuale ministro degli Interni, Matteo Salvini, nei confronti della Francia sono solo parzialmente giustificate: Parigi, ogni tanto si ricorda di esser stata una potenza coloniale e ha dei sussulti di nostalgia che la portano a commettere errori madornali, ingerendosi in situazioni estremamente delicate. Ma ciò lo sappiamo sin dai tempi di Sarkozy, che fu colui il quale commise l’errore originario, decidendo ‘a tavolino’ la destituzione di Gheddafi. Gli errori di oggi della Francia di Macron sono conseguenti a quelli, assai più gravi, del 2011, poiché il governo di Parigi sta cercando di plasmare a proprio vantaggio almeno una parte del Paese, finendo col favorire l'antica divisione tra Cirenaica e Tripolitania. Il commercio delle armi basta e avanza nel generare tutto il resto, rendendo potenzialmente esplosiva la situazione. Anche a causa di ciò, diviene assai difficile gestire i flussi migratori che s’imbarcano sulla costa, poiché i continui disordini rendono impossibile una selezione ‘a monte’ sulla base di criteri qualitativi e umanitari. L’Onu e l’Italia stanno ora puntando tutte le loro ‘carte’ su una conferenza internazionale, che si dovrebbe tenere a novembre, probabilmente in Sicilia, alla quale dovrebbero seguire le elezioni politiche. Ma non lasciamoci ingannare: la conferenza in questione dovrebbe successivamente confluire in un’altra, totalmente libica, in cui in cui Al Sarraj e il generale Haftar dovrebbero riuscire a trovare un difficilissimo accordo di equilibrio, stabilendo regole comuni e la data delle nuove elezioni, come stipulato dagli accordi di Tunisi del 4 dicembre 2017, a cui la Francia non solo ha aderito, ma di cui si era addirittura posta come potenza promotrice, al fine di garantire il rispetto del diritto internazionale. In tutta questa confusione, infine, dovrebbe inserirsi il nuovo ‘asse geo-strategico’ che non è più quello tra Italia e Onu, bensì tra New York e Roma, ovvero fra Donald Trump e il nuovo governo ‘sovranista’ guidato da Giuseppe Conte, per la creazione di una ‘cabina di regia’ italo-statunitense nel Mediterraneo. Un’idea che non solo fa a ‘cazzotti’ con tutto quel che si era già stablito nei mesi scorsi, ma che vede l’Italia nell’impossibilità di poter svolgere un ruolo di stabilizzazione concreta, poiché la nostra Costituzione, all’articolo 11, vieta ogni intervento militare, anche a titolo temporaneo. Un intervento che risulterebbe, oltremodo, costoso sotto il profilo economico-finanziario. E’ proprio la ‘gabbia sovranista’, in verità, ciò che rischia di limitare, nel medio-lungo periodo, ogni influenza italiana. Soprattutto, se il generale Haftar dovesse decidere, nei prossimi mesi, di risolvere ogni cosa a modo suo, lanciandosi in un ‘colpo di mano’ con le armi francesi. La questione della Libia, insomma, dimostra come il punto di vista del Governo italiano, in particolar modo quello cosiddetto ‘sovranista’, risulti spesso corretto negli atteggiamenti momentanei, ma privo di lungimiranza. A meno che la Farnesina non riesca a confezionare un vero e proprio ‘miracolo diplomatico’, il quale finirebbe, in ogni caso, col rafforzare l’ala ‘quirinalizia’ dell’attuale esecutivo, relegando la coalizione ‘giallo-verde’ nella consueta dimensione ‘chiacchierona’ e propagandistica dell’estate appena conclusasi. Un’eventualità efficace sul piano dei consensi interni, ma totalmente disastroso su quello internazionale. E, soprattutto, in termini di prospettiva.
NELLA FOTO: IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI, ENZO MOAVERO MILANESI
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