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19 Aprile 2024

Una cimice minaccia il Venezuela

di Roberta Valeriani
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Una cimice minaccia il Venezuela

Sei milioni di persone rischiano la vita a causa del Panstrongylus geniculatus ed è psicosi a Caracas. Il contagio arriva dal chipos, un insetto che a causa delle cattive condizioni igieniche del territorio oggi attacca anche l'uomo

Non bastava che Caracas fosse la città più insicura del Sud America e la quarta di tutto il pianeta - dopo Ciudad Juarez, Kandahar e San Pedro Sula, in Honduras - che la sua industria del sequestro scoppiasse di salute più della cantera del Barcellona e che il suo tasso di omicidi viaggiasse a medie da narcomattanza messicana. Adesso la capitale del Venezuela deve difendersi da un nuovo incubo, una quinta columna contrarrevolucionaria, urlerebbe Chavez, che mette a rischio la vita di sei milioni di venezuelani. Si tratta del Panstrongylus geniculatus, una cimice triatomina di appena tre centimetri, vettore di un parassitosi terribile, la tripanosomiasi americana, conosciuta anche come morbo di Chagas o Enfermedad de la pobreza. I caraqueños chiamano questa cimice, chipo, e secondo l’Instituto di Medicina Tropical dell’Università di Caracas infesta tutta la capitale, soprattutto le urbanizzazioni più verdi. Ogni giorno all’Instituto c’è una lunga coda di caraqueños, ognuno con la cimice che ha catturato nella sua scatolina. “La psicosi è tale - riferisce un medico - che spesso ci portano da analizzare scarafaggi, grilli, scarabei. Servirebbero campagne di prevenzione più efficaci, perché c'è ancora troppa ignoranza”. Rafael Orihuela, ministro della Sanità prima dell’avvento di Chavez e medico tropicale di fama internazionale, spiega che: “Il rischio di essere contagiati da questo insetto é aumentato considerevolmente. Abbiamo invaso l’habitat del chipo con un’urbanizzazione selvaggia. Abbiamo trasformato le colline di Caracas in un ecomostro, un intrico di bindonvilles di lamiera e cartone, senza l’ombra dei servizi più elementari, senza reti fognarie, in cui la gente sopravvive in una promiscuità pestilenziale. Propagarsi in questi barrios, per il morbo di Chagas é un invito a nozze”. Sfrattato dal suo habitat, il chipo ha cambiato abitudini. Un tempo le sue vittime erano soprattutto gli opussum. Adesso attacca anche l’uomo. Allarmante se si considera che l’ottanta per cento dei Panstrongylus che infestano Caracas sono infetti. un’altra ragione che ha spinto il chipo ad aggredire l’uomo - secondo Matías Reyes, responsabile dell’area di entomologia dell’Instituto de Medicina Tropical - è la mancanza di fonti di alimento. È una cimice che ha sempre vissuto succhiando il sangue degli opossum e di altri animali, come pipistrelli e armadilli. Oggi questa fauna é a rischio d’estinzione perché gli incendi e l’edilizia selvaggia hanno fatto tabula rasa dei boschi in cui viveva. Così il chipo é diventato un parassita metropolitano. Ha imparato a usare la città. A infestare le case, i grattacieli, l’uomo, i suoi animali domestici, i barrios più poveri ma anche i quartieri residenziali come El Cafetal, El Hatillo, Prados del Este e las Mercedes. E sopratutto, l'area intorno al Parco Nazionale El Avila”. Il professor Pedro Navarro, titolare della cattedra di Medicina Tropicale presso l’UCV di Caracas, non si preoccupa tanto delle punture quanto degli alimenti che le cimici contaminano con le loro feci. I casi di morbo di Chagas registrati a Chacao nel 2007, a Chichiriviche nel 2009 e a Antímano nel 2010 sono stati trasmessi così - il morbo è più devastante quando si propaga per via orale; secondo gli studiosi è come se la vittima fosse punta da migliaia di chipos, contemporaneamente. Ma c’é un'altro causa che ha spinto il chipo a cambiare le sue abitudini: l’illuminazione dei quartieri. In passato la loro luce era gialla, ora si è passati al bianco e il bianco attrae i chipos, come il miele le formiche. “No alle luci troppe intense - suggerisce Matías Reyes - sempre meglio graduarle con un dimmer. E molta attenzione all’immondizia. Se l’immondizia non viene raccolta arrivano i topi e coi topi i chipos”.


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