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24 Novembre 2024

Maggioranze ‘arcane’

di Vittorio Lussana
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Maggioranze ‘arcane’

Variare le maggioranze parlamentari in base a convergenze d’intenti su problemi circoscritti, anziché attorno a programmi di lungo termine, è la definizione classica del trasformismo. E appare quanto mai strano che nessuno, in queste settimane di annose trattative, si sia ricordato di tale pratica parlamentare, divenuta arcana. Probabilmente, tale mancata rimembranza deriva da una connotazione dispregiativa che questo termine ha assunto, cioè quella di una pratica politica ideologicamente incoerente, dettata al solo scopo di mantenere il potere o di rafforzare il proprio schieramento politico. Oppure, alla consuetudine di evitare il confronto parlamentare per ricorrere a congiure e sotterfugi. Tuttavia, il trasformismo praticato nell’Italia della fine del XIX secolo non era affatto il frutto di trattative tra ‘lobbies’ di potere: i cardini delle maggioranze che di volta in volta si costituivano erano imperniate su singole personalità che, manovrando il costituirsi delle varie combinazioni di voto, davano prova di avere a cuore un saldo principio di stabilità politica. In genere, questo modello di ingegneria parlamentare viene associato al nome di Agostino De Pretis, il primo esponente dell’antica sinistra storica a essere chiamato alla carica di presidente del Consiglio dei ministri. Ma le cose non stanno così: anche i lunghi anni dei ‘cicli’ politici ‘crispino’ e ‘giolittiano’ possono essere considerati frutto di accordi nel merito di singoli provvedimenti caratterizzati da maggioranze quasi sempre diverse. Il trasformismo trova un suo primissimo precedente ai tempi della rivoluzione francese, nel cosiddetto gruppo della ‘Pianura’, una serie di forze del centro moderato della Convenzione, così come allora era definita l’assemblea nazionale francese. La ‘Palude’, come venne successivamente denominata, emerse con le elezioni francesi del 1792, le quali ridisegnarono la geografia politica della nuova assemblea. Benché divisa in numerose correnti e fazioni, essa rappresentava il ‘polo’ quantitativamente più numeroso, benché il più eterogeneo e fluido rispetto alla sinistra ‘montagnarda’ o all’ala destra dei ‘girondini’. Queste due parti estreme dell’assemblea nazionale non potevano prescindere dal fornire appoggio ai moderati della ‘Palude’. E fu proprio grazie a questo gruppo che, nel 1793, la sinistra poté trionfare sui ‘girondini’, portando all'istituzione del Comitato di salute pubblica e alla famosa stagione del ‘Terrore’. In seguito, la ‘Palude’ divenne essa stessa la reale vincitrice dell’intera fase post rivoluzionaria, con la presa del potere da parte dei ‘Termidoriani’. La ‘Palude’ si era mostrata, a tutti gli effetti, l’ago di ogni equilibrio politico, eliminando dapprima la destra, poi appoggiando la sinistra, ma sempre esercitando una ferma influenza sui poteri dell'assemblea. Tornando all’Italia e ad Agostino De Pretis, questi riuscì a organizzare le propria politica parlamentare in modo da contemperare e, al contempo, includere il diffuso malcontento popolare nei confronti della destra, le diffuse nostalgie borboniche dell'elettorato meridionale e le diverse componenti dei ceti più produttivi del Paese. La sua politica si sforzò di inserire elementi quanto mai vicini alla propria visione di moderatismo, a prescindere dall'appartenenza o meno a uno schieramento alleato oppure d’opposizione. Le sue principali esigenze si conciliavano con il desiderio di una parte della destra storica di tornare a ricoprire incarichi di potere. Esemplare fu, in tal senso, il progressivo distaccarsi di esponenti politici che cercavano posizioni di prestigio nel Governo, come per esempio Cesare Correnti o lo stesso Marco Minghetti, un vecchio ‘cavouriano’ che, a un certo punto, decise di allinearsi alla nuova maggioranza formatasi in parlamento. In ogni caso, grazie a questo ‘schema’ delle maggioranze ‘variabili’ furono varate una serie di riforme importanti, tra cui un primo sensibile allargamento del diritto di voto nel quadro di una più ampia riforma elettorale. Il successore di De Pretis, il quale venne improvvisamente a mancare mentre era ancora pienamente in carica, fu Francesco Crispi, anch'egli esponente della sinistra storica, già presidente della Camera. Anche Crispi apparteneva a un gruppo di esponenti che si erano opposti per lungo tempo a De Pretis, ma quando quest’ultimo, pochi mesi prima della scomparsa, gli aveva proposto la carica di ministro degli Interni, egli aveva accettato l'incarico effettuando un cambio di schieramento che oggi giudicheremmo ‘clamoroso’. Similmente a quanto messo in atto dal predecessore, Crispi proseguì quella che era divenuta, ormai, una prassi normale: il varo di una serie di riforme attraverso maggioranze ‘mutevoli’. Crispi, infatti, fu un primo ministro ampiamente trasformista, riuscendo a conciliare, di volta in volta, i diversi interessi dei gruppi politici che componevano l’aula parlamentare. La fusione delle distinte esigenze avvenne già nel primo anno di vita del suo Governo, quando fu approvata una particolare tariffa che innalzò i dazi protettivi applicati ad alcuni prodotti importati e alla gran parte delle merci che l'industria nazionale produceva autonomamente. Attraverso l'introduzione di questa imposta ‘protezionista’, Crispi riuscì ad allineare sia gli interessi delle antiche oligarchie agricole di origine risorgimentale, sia quelli delle società industriali protezioniste e dei proprietari terrieri più conservatori. In tal modo, egli poté porre in correlazione i vari gruppi di potere regionali, i quali finirono col saldarsi agli interessi generali. Comunque sia, questo fenomeno del ‘trasformismo’, iniziato con De Pretis e proseguito con Crispi, venne messo in pratica anche dal primo Governo Giolitti, quello che poi cadde in seguito al noto scandalo della Banca Romana. E lo stesso Giolitti, divenuto nuovamente capo del Governo nei primissimi anni del XX secolo, sempre grazie al ‘trasformismo’ riuscì a rimanere al vertice dell'esecutivo quasi ininterrottamente sino allo scoppio della prima Guerra Mondiale. Durante tale periodo, egli s'impose come il vero e proprio ‘dominus’ della vita politica italiana. E la sua azione fu continuativamente volta a ‘smussare’ ogni divergenza tra conservatori e progressisti. In seno alla pressione esercitata nei primi anni del Novecento da parte dei socialisti, i quali attraverso gli scioperi dei lavoratori salariati e le mobilitazioni di piazza richiedevano riforme democratiche, Giolitti tentò di incanalare persino queste forze in una formula di Governo di ‘riformismo liberale’, aperto cioè alle loro istanze. Tutto questo finì con l'esprimere una politica parzialmente riformista, benché di continuo compromesso fra le differenti correnti politiche presenti in parlamento. L'azione di Giolitti mirò soprattutto ad alternare e a integrare politiche conservatrici all’interno di provvedimenti di sostanziale innovazione, in modo da frenare le diverse spinte centrifughe di socialisti, repubblicani e radicali. Anche la politica 'giolittiana', insomma, ebbe un chiaro carattere trasformista. E tale giudizio è totalmente privo di qualsiasi connotazione negativa, poiché durante il periodo storico ‘giolittiano’ si ebbe, in verità, una progressiva attenuazione di ogni ‘antitesi’ fra conservatori e rivoluzionari, liberando tali ‘tendenze’ da qualsiasi spinta estremista. In breve, il metodo 'giolittiano' si dimostrò quanto mai adatto a garantire governabilità politica e stabilità sociale, pur compiendo un'azione riformista circa i nuovi bisogni della nazione italiana. Ciò dimostra pienamente come sia possibile, oggi, abbandonare i rigidi schematismi ‘bipolari’ della seconda Repubblica, vera causa dell’immobilismo politico degli ultimi venti anni, per approdare a una nuova fase 'costituente' della vita parlamentare italiana, in cui un futuro esecutivo potrà contare, alternativamente, sui voti del Movimento 5 stelle o delle altre forze politiche, a seconda dei provvedimenti da far approvare. L’idea potrà apparire piuttosto ‘balzana’, o forse addirittura ‘peregrina’. Tuttavia, in mancanza di garanzie politiche di stabilità, tale metodo, talmente ‘antico’ da non essere nemmeno ricordato, potrebbe rivelarsi rivoluzionario. Almeno in questa fase.

Nella foto: Agostino De Pretis


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
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