Non si arresta uno degli eventi più acclamati dai ‘jazzofili’, il Francavilla Jazz Festival: il direttore artistico ci racconta tutti gli sforzi compiuti per la realizzazione di questa settima edizione
In questo anno tutto particolare, tra misure governative che impongono accessi contingentati ai luoghi della cultura, distanziamenti e un sentimento diffuso di paura e apprensione generale, c’è chi tra gli operatori dello spettacolo dal vivo ha deciso di non rinunciare a realizzare i propri progetti. Un vero e proprio atto di coraggio e di responsabilità quello dell’associazione ‘Francavilla è Jazz’ e del suo direttore artistico, Alfredo Iaia, che ormai da 7 anni portano avanti l’esperienza del ‘Francavilla Jazz Festival’. Una rassegna con ospiti eccezionali, provenienti dal panorama jazzistico di taglio internazionale, che torna ogni anno a far rivivere i luoghi storici del comune pugliese di Francavilla Fontana (Brindisi). Il festival, sostenuto dall’amministrazione comunale e da sponsor privati, ha mantenuto l'impegno di dare piena attuazione ai protocolli di sicurezza anti-Covid: l’organizzazione ha infatti previsto un cambio di location, dalla consueta piazzetta San Marco alla maestosa piazza Giovanni XXIII, nonché un numero ridotto di spettacoli. Non sono cambiate, però, le proposte artistiche, di prima qualità, come spiega nell’intervista che segue il direttore artistico della manifestazione, Alfredo Iaia, dandoci un assaggio di questa edizione un po' speciale, con tutte le criticità che la sua realizzazione ha comportato.
Alfredo Iaia, il Francavilla Jazz Festival è uno tra i pochi eventi che non ha rinunciato a essere realizzato dopo l’emergenza coronavirus: cosa significa organizzare un’iniziativa in tempi così difficili?
“È stata dura decidere se realizzare o meno quest’ultima edizione del festival in un contesto pandemico, con tutte le difficoltà che ne derivavano. Assieme all’amministrazione del Comune di Francavilla, che sin dalla prima edizione sostiene l’iniziativa non solo con il patrocinio, ma anche con un finanziamento, abbiamo deciso di metterla in scena in una versione ridimensionata. Il messaggio che volevamo far passare è che l’arte e la cultura non si fermano. Volevamo dare un segno di normalità, in un momento in cui le persone stanno facendo i conti con le gravi ripercussioni psicologiche che questo brutto momento sta causando, dando continuità a un’esperienza importante, che dura da sette anni. Ci abbiamo voluto credere”.
Come è stato ripensato il festival, alla luce del rispetto delle misure di sicurezza? Ritiene che il distanziamento rischi di escludere una parte di pubblico?
“È stato necessario ridimensionare il numero delle serate, rinunciando agli otto concerti che, nelle precedenti edizioni, venivano realizzati nei palchi itineranti delle location situate nel centro storico di Francavilla. La piazzetta San Marco, pur essendo dotata di un’acustica straordinaria, non permetteva di garantire il distanziamento a causa delle piccole dimensioni, mentre corso Umberto I non ha potuto contare sulle collaborazioni degli operatori commerciali - fortemente compromessi dall’emergenza – i quali, come per gli anni passati, avevano permesso la realizzazione di alcuni appuntamenti. Quest’anno, il festival si è svolto all’interno della magnifica piazza Giovanni XXIII, con lo sfondo barocco della Basilica Pontificia Minore del Santissimo Rosario, dal forte impatto scenico. La piazza ci ha consentito di rispettare le norme anti-Covid, che impongono un massimo di 1000 persone divise tra 400 posti a sedere e 600 posti in piedi, così da poter mantenere la distanza di un metro. Lo ritengo un numero sufficiente di spettatori, in quanto, per sua natura, il ‘Francavilla Jazz Festival’ è un evento pensato per platee intime e ristrette piuttosto che per i grandi numeri”.
Qual è il merito di questa iniziativa, nel contesto socio-culturale del territorio francavillese?
“Tra gli scopi che l’ente organizzatore, l’associazione ‘Francavilla è Jazz’, si pone attraverso la realizzazione del festival, c’è un intento divulgativo del jazz, che oltre agli intenditori di questo genere punta a coinvolgere, attraverso la gratuità dell’evento e una proposta artistica molto equilibrata, anche coloro che vi si avvicinano per la prima volta. La finalità è cioè quella di portare la musica di qualità in modo inclusivo. Vi è poi la valorizzazione dei luoghi storici della città e l’incremento del turismo. Questo evento, negli anni ha favorito l’afflusso di una parte di pubblico proveniente da tutta Italia. Sulla nostra pagina Facebook, infatti, noi pubblichiamo periodicamente dei post che illustrano la storia e l’origine dei luoghi di Francavilla, lavorando in stretta collaborazione con lo Iat (Informazioni e accoglienza turistica, ndr) della città”.
Sfogliando il programma di quest’anno, quali sono state le punte di diamante di questa edizione?
“Nonostante il numero ridotto di spettacoli, il festival ha mantenuto l’altissima qualità della proposta artistica, che ha visto artisti di rilievo del panorama del jazz internazionale. Jeff Ballard, jazzista statunitense fra i migliori batteristi al mondo, ha aperto la rassegna con delle composizioni originali siglate da Nico Morelli, orientate al ‘contemporary jazz’ e alcuni brani appartenenti alla tradizione folk/mediterranea in chiave jazzistica. Cinzia Tedesco ha portato sul palco un progetto raffinato, che ha combinato la musica classica e il jazz, proponendo brani di Giuseppe Verdi e Giacomo Puccini. Un altro nome di fama mondiale è il protagonista della serata conclusiva: il trombettista jazz italiano Fabrizio Bosso, assieme al Giovanni Scasciamacchia Quartet, con l’ultimo album ‘Oriente’. Il festival si propone, insomma, di mantenere una formula ancorata alla tradizione jazz, al ‘mainstream’, senza mai cadere nel ‘pop’ o nel jazz più radicale. Spesso, ci troviamo davanti a musicisti che si spacciano per jazzisti, ma che in realtà sono ‘pop’. È molto difficile, attualmente, assistere al vero jazz. La volontà del festival di Francavilla è portare le sonorità del jazz contemporaneo, rendendolo fruibile anche all’orecchio di chi non lo ascolta abitualmente”.
Qual è la sua personale percezione circa la drammatica condizione che costringe la comunità degli artisti e del loro ritorno sui palcoscenici dopo il lungo periodo di isolamento?
“Tra i musicisti c’è grande entusiasmo nel ritornare sul palcoscenico, nel tentativo di recuperare il tempo perduto durante il lockdown: ognuno di loro non vede l’ora di tornare a suonare dal vivo dopo mesi di silenzio. Il jazz è una musica che va ascoltata live e il jazzista, muovendosi sul filo dell’improvvisazione, riesce a dare il meglio di sé solo grazie al contatto con il pubblico”.