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21 Novembre 2024

Disabilità, il problema di pochi che riguarda tutti

di Francesca Buffo
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Disabilità, il problema di pochi che riguarda tutti

Patologie rare, malattie invalidanti, disabilità gravi e gravissime: questa è la realtà per una parte della nostra società, che più di tutti vive le difficoltà del quotidiano. Spesso sono le famiglie a battersi per i diritti di chi non può farlo da solo ed è una battaglia difficilissima contro l'inefficienza delle leggi e delle istituzioni. Ma più di tutto contro il resto della società, quella 'sana' che liquida il problema pensando che 'non sia suo'. Eppure chiunque, in qualsiasi momento, potrebbe subire un incidente, o ammalarsi, scoprendo che la vita come l'ha sempre vissuta per alcuni non è un diritto bensì un lusso. A ricordarcelo sono state le mamme scese in piazza, a Roma, il 12 maggio, proprio per sensibilizzare l'opinione pubblica e per sollecitare leggi urgenti e indispensabili per quella che siamo abituati a pensare una società civile, ma che civile in molti casi non è. A parlarcene è Maria Simona Bellini, Presidente del Comitato famiglie malati disabili gravi e gravissimi che da 18 anni si batte per ottenere una legge che consenta il prepensionamento per chi deve accudire un familiare non autosufficiente. 

Presidente Bellini, vi siete mossi in piazza con lo slogan 'Mai più a testa bassa', ma è così difficile parlare di disabilità in Italia?
''Diciamo che il problema si verifica costantemente. Viene dimostrata una grande disponibilità per l'argomento, una grande volontà di fare. Ma poi in concreto cambia poco. Ne è un chiaro esempio la proposta di legge sul prepensionamento di chi assiste malati gravi: una battaglia che stiamo conducendo da 18 anni! Questo dimostra che l'argomento disabilità suscita un'attenzione limitata al 'bla bla', ma quando si deve passare ai fatti è tutt'altra cosa. Abbiamo aspettato talmente tanto per poi vedere approvata una riforma previdenziale che addirittura ci penalizza rispetto al passato perché non facciamo parte delle categorie salvate! In questi anni abbiamo visto la legge bloccata perché cadevano le legislature e quindi ogni volta si ricominciava daccapo l'iter burocratico perpetuando quello che si può definire un 'percorso diabolico'.

L'Europa, con la facoltà che viene data direttamente ai cittadini di presentare proposte di legge, offre qualche possibilità in più?
"È un'occasione che abbiamo preso in considerazione. Soprattutto per quanto concerne il riconoscimento giuridico del caregiver familiare (termine che indica coloro che si occupano di offrire cure ed assistenza ad un'altra persona), cosa che in altri stati membri esiste già. Questa è una delle prime richieste che faremo, cercando anche di scendere nel dettaglio definendo anche cosa deve essere riconosciuto al lavoro del caregiver. Perché in realtà si tratta di un impegno (per quanto svolto con affetto, con dedizione).

Impegno che spesso preclude lo svolgimento di qualsiasi altro tipo di attività.
"Senza dubbio. Anche perché per i casi più gravi l'assistenza si protrae anche la notte. Perché noi parliamo di diritti costituzionali? Perché in realtà molti caregiver non hanno neanche la possibilità di riposarsi, che è un diritto costituzionale. Non riescono ad avere una vita sociale, non hanno tempo per l'istruzione. Quindi veramente stiamo parlando di diritti fondamentali che vengono negati. Ne caso del prepensionamento, addirittura, quei pochi servizi esistenti vengono utilizzati per l'assistenza al disabile e quindi per consentire al caregiver di andare a lavorare. Questo a sottolineare che ci sarebbero anche gli spazi per il caregiver per avere un po' di tempo per sé, ma devono essere utilizzati per lavorare per sostenere economicamente la famiglia. Tutto ciò , poi, avviene in un Paese nel quale i servizi mostrano un'efficienza a 'macchia di leopardo'. Colpa anche del decentramento che nella sostanza ci ha reso tutti più diversi tra i diversi".

A detta di molti l'applicazione delle leggi talvolta appare persino 'soggettiva' più che territoriale.
"Perché è a discrezione degli enti locali. Questo è il grande problema. Perciò lì dove non ci sono le risorse, il primo taglio o il primo servizio che non si offre è proprio quello alla disabilità. Così ci ritroviamo in situazioni dove effettivamente qualcosa c'è e in altre dove non c'è nulla in assoluto, anche per le situazioni più gravi. Le faccio un esempio. In questo periodo, come associazione stiamo seguendo in Sardegna il caso di un ragazzo in coma vigile al quale, sulla base di una staticità della situazione, sono state ridotte le terapie. Allora occorre sottolineare che uno dei diritti fondamentali è mantenere la salute; quindi lì dove si è raggiunta una stabilità, fattore che in molti casi è importantissimo, è assurdo ridurre le prestazioni perché significa  provocare un'involuzione”.

Forse qui esiste anche un problema nel problema: chi vive la disabilità in prima persona è talmente avviluppato al problema della sopravvivenza in termini pratici che certo non ha la possibilità scendere in piazza. E forse il sistema conta anche su questo.
"Direi che ha centrato perfettamente il problema. Infatti per noi è difficile organizzare manifestazioni di questo tipo, soprattutto per le situazioni più gravi per le quali occorrerebbe, paradossalmente, mobilitarsi maggiormente. Occorre considerare che la famiglia del disabile vive una situazione pesantissima. Laddove c'è un figlio con problemi, gli altri figli in un certo qual modo 'pagano' il costo di questa situazione. Ma lì dove le situazioni sono monogenitoriali la situazione è drammatica. Succede spessissimo, infatti, che la famiglia si sfasci di fronte alla disabilità e che uno dei due genitori scappi via (e non sempre, come si crede, si tratta del padre). Le situazioni difficili sono tante: la vedovanza, i nuclei con più soggetti disabili al proprio interno. Quando mettiamo insieme tutte queste criticità, ci troviamo di fronte a situazioni al limite della sopportabilità umana".

Ma come sarebbe giusto intervenire?
"Noi sottolineiamo sempre che i familiari, i genitori e i fratelli, sono un investimento per lo Stato nel lungo termine. In realtà non si sostiene la domiciliarità della persona non autosufficiente e la famiglia non è sostenuta adeguatamente".
È quello che avviene anche con gli anziani."Sì, anche se noi facciamo sempre un distinguo fra l'anziano e il disabile. Perché l'anziano in genere ha prodotto un reddito nel corso della vita, mentre il disabile spesso non lo potrà fare mai,  E poiché le situazioni, come abbiamo detto, sono tante e diverse tra loro, bisognerebbe trovare una risposta adeguata al bisogno. Bisogno che non è così difficile da individuare, ma purtroppo ciò che manca è la volontà".
Con la volontà si potrebbero anche allargare le opportunità di lavoro per alcuni tipi di disabilità?"Certamente. Purtroppo molte aziende preferiscono pagare una multa, anziché far entrare il disabile nel processo produttivo (che sarebbe la cosa più dignitosa per lui). Per quanto riguarda poi il telelavoro, non ne parliamo. Noi siamo indietro anni luce rispetto agli altri paesi. Ci sono tipologie di lavoro che potrebbero essere svolte da casa. E non solo per ciò che concerne la mobilità del disabile. Pensiamo a quanto tempo potrebbe guadagnare il caregiver lavorando da casa (nelle grandi città gli spostamenti incidono in media 2/ore al giorno)”, 

Attualmente il caregiver quali agevolazioni ha contrattualmente?
"La legge 104 concede 3 giorni al mese retribuiti per l'assistenza al familiare. Però, banalmente, un'influenza non si risolve mai in 3 giorni. Tuttavia tale periodo non è cumulabile (ovvero, se non utilizzi i 3 giorni, li perdi). È chiaro che in tutto ciò si denota una mancanza di attenzione sui problemi reali del cagiver lavoratore il quale poi esasperato ricorre alla simulazione della malattia emettendo un falso certificato. Ma è il sistema che non offre vie di uscita”.

Tornando alla vostra manifestazione di Roma: per voi le campagne di sensibilizzazione sono molto importanti. Tuttavia non sempre il messaggio che viene diffuso viene percepito dal mondo della disabilità come 'corretto'. Perché?
"Sì è vero. L'ultima raccolta fondi televisiva, promossa con la frase 'bambini con una B in più', ha infastidito molte delle famiglie che vivono il problema. Perché se parliamo di integrazione pensiamo a una società che accoglie non che distingue. Credo che queste campagne debbano essere concertate con chi il mondo della disabilità lo vive dall'interno. Anche sulla raccolta fondi, c'è molto da dire. In una società civile, che si ritiene tale, i diritti non devono essere subordinati a un atto di solidarietà (che poi è un modo più carino per definire la carità). Un tempo la solidarietà era parte della morale della società, il passaggio successivo era stabilire il diritto. Qui, invece, stiamo facendo un passo indietro, facciamo diventare solidarietà ciò che è già un diritto. Noi come associazione, per statuto, non abbiamo la quota associativa e crediamo che il volontariato debba essere volontariato vero e non lavoro mascherato sotto altra forma. La manifestazione del 12 maggio, ad esempio, è stata realizzata a costo zero. Le aziende che hanno contribuito, lo hanno fatto fornendoci ciò che occorreva, servizi e prodotti. Se c'è la volontà, le cose si possono fare senza costi”.

Voi avete messo l'accento anche sul fatto che la disabilità può cogliere chiunque nel corso dell'esistenza. Questa ad esempio è un'argomentazione che non è stata mai utilizzata in una campagna di sensibilizzazione.
"Noi viviamo in una società che rifiuta la morte e la malattia. Dove l'apparire è più importante dell'essere e dove si basa la propria vita sulla certezza che tutto andrà in un certo modo. Ma non è così che funziona. Io stessa 24 anni fa, quando è nata mia figlia, ho constatato che questo evento è stato uno sparti acque tra due vite totalmente differenti. Io quella di oggi non la cambierei mai e sono certa che ha un valore più profondo, più importante. Questo può succedere a chiunque. Di questo bisogna prenderne atto. Queste 'deviazioni di percorso', tuttavia, possono rappresentare un arricchimento e dare una risposta di senso molto importanti per l'individuo. Avere un contatto diretto con la disabilità (per diretto intendo carnale, attraverso figli o nipoti)  consente di andare oltre quella superficialità che sta facendo ripiegare la nostra società su se stessa".

Eppure, mediaticamente, la sensibilizzazione avrebbe tanti mezzi a disposizione. Basti pensare ai social network.
"Innanzitutto chi si collega ai nostri gruppi può rendersi conto delle difficoltà del mondo della disabilità. Indubbiamente la rete per noi ha rappresentato un'enorme risorsa. Io ricordo l'inizio della mia battaglia solitaria. Ma veramente solitaria. A quell'epoca si viveva la sensazione che gli stessi medici evitassero di mettere in contatto famiglie con i medesimi problemi. La rete ha invece fatto esplodere tutta una serie di contatti che hanno cambiato completamente la sensazione. Tanto che oggi le associazioni storiche hanno delle grosse difficoltà a misurarsi con movimenti come i nostri, che nascono spontaneamente, si basano sull'auto-aiuto e su una diffusione più specifica delle informazioni".

Ma quali sono i dati della disabilità?
"Un dato reale non si riesce ad avere. Il problema riguarda il censimento della disabilità e, ancora più importante, la definizione del grado di disabilità. In Italia ci basiamo su numeri non certi. In realtà già da qualche anno esiste una classificazione dell'Organizzazione mondiale della sanità, l'ICF, che basa tutte le valutazioni sul grado di bisogno. Un sistema che rende impossibile qualsiasi inquinamento di elementi soggettivi. Invece, in Italia, tutta la legislazione si basa su elementi soggettivi. Così ci ritroviamo con riconoscimenti di invalidità o disabilità, in merito alla Legge 104, basati sulla valutazione del medico curante, quindi completamente diversi da una località all'altra. Tutto ciò quando abbiamo questo documento eccezionale che è l'ICF, peraltro già adottato dalle assicurazioni e dalle banche ma totalmente ignorato dalle ASL e dagli istituti collegati alla disabilità. Spesso viene divulgato il dato che conta 3milioni di disabili nel nostro Paese. Questi però sono dati Istat, che si basano su un'auto-dichiarazione e, in molti casi, su un'auto-percezione della disabilità. Di questi, inoltre, un buon 90% sono persone non autosufficienti a causa dell'età. Ma la disabilità è un'altra cosa. È un problema completamente diverso".


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
Registrata presso il Registro Stampa del Tribunale di Milano, n. 345, il 9.06.2010.
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