Incontriamo Dacia Maraini carichi di emozione, affetto e devozione, come discepoli innanzi alla loro ‘Maestra di vita’. Le nostre testate, Periodico italiano magazine e Laici.it, hanno spesso trattato, in questi ultimi anni, il tema del ‘femminicidio’ e della violenza sulle donne, ampliandolo e rilanciandolo. Ma lo abbiamo fatto raccogliendo umilmente le preziose ‘indicazioni’ lasciateci da questa immensa saggista e scrittrice: un’anima ‘sociale’ sensibile e profonda, che ha svolto un ‘ruolo-guida’ fondamentale per le nostre generazioni. Leggerla e seguirla è stato come individuare una ‘traccia’, anzi una serie continua di ‘segnali’, stimoli, riflessioni e indicazioni che ella continuava a lasciarci lungo i nostri sentieri di vita più tortuosi, in certe fasi apparentemente inestricabili, al fine di orientarci antropologicamente e culturalmente anche come uomini. Grazie a Dacia, molti di noi sono riusciti a maturare come persone sane, razionali ed equilibrate all’interno del particolare ‘labirinto sociale’ del nostro Paese, aiutandoci a superare momenti e stagioni difficili, insegnandoci a non cedere alle ingiustizie quotidiane e ai fatti più terribili della Storia. Dacia ci ha insegnato a reagire nel modo migliore, quello più corretto, più giusto, rispetto alle ingiustizie del mondo e della vita: in particolar modo per noi che viviamo a Roma, ella ha saputo, col passare degli anni, ‘allargarci l’anima’, facendoci scoprire la nostra sensibilità più profonda, guidandoci culturalmente verso la nostra ‘stanza del tesoro’ più interiore. E’ stata lei una delle prime grandi intellettuali a sollevare e a denunciare un dramma sociale tanto nascosto quanto gravemente diffuso, in Italia e nel mondo, come quello della violenza sulle donne, con il suo libro-denuncia del 2007 intitolato: ‘Passi affrettati’ (Ianieri editore). Un testo teatrale trasformato in un libro-documento, in cui questa grandissima autrice ha raccolto le esperienze di quelle ‘poche’ donne sopravvissute a un vero e proprio ‘ciclone’ di violenza domestica, coniugate con le confidenze e le testimonianze dei parenti delle ‘tante’ ragazze che, invece, non sono riuscite a salvarsi da un destino sfortunato, segnato da un sessismo che la nostra cultura cattolica di fondo non ha mai voluto veramente osteggiare. Il 25 novembre prossimo ricorre la giornata mondiale contro la violenza sulle donne: l’occasione per riflettere insieme a lei intorno all’attuale condizione delle donne e dell’intero universo femminile nella nostra società e nel mondo era, dunque, preziosa e imperdibile.
Dacia Maraini, è cambiato qualcosa nella nostra società a diversi anni dalla pubblicazione del suo testo contro la violenza sulle donne?
“Purtroppo, la violenza contro le donne sta aumentando. Sembra un paradosso: cresce l’emancipazione e, contemporaneamente, cresce la violenza. Non dovrebbe essere il contrario? A meno che, la violenza contro le donne non sia proprio una conseguenza della loro maggior presenza sulla ‘scena’, del loro ingresso in massa nel mondo del lavoro e della conseguente loro autonomia e libertà”.
Qual è la sua riflessione sul dolore delle donne appartenenti a mondi diversi, che vengono oltraggiate nella loro persona, dignità e libertà? Esiste una differenza tra il dolore vissuto dalle donne e dalle madri, rispetto a quello vissuto dall’uomo?
“L’uomo che diventa violento, evidentemente è un debole che, nel vuoto di una forte etica sociale, si aggrappa alle vecchie certezze del mondo antico: punta tutto il proprio concetto di identità virile sul possesso e, quindi, sul ‘controllo’ della donna che dice di amare. Ma non appena questo controllo viene meno, il suo concetto di virilità vacilla, va in crisi. E questa crisi può fargli perdere la testa, fino al punto di trasformarlo in un assassino. L’omicidio, però, spesso è accompagnato anche dal suicidio maschile. La qual cosa ci trascina nell’abisso di una vera e propria tragedia. Ma si tratta di una tragedia culturale, non di genere o di natura. Il dolore delle donne sta nella difficoltà di mettere insieme l’amore per un uomo e per la famiglia, con il bisogno di un’autonomia e di un lavoro che le porta, per forza di cose, fuori da casa”.
Quanto sono importanti le relazioni tra donna e uomo nella rappresentazione del corpo e del desiderio maschile?
“Purtroppo, viviamo in una cultura ‘androcentrica’, in cui il desiderio dell’uomo è alla base di ogni immaginario erotico. La parità, che ormai esiste in molte leggi e in molte pratiche quotidiane, tuttavia non ha ancora toccato l’eros. Le donne si adeguano, spesso ciecamente e ingenuamente, oppure credendo di essere ‘furbe’, all’immaginario erotico maschile, senza capire che così danneggiano se stesse”.
La violenza sta invadendo il mondo, dall’Isis ai regimi totalitari, agli eventi tragici della nostra quotidianità: cosa sta succedendo, secondo lei?
“Non so cosa sta succedendo: qualcosa di grave, purtroppo. La violenza cresce ovunque e porta con sé guerre, odii, rancori e ingiustizie”.
La recente morte per impiccagione inflitta a Reyhaneh Jabbari, la giovane iraniana che ha ucciso per difendersi da un brutale tentativo di stupro: perché, nonostante le richieste di liberazione intentate dai grandi della Terra, nonché da papa Francesco, la decisione di uccidere è stata così ‘sorda’ e univoca?
“Un regime assolutista e tirannico deve usare la polizia segreta, la tortura e il terrore, altrimenti i cittadini si ribellerebbero, giustamente. Le dittature si mantengono in piedi solo grazie alla paura che incutono e alle condanne degli innocenti. In regimi di questo tipo, tutti possono diventare colpevoli da un momento all’altro. Quindi, tutti sono suscettibili di controllo, di spionaggio, di verifica. Se allenta i freni, il regime non resiste e crolla all’improvviso, come accaduto col muro di Berlino”.
È possibile che non sia legittimo difendersi con qualsiasi mezzo dalla violenza sessuale? Ed è possibile non considerare un Paese che tratta le donne in modo così disparitario?
“Il fondamentalismo religioso ha come base la repressione delle donne. Lo faceva anche la Santa Inquisizione, che capovolse la parola di Cristo, condannando le donne e assoggettandole nel modo più violento. Qualsiasi cosa succeda è colpa loro, secondo i religiosi più fanatici, che temono il giudizio delle donne e le fanno fuori appena osano esprimere a voce alta un pensiero non subordinato”.
La cultura del corpo femminile in Iran, contrapposta alla cultura europea o di altri continenti, è poi così diversa?
“L’Iran è un grande Paese, che ha avuto una civiltà saggia e tollerante. Con l’avvento del totalitarismo religioso, il Paese si è chiuso in uno sterile mondo di intolleranze, di bigottismi e di violenza contro chi la pensa in modo diverso. Ma le prime vittime sono proprio gli iraniani stessi, in primis le donne, costrette alla dipendenza e al silenzio. Il fondamentalismo è una malattia della religione, una sua patologia, che si esprime con una cinica, delirante e sadica volontà di potenza”.
Perché l’Europa, gli Stati Uniti e la Russia non hanno percepito subito quelle invocazioni che, dopo la rivoluzione del 1979, che portò l’Ayatollah Khomeini al potere, salivano dalla gioventù iraniana verso quegli Stati che hanno nelle loro Costituzioni il principio di eguaglianza tra tutti gli esseri umani davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche e condizioni personali e sociali?
“Ciò è accaduto anche con le più recenti ‘primavere arabe’: dopo l’entusiasmo popolare e dopo la grande voglia di cambiamento seguita alla cacciata del tiranno, qualcuno approfitta dello spazio vuoto per infilare nel corpo politico un regime altrettanto totalitario, ma di segno religioso. Così accadde in Iran ed è stato un disastro. Consiglio di leggere un bel libro, appena uscito, pubblicato da un coraggioso editore abruzzese: ‘Non si può incatenare il sole’, curato da Esamil Mohades. Questo lavoro raccoglie le testimonianza di due giovani donne catturate e torturate dalla polizia di Khomeini solo perché hanno osato difendere la democrazia e la pluralità”.
Il rispetto dei diritti umani, delle donne e degli uomini, rimane un valore centrale anche nelle relazioni internazionali: è una tematica che lei sta cercando di comunicare, nei suoi incontri, anche alle nuove generazioni?
“Lo faccio in continuazione, con i miei libri e i miei articoli”.
Il candore della disobbedienza di Chiara d’Assisi: quell’esempio può riscattare il mondo da tanta violenza?
“Chiara ha dato un esempio di libertà nella costrizione: sta a noi seguire o meno questo esempio”.
Il 25 novembre è la giornata mondiale contro la violenza sulle donne: lei avrebbe scelto un’altra data, più appropriata?
“Le date sono solo simboliche. Non importa che sia questa o un’altra, purché serva a ricordare quanta violenza viene fatta ogni giorno contro le donne in giro per il mondo”.
Il suo prossimo impegno letterario?
“Un nuovo romanzo, ma ancora non ne parlo”.