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21 Novembre 2024

Mariella Bernio: "La poesia non serve a mettersi in cattedra"

di Giovanna Albi
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Mariella Bernio: "La poesia non serve a mettersi in cattedra"

Intervista a una poetessa socia di diverse accademie e autrice di decine di opere, nota per la profonda sensibilità ed empatia, che esprime anche con una meritoria attività di volontariato presso una Rsa: perché le brave persone esistono ancora, basta cercarle

Vista la nostra profonda passione per la poesia e la letteratura, non ci poteva sfuggire la risonanza, nel panorama letterario italiano, della poeta, Mariella Bernio, nata a Cremona, ma residente nell'hinterland milanese. Socia di diverse accademie di poesia, ha prodotto più di una decina di opere tutte ascrivibili alla poesia, perché anche nelle poche opere in prosa, ella è sempre poeta. Abbiamo letto alcuni suoi pregevoli lavori, come per esempio 'Paesi di bruma' (Edizioni Pragmata) in cui, riconnettendosi alle sue origini, mai neglette, dipinge con maestria spazi poetici e individui fragili, come i bambini e gli anziani, a favore dei quali svolge una meritoria attività di volontariato presso una Rsa, con un impegno da encomio. Dopo averla letta e incontrata, abbiamo pensato di rivolgerle alcune domande.

MariPaesi_di_bruma_copertina.jpgella Bernio, da quanto tempo produce poesia o ne sente l’ispirazione?
“Ho incontrato molto presto la poesia, dapprima in forma di gioco, grazie al mio nonno materno che viveva in casa con noi: erano poesiole semplici, qualcuna inventata da lui, che mi recitava fra una fiaba e l’altra. Ricordo che anche papà, che tornava solo a sera e di cui avevo soggezione, narrandomi della sua infanzia e della scuola, mi recitava Pascoli e Carducci, poeti che lui amava molto. Così fu spontaneo e naturale per me, appena iniziai a scrivere, comporre poesiole in rima, semplici, come si fa a quell’età. La passione per la lettura e la scrittura sono state la ‘chiave’ per accedere alla poesia, ispirata dalla vita stessa, sempre con tanta passione e spontaneità”.
 
Radicato e radicale il rapporto con la sua Cremona, dal che si desumono radici solide nella sua vita di donna e di poeta: quali sono quelle più profonde? E quali sono state le figure formative della sua infanzia e adolescenza?
“Sono nata a Cremona, ma ho vissuto gli anni dell’infanzia in un piccolo paese della provincia, nella casa dov’era nata mia madre e che era appartenuta ai suoi nonni. Ricordo il piccolo cortile dove, nelle sere d’estate, ci si sedeva a chiacchierare accanto a vasi d’oleandri e gerani; e ricordo la nebbia della mia terra, i tramonti autunnali e papà, che tornato dal lavoro, si lavava fischiettando: nella mia fantasia infantile mi sembrava di vivere la poesia di Carducci: ‘La nebbia agli irti colli’. Mi piaceva ascoltare gli adulti, i loro racconti di vita, mi appassionavo alle loro storie. Nei pomeriggi di sole, veniva da noi un fratello del nonno, ipovedente, a farsi leggere il giornale dalla mamma. Io, seduta appresso, non perdevo una frase. Il nonno e i miei genitori, ognuno a loro modo, la mia  insegnante elementare, ma anche una carissima vicina di casa, sono state figure miliari per la mia formazione fra infanzia e adolescenza: un ‘tesoretto’ che conservo con amore”.

La sua poesia, attenta verghianamente alle tematiche degli umili e alle opere di volontariato, fanno di lei una sorta di demiurgo nel senso etimologico del termine, di colui che agisce per il bene comune: quanto soffre per questa sua connaturata empatia, che coniuga “un’educazione al bello, ma anche al  dolore”? E quanto la rallegra e la sostiene?
“Credo che l’empatia derivi da un’innata sensibilità, che si sviluppa nel tempo grazie a diverse circostanze, personali e non, che ci chiedono di metterci ‘nei panni dell’Altro’, per poterlo ascoltare e capire sin nel suo più profondo recesso. Si soffre spesso, ma è anche fonte di gioia quando, proprio suo tramite, si riesce a essere di aiuto a chi ci sta di fronte. Questa condivisione, anche della sofferenza, serve a mantenerci umili, a metterci sullo stesso piano dell’Altro, mai in cattedra come dispensatori di consalazione”.

L’amore ‘lato sensu’ permea la sua vasta produzioine poetica, sicchè si piuò dire che l’amore ab morte sia la cifra della sua esistenza, per cui non conta vivere longe, sed sadis: sente di vivere e di aver vissuto abbastanza intensamente? E cosa direbbe alle nuove generazioni, spesso accusate di “deserto emotivo”?
“Credo che l’amore debba essere la cifra di ogni esistenza umana, ciò che le dà un senso. Posso dire, forse, di aver vissuto intensamente, pur nel mio piccolo, poichè non ho fatto grandi cose, né condotto a termine grandi imprese. Avrei potuto fare di più? Certamente: si può sempre fare di più, ma: “Petali nel vento./Foglie morte./ Ho amato./ Tanto basta”. Ai ragazzi di oggi direi di leggere di più, soprattutto i classici di ogni tempo e di parlare, confrontarsi, vis a vis, non solo e sempre dietro a uno schermo”.

Date queste premesse, la poesia deve meravigliare o emozionare, secondo lei?
“La meraviglia della poesia che emoziona: questo io cerco quando leggo dei versi”.
Mariella_Bernio.jpg

NELLA FOTO QUI SOPRA: MARIELLA BERIO, POETESSA CREMONESE

AL CENTRO: UNA DELLE SUE OPERE PIU' IRRAGGIUNGIBILI, 'PAESI DI BRUMA' (EDIZIONI PRAGMATA)

IN APERTURA: AL MICROFONO DURANTE LA PRESENTAZIONE DI UN'OPERA


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
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