Il conflitto russo-ucraino alle porte dell'Europa raccontato da un fotoreporter che ha al suo attivo una lunga carriera come inviato speciale in ben 15 conflitti, dai tempi del Vietnam sino a oggi
Pierre Toutain-Dorbec è un grandissimo fotografo francese, originario della Normandia, che ha iniziato la sua carriera nel 1968. Da allora, egli ha documentato ben 15 conflitti armati. Come corrispondente ha potuto imparare molto sulla guerra. In oltre cinquant’anni, il suo lavoro lo ha portato a girare per il mondo. Lui è un fotografo di guerre, tragedie, possibilità di incontri, tradizioni, riti e culture religiose. Pierre è la naturale curiosità, il senso dell’avventura traslato in una eredità professionale ricca e completa. Ha quasi pubblicato sessanta libri e le sue fotografie sono apparse in molti giornali e riviste di fama mondiale. Oggi, è impegnato nella sua sedicesima guerra: il conflitto in Ucraina.
Pierre Toutain-Dorbec, questa è la sua prima volta in Ucraina?
“Si, è stata la mia prima visita in Ucraina: ho scoperto delle persone meravigliose e città straordinarie. L’architettura è bellissima, i monumenti stimolanti e c’è una forte cultura e identità ucraina”.
Ma non era certo la prima volta che documentava un conflitto molto cruento, non è così?
“E’ la mia sedicesima guerra, infatti. La mia prima esperienza fotografica è stata in Vietnam e avevo diciotto anni. Tuttavia, quanto sta accadendo adesso in Ucraina è catastrofico. Siamo giornalisti e abbiamo bisogno di raccontare ‘oltre’ la Storia, di presentare la testimonianza di questo cataclisma e della crisi umanitaria in atto. E, soprattutto, della terrificante prospettiva che il mondo intero potrebbe essere coinvolto in una guerra contro la Russia”.
Quali città dell’Ucraina è riuscito a vedere?
“Sono stato a Lviv, Kyiv, Odessa, Nikolaiv, Chernihiv, Irpin, Bucha e molte altre. Sono rimasto scoraggiato, specialmente, da quello che ho visto a Bucha e Irpin. Le conseguenze e i metodi degli attacchi russi sui civili, nonché l’enormità della distruzione, è un qualcosa di sconvolgente. Questi tipi di attacchi sono contrari alla Convenzione di Ginevra del 1949, che garantisce la protezione dei civili in tempo di guerra. A Bucha e Irpin, per esempio, sono state distrutte case e negozi. Nella cittadina non ci sono edifici militari o fabbriche: è chiaro che civili innocenti sono stati presi di mira intenzionalmente. Questo è del tutto inaccettabile e mi ha scioccato”.
E’ stato semplice arrivare nelle città ucraine che ha visitato?
“Sì, nella maggior parte dei casi è stato semplice. Il più delle volte, sia i poliziotti che i soldati ai posti di blocco mi hanno detto: “Grazie per essere qui dalla nostra parte. Grazie per riuscire a segnalare ciò che sta accadendo nel nostro Paese”. Altre situazioni, invece, sono più strane o tese. A un concerto di Andrii Danilko, in una stazione della metropolitana locale, sono stato invitato dall’artista a fotografare la sua performance, ma due poliziotti mi hanno ordinato di uscire molto sgarbatamente. Ho spiegato che stavo coprendo la guerra e che ero stato invitato da ‘Andrii’, ma mi è stato comunque detto di andarmene. E capitano anche altre situazioni come questa”.
Con chi ha collaborato in passato?
“Come dicevo, ho iniziato abbastanza giovane, nel 1968. Ho lavorato per molte agenzie e importanti riviste, come Sipa Press, Gamma, Sygma, Time-Life, Paris-Match, Sunday Times, Bunte, Sternà. Ho avuto la fortuna di lavorare negli anni ‘70 e ’80 del secolo scorso, cioé nell’epoca d’oro del fotogiornalismo. Oggi, le cose sono cambiate ed è difficile trovare lavoro”.
Alcune riprese da lei riportate sono impressionanti: quale riesce a ricordare meglio?
“Sono molto grato al mio lavoro, perché mi ha permesso di viaggiare in oltre 120 Paesi e in tutti e 5 i continenti per più di 50 anni. Potrei uscire dai sentieri battuti, incontrare la gente del posto, oppure i ricchi e i famosi o gli sconosciuti, per sperimentare il loro modo di vivere, la loro religione e tradizioni. E’ impossibile scegliere una cosa sola: forse, l’incontro con il Dalai Lama è stato il migliore per me. Anzi, è stato indimenticabile: abbiamo lavorato insieme e pubblicato due libri. Inoltre, ricorderò sempre l’India, un Paese che ancora mi sorprende dopo tanti anni”.
La maggior parte delle sue foto sono in bianco e nero: perché questa scelta?
“Preferisco la fotografia in bianco e nero, ma in alcuni casi utilizzo anche il colore: dipende dalla foto e dal soggetto. Ho iniziato a fotografare con mio nonno e mio zio, entrambi fotografi, quando avevo circa 12 anni. Hanno sempre lavorato in bianco e nero e, per questo, ho imparato con il bianco e nero. Tra l’altro, quando ho iniziato a lavorare come fotoreporter, le riviste erano tutte in bianco e nero, non a colori. A volte, il colore diluisce il contenuto, oppure diventa una distrazione. Non importa se un’immagine è in bianco e nero oppure a colori per raccontare una storia, ma l’obiettivo è essere fedeli al soggetto, oppure alla situazione. Devi sviluppare l’onestà visiva, per essere un buono fotoreporter”.
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