Secondo Silvio Di Francia, coordinatore della segreteria romana del Partito Democratico, il referendum del 12 giugno rappresenta l’opportunità di confrontarsi su cosa vogliamo fare del nostro futuro collettivo. Un’occasione anche per la politica italiana di discutere finalmente una questione vera.
Nucleare sì o no? Secondo lei il risultato è scontato?
"Siamo ancora all’inizio di una campagna in cui credo che la prima cosa da fare per tutti noi sia, come diceva Einaudi, ‘conoscere per deliberare’. Ovverro, occorre mettere i cittadini in condizione di sapere, capire e poi liberamente di scegliere. Certo c’è da sperare che questo referendum raggiunga il quorum, cosa che in Italia non succede da 18 anni. Credo che questo sia veramente un peccato per la qualità della nostra democrazia".
Ma secondo lei possono bastare questi pochi mesi di dibattito per arrivare a una riflessione fondata sulla questione nucleare?
"Nel 1987, si disse che i risultati del referendum erano stati fortemente condizionati dagli avvenimenti di Chernobyl. Ma la questione reale è che all’epoca accadde che i cittadini si erano convinti che il nucleare, per come è fatta l’Italia, non era sicuro. Uno dei dubbi più consistenti, infatti, era la capacità di controllo da parte degli organismi preposti del rispetto delle regole di sicurezza. In questo il nostro Paese si è sempre dimostrato ‘debole’ e forse in molti cittadini pesa anche questa sfiducia di fondo. E questo è un tema fondamentale che ci deve far riflettere.
Però io penso che i cittadini quando sono sufficientemente informati sono in grado di trovare un loro orientamento. Magari non un orientamento tecnico ma quantomeno di massima, spiegando le argomentazioni in modo semplice. Ancora m
eglio sarebbe se tali spiegazioni arrivassero da autorità terze, al di fuori degli interessi in gioco".
Ma per lei la scelta antinuclearista da cosa è guidata?
"Personalmente io ne faccio una questione etica. La lunghezza dei tempi di decadimento delle scorie radioattive mi fa decidere di non voler ‘pesare’ sul futuro dei nipoti dei miei nipoti. Per altri la questione può essere, invece, di carattere economico. Perché la spesa che verrà messa in campo non è giustificata dai reali risultati che potrebbero derivarne. I termini del confronto sono diversi. Ma io ritengo che in una democrazia matura occorra aprire il dibattito con opinioni autorevoli e terze. Se invece nulla accade e si fa assistere il pubblico a delle brutte trasmissioni, un po’ gridate, nella quale la demagogia di entrambe le parti prevale è chiaro che i cittadini poi possano anche decidere di non andare a votare".
Quindi il problema è anche nel modo di proporre le diverse posizioni: questo è giusto e l’altro è sbagliato.
"In pratica sì. Occorre anche che i partiti siano in grado di recepire quello che è l’orientamento collettivo. Faccio un esempio banale, che molti non conoscono. Il primo referendum, quello sul quale si blocco il programma nucleare in Italia, in realtà non decretava la fine del nucleare, ma abrogava tre punti: il ruolo degli enti locali nella scelta del sito; un tipo di finanziamento pubblico alla ricerca nucleare; il divieto per l?Enel di partecipare alla costruzione di centrali nucleari all’estero.
Però le forze politiche di fronte alla valanga dei no decisero che era il caso di sospendere qualsiasi progetto in tal senso. Naturalmente le ricerche potevano andare avanti. Molti non sanno, ad esempio, che alla casaccia c’è ancora un piccolo reattore che funziona, dove si può fare ricerca. Molti studiosi italiani per effetto di quella decisione sono molto all’avanguardia, per esempio, nella ricerca per la fusione fredda.
Insomma, si tratta di decidere cosa vogliamo fare del nostro futuro collettivo.
Ma quali sono i percorsi alternativi al nucleare?
Investire sulla ricerca delle fonti alternative, anziché sulla costruzione di nuove centrali, potrebbe produrre dei vantaggi di gran lunga superiore rispetto ai vantaggi del nucleare.
In Italia, ad esempio, se veramente si mettesse mano a rendere efficiente e non dispersiva la nostra rete di distribuzione, già da quello si ricaverrebbe quanto da un reattore. Si tratta quindi di discutere con intelligenza e senza demagogia di una scelta che riguarda sia noi sia quelli che verranno dopo".
Anche sulle fonti rinnovabili si intuisce che esistono una serie di lobbies che tendono a spingere in questa direzione. Spesso, infatti, non si dice che sono fonti discontinue e che richiedono forti investimenti. Non è che nelle logiche di convenienza si smette di cercare una soluzione veramente praticabile?
"In questo la campagna referendaria non dovrebbe cedere all’irrazionalità o alla furbizia. Io penso che se la politica no riprende anche la propria dignità di voler spiegare con intelligenza e chiarezza quali sono i problemi che tutti abbiamo davanti. Anche le fonti rinnovabili sono soggette non solo a interessi ma anche di fattori che non sono piacevoli da trattare. Pensiamo ad esempio alla camorra che ‘punta’ all’eolico in meridione. E questo spiega anche la sfiducia emotiva di molti italiani nei confronti delle scelte che mettono a rischio la nostra sicurezza. Perché se sono insufficienti i controlli e prevale un certo egoismo è chiaro che tutto ciò genera una certa fragilità culturale. Due mesi fa, davanti
alla crisi del nord Africa, tutti quanti dicevano che occorreva tornare di corsa al nucleare. Poi, con quel che è capitato in Giappone, si è fatta marcia in dietro.
Io ritengo, invece, che quelli che se ne occupano dovrebbero discutere seriamente del perché l?Italia non ha un piano energetico. Discutere sul piano energetico conviene a tutti".
Quindi, in definitiva, ci si potrebbe anche ritrovare tutti d’accordo sulla scelta di un mix energetico?
"Mi sembra che questa volta sono molte anche le associazioni che sono intervenute sul confronto, anche a favore del nucleare. Questo fa ben sperare che prevalga un’informazione vera piuttosto che demagogica".
Insomma, questa è una situazione su cui occorre riflettere al di là delle posizioni ideologiche e partitiche.
"Sì. Probabilmente c’è finalmente la possibilità di discutere una questione vera. Personalmente ritengo che non occorra più dividersi su questioni secondarie. perché indipendentemente dalla scelta che passerà, siamo tutti vittime dell’arretratezza. Non è che l’Italia colmerà il gap tecnologico nei confronti degli altri paesi. Il punto vero è che da noi non si investe sulla ricerca, da qualsiasi parte la si voglia guardare. In questo noi abbiamo un problema che riguarda l’intero Paese e finalmente ne discutiamo pubblicamente".