Riccardo Dugini, Luca Petrarchi, Massimiliano Zatini e Alessandro Pagani sono i componenti della band indipendente fiorentina che ha pubblicato, a febbraio di quest’anno, ‘Wagon Songs’: un disco dalle sonorità ‘vintage’ in cui l’esperienza non cede mai a virtuosismi gratuiti
Con ‘Wagon songs’, gli Stolen Apple confermano di aver venduto l’anima al punk. Ma la chiarezza delle loro radici negli anni ’90 del secolo scorso, invece di contaminarsi con il ‘post rock’ italiano, così devoto alle atmosfere sintetiche, si distingue per l’afflato internazionale attraverso una riscoperta delle radici anglosassoni del genere. Insomma, per tutte quelle orecchie che non sanno scegliere tra il ‘grunge’ ruvido dei Pearl Jam e le suggestioni graffianti dei Joy Division, l’ultimo disco degli Stolen Apple costituisce un buon compromesso. Formato da musicisti d’esperienza, i ragazzi che compongono questo gruppo fiorentino non sono dei semplicisti del ‘grunge’, né del ‘post rock’, ma una realtà indipendente italiana che si connette, in piena continuità, con l’evoluzione musicale internazionale, senza prone induzioni e con notevoli ‘spunti’ di originalità. Li abbiamo incontrati proprio per discutere insieme a tutti loro cosa rappresenti ‘Wagon Songs’ in quanto tappa fondamentale di maturazione degli Stolen Apple.
Alessandro, Massimiliano, Luca e Riccardo, come si sviluppa il concept di ‘Wagon Songs’? E come si riflettono le vostre distinte identità nell'album?
Alessandro Pagani: “I brani sono nati in maniera del tutto spontanea, senza una definizione preconcettuale, semplicemente raccogliendo spunti e idee dall'esperienza musicale che ognuno di noi si porta dietro. Niente di particolarmente cerebrale o confezionato: l'immediatezza è la peculiarità che ci contraddistingue. Con la stessa naturalezza, ognuno di noi ha portato nel disco qualcosa di originale e più nascosto, scavando maggiormente a fondo nella propria attitudine legata alla sensazione del momento”.
Massimiliano Zatini: “Infatti, non c’è nessun ‘concept’. Anche perché, in tutta la mia esperienza musicale, non ho mai pensato a lavorare su un tema preciso. Concepisco il ritmo come un lavoro di tessitura su cui far appoggiare gli altri suoni da far emergere ogni tanto, come il rumore di un motore a cofano aperto. Amo molto tutto ciò che è di derivazione ‘afro-americana’, ma anche il suono e il mood di gruppi come The Who o Television, che considero fondamentali e che cerco di tenere come ‘faro’ di tutta la mia esistenza, non solo quella musicale”.
Luca Petrarchi: “Neanche a me piacciono i ‘concept’. Il nostro disco, in realtà, è abbastanza anarchico e istintivo. Io lascio alcune parti di chitarra aperte all'improvvisazione: fino al momento della registrazione, alcune neanche esistevano e non si ripeteranno”.
Riccardo Dugini: “Anch’io penso che ‘Wagon songs’ non sia un ‘concept’. Tuttavia, ci sono temi ricorrenti, ma senza un'idea pianificata che guidasse l'album. Il disco è meno intimista e personale del precedente, più collettivo nell'approccio alla musica, diretto e teso nei testi. Non più tanto storie, quanto immagini. Una lente sulla solita umanità marginale, che qui vive di resistenza alla barbarie (‘Passion’). E una totale assenza di pulsioni patriottiche, fino alla costante ricerca di libertà, fisica e sessuale. Si sfiorano in modo molto implicito i temi della catastrofe ambientale (‘Suicide’) e del sovranismo (‘It's up your mind’), oppure visioni apocalittiche e surreali come in ‘Out of fashion’. È un disco teso e, al tempo stesso, improntato profondamente all'ironia. Un disco molto anarchico, finalmente”.
Dal momento che il ‘grunge’ della vostra produzione, non smentito dall'ultimo disco, rappresenta una delle ultime sfaccettature del punk, che opinione vi siete fatti della sua ricezione?
Massimiliano Zatini: “Non mi è mai rimasto congeniale classificare le cose, quanto piuttosto ascoltare ciò che emanano e dare importanza anche a un solo particolare che mi colpisce. Penso alla musica come linguaggio emotivo. Ed è per questo che è il più universale, perché bene o male scava sempre negli strati più profondi di ognuno di noi: classica, rock o altro che sia. Ognuno di noi vi si riconosce e la genera in modo diverso, vivendo fasi punk, grunge o pop senza accorgersene nemmeno”.
Alessandro Pagani: “Come Massimiliano, credo che come Stolen Apple non siamo particolarmente legati a definizioni di stile, che lasciano sempre il tempo che trovano. Può darsi che nella nostra musica si trovi qualche contaminazione ‘grunge’. Gli anni '90, dal punto di vista musicale, hanno un forte significato perché segnano uno spartiacque importante tra il passato e il futuro. Ma ci sentiamo più vicini a un'idea di ‘nuovo punk’, che sicuramente deve ancora essere esplorato a fondo e che ci piacerebbe approfondire”.
Riccardo Dugini: “Mi riallaccio a quanto detto da Alessandro: il ‘grunge’ ha influenzato i nostri ascolti, ma a guidare ‘Wagon Songs’ è più un’attitudine punk, da quello primordiale di Iggy Pop alla scena ‘proto-punk’ odierna, che si ripresenta attualissima in un momento di grande perdita identitaria del rock. Forse, oggi ci sentiamo più vicini al rock declamato e teso di Idles, Protomartyr e Fountaines Dc, che non al ‘grunge’. Detto questo, Kurt Cobain continua a esercitare fascino ed energia in chi, come noi, gli è stato coetaneo: un grandissimo cantautore punk”.
Luca Petrarchi: “Insomma, il punk è come una camicia di flanella che trovi anno dopo anno tra le offerte di un grande magazzino: alla fine, comprendi che è l'unica cosa che hai sempre notato e, quando la indossi, ti senti a tuo agio”.
L'underground musicale si nutre più del mainstream della dimensione del concerto, preclusa dalla recente pandemia: quali sono le possibili strategie per raggiungere il pubblico?
Riccardo Dugini: “Sinceramente, non ne riscontriamo altre. E se ci sono, troviamo complicato 'improvvisarle'. In questo momento, l'unica via possibile sarebbe passare attraverso emittenti radio o locali attrezzati per dirette streaming”.
Massimiliano Zatini: “In realtà, sarebbe affascinante come esperienza, ma non è semplice, per chi orbita in circuiti di piccolo cabotaggio come noi, accedere a simili opportunità o poter allestire situazioni domestiche davvero efficaci. Durante il ‘lockdown’ non siamo neppure riusciti a fare le prove, perché sicuramente la sala che utilizziamo da sempre nella cantina di Riccardo non può garantire distanziamenti di sorta. Eppure, non la cambieremmo con nessun altro posto: è parte integrante di noi e del nostro suono”.
Alessandro Pagani: “L'impatto visivo e assieme sonoro è il massimo aspetto in termini di visibilità: tutto il resto è la solita campagna promozionale che stiamo facendo ininterrottamente dall'uscita del disco e che, seppur importante e imprescindibile, non lascia emozioni così grandi quanto un concerto. In questo senso, il ‘live’ è il premio del lavoro promozionale fatto”.
Luca Petrarchi: “Inoltre, di strategie particolarmente innovative, al momento non ne vedo: dobbiamo attendere che questo momento finisca. Il rapporto diretto dei concerti resta la miglior soluzione per fare conoscere la propria musica, soprattutto per chi non ha un supporto economico importante. Altrimenti, un’altra strada potrebbe esser quella di cercare di unire le forze con chi produce altra arte indipendente, per esempio quella visiva”.
NELLA FOTO QUI SOPRA: GLI STOLEN APPLE SI ESIBISCONO AL NOF DI FIRENZE
AL CENTRO: LA COPERTINA DI 'WAGON SONGS'
IN APERTURA: UN ALTRO MOMENTO DEL CONCERTO FIORENTINO