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Ritorna la Coppa Rimet dopo lo stop forzato della guerra. Ci sono anche i ‘maestri’ inglesi, che perdono malamente con i mediocri americani. Toccata e fuga degli Azzurri, mentre da giorni tutto è pronto per festeggiare i carioca. Il Brasile, però, perde la finale che stava vincendo. Al Maracanà è un risultato shock, che si trasforma in uno psicodramma collettivo
La sospensione del torneo, a causa della guerra, impedisce lo svolgimento di due edizioni del Mondiale (’42 e ’46) e probabilmente anche la definitiva consacrazione dell’Italia di Pozzo a migliore squadra del pianeta, capace, col terzo titolo, di impossessarsi per prima della coppa Rimet, che proprio in questa edizione viene ufficialmente così rinominata in onore del Presidente Fifa. Durante i 12 anni di ‘limbo’ il calcio sudamericano continua a essere giocato, crescendo di livello. Il Brasile, costretto nel ’38 a uscire di scena, in una partita che riteneva già vinta in partenza, ottiene ora l’organizzazione del suo Mondiale e intende dimostrare la sua superiorità. Tutti, questa volta, sono pronti a scommettere che vincerà il trofeo. Al punto che all’ultimo incontro, quando ancora il risultato non garantisce la certezza matematica, viene allestito il cerimoniale per la premiazione, i festeggiamenti e tutto il loro corollario, in funzione della vittoria dei padroni di casa. La nostra Nazionale è tutt’altra squadra rispetto a quella pluripremiata di Pozzo. Ha cambiato l’intero assetto, costretta dalla guerra e dalla tragedia di Superga che ha decimato il Grande Torino di Valentino Mazzola. C’è da rifare quasi tutta l’ossatura, anche se ci vorranno anni prima di riavere una formazione competitiva. Ora il credo moderno è quel ‘sistema’ dei maestri inglesi (centrocampo a 4: due mezze ali e due mediani) in virtù del quale don Vittorio viene gentilmente messo da parte con piccoli contentini: troppo antiquato, ci dispiace. Si goda pure la nuova grande casa nella periferia di Torino. Un titolo di prestigio presto gli verrà riconosciuto, lo rassicurano. Non accadrà mai. Al suo posto è nominata una commissione tecnica presieduta da Ferruccio Novo, orfano del suo Torino, supportato da Aldo Bardelli e Roberto Copernico. Nel ’50 siamo una Nazionale giovane, in rappresentanza di un Paese diverso, da poco divenuto Repubblica (sparisce sulle maglie azzurre lo stemma sabaudo e compare il tricolore) la gente è animata da un forte desiderio di rinascita, che lega indissolubilmente elle novità dell’epoca, come la topolino. In questo clima di rinnovate speranze, i soldi ricominciano a circolare e il calcio non ne rimane escluso, anzi, inizia il periodo dei grandi sperperi, degli acquisti milionari. Chi ha più liquidi è la Juve degli Agnelli, che domina il campionato. E’ la Vecchia Signora, infatti, a offrirsi come vivaio per la Nazionale. Ma la pioggia di denaro incrementa la presenza di stranieri nel campionato (Nordahl, Hansen, Nyers) tutti tra i primi posti nella classifica marcatori. Ciò non giova alle nuove scoperte locali e alla ricostruzione del nuovo gruppo azzurro che deve difendere il prestigioso titolo di Campioni del Mondo. Il Pci, nonostante Togliatti tifi Juve, si indigna per l’enorme sperpero di soldi. Nel frattempo, in Nazionale l’attesa per il Brasile è serena: ci riteniamo ancora tra i più forti. Decidiamo di partire sulla Sises, il piroscafo offerto gratuitamente da Agnelli e preferito al più veloce aereo. Il tragico schianto di Superga evidentemente è ancora bene impresso nella memoria e scuote forte gli animi. Saranno però due settimane di viaggio che metteranno a dura prova la condizione psicofisica dei giocatori.
IL TORNEO – Si gioca in Brasile, perché è l’unico ad aver avanzato una candidatura alla Fifa. L’Europa del Dopoguerra deve ancora fare i conti con la ricostruzione per i danni subiti e non c’è Paese dotato della volontà né della possibilità di organizzare un grande evento sportivo. L’Italia partecipa come invitata eccellente, avendo vinto l’edizione ultima. Le altre squadre devono affrontare una prima fase a gironi. Sono 4 e passa il primo classificato. E’ la grande novità fortemente voluta dalla federazione brasiliana, che ha vinto il braccio di ferro contro la Fifa nel Congresso di Londra del ’48. Il Brasile ritiene poco accattivante la vecchia formula, per cui una squadra, dopo un lungo viaggio, rischia di tornare a casa alla prima partita disputata. Tra gli assenti, a parte quelli ovvi di Giappone e Germania, si registra l’Argentina. C’è chi dice per qualche ripicca, chi perché non sia dotata di una formazione valida. Ha perso i suoi uomini migliori, migrati in Colombia, attratti dagli stipendi d’oro e perciò squalificati dalla federazione d’origine. Il torneo perde così figure illustri, come la “saeta rubia”, Alfredo Di Stefano. In realtà la grande assente è l’Europa: gli eventi bellici hanno indebolito molte formazioni. A parte la squalificata Germania, sono assenti Austria, Ungheria e Cecoslovacchia. Escono, invece, finalmente dal lungo isolazionismo, l’Inghilterra e la Scozia, mentre fa il suo ritorno l’Uruguay che, come il Brasile, vuole dare prova al mondo del miglioramento tecnico sviluppato negli ultimi anni. Alla fine si giunge al miracoloso numero di 13 partecipanti, viste le defezioni proprio a ridosso del Mondiale (India, Scozia e Turchia) tanto che la Fifa deve ripescare squadre precedentemente eliminate, con una scelta di dubbia correttezza sportiva.
FASE A GIRONE - Inaugura il Brasile, a Rio de Janeiro, in Brasile vs Messico il 24 Giugno, nell’ancora incompleto stadio di Maracanà, ma già capace di ospitare un vastissimo pubblico. Lo stadio sembra portare fortuna ai padroni di casa, che dopo aver stracciato il Messico per 4-0, altrove, a San Paolo, raccolgono solo un pareggio per 2-2 che va bene alla Svizzera, ma tornando a Rio, ritrovano la vittoria contro la Jugoslavia: 2-0. La Seleção chiuderà il girone al primo posto con 5 pt, passando alla fase successiva. L’Italia, per il forfait dell’India, si ritrova in un ‘triangolare’, con Svezia e Paraguay. La prima partita la giochiamo contro gli scandinavi. Il vantaggio al 6’ di Carapellese, novità dell’attacco del Torino, sembra sedare le polemiche all’interno della commissione tecnica, per uno schieramento che include troppi novellini e lascia in panchina veterani come Amadei. Poi, complice probabilmente una insufficiente forma fisica per il viaggio in nave, la partita termina con la sconfitta di 3-2. Un risultato indecoroso, reso ancora più umiliante se si considerano le pesanti assenze tra le fila avversarie di Nordahl e Liedholm, dominatori del campionato nostrano, ma assenti per le proteste della loro federazione che ha deciso di non schierare professionisti. Nella partita successiva, il pareggio tra Svezia e Paraguay porta a 3 pt i nordici, mettendoli al sicuro da qualsiasi risultato dell’ultimo incontro rimasto. Quando si disputa Italia-Paraguay, infatti, i giochi sono fatti, ormai. La vittoria per 2-0 è buona soltanto per salutare il Mondiale con un miserrimo secondo posto. Gli Italiani d’America si sentono traditi, sono disperati e inferociti. Meglio tagliare la corda senza alimentare le polemiche. Si rientra a casa con la consapevolezza che tutto è ancora da rifondare e col dubbio che forse quella lunga traversata in nave poteva essere evitata. Il rientro avviene in aereo. Solo il matto di Lorenzi opta per la nave, trasformando il viaggio in una vacanza. Giungerà in Italia dopo un mese. Nel girone più ostico, la Spagna chiude a punteggio pieno. Trascinata dal duo d’attacco Basora-Montoya (quest’ultimo è il capocannoniere più prolifico della Liga) travolge, in ordine, Stati Uniti, Cile e Inghilterra, chiudendo la prima fase con 6 gol fatti e 1 subito. I ‘maestri’ inglesi partono bene, 2-0 sul Cile. Perdono però le successive partite. Clamorosa la sconfitta contro gli Usa, contro quell’ “Armata Brancaleone” che il calcio non lo chiama nemmeno ‘football’ ma ‘soccer’. Eppure iniziano bene, attaccano a spron battuto, ma devono piegarsi ai pali e ai miracoli del portiere Borghi. Il risultato finale rimane una figuraccia storica, impensabile tanto che quello 0-1, viene scambiato nelle redazioni inglesi come un errore di comunicazione. Sarà 10-1, pensano in madrepatria, più preoccupati per la prima storica sconfitta della Nazionale di cricket contro l’India.
FASE FINALE – Alla seconda e ultima fase accedono Brasile, Spagna, Svezia e Uruguay che danno vita a un nuovo girone unico in cui, per la prima volta in un Mondiale, il titolo di vincitore è deciso a punti, senza partita secca. Quasi 140 mila spettatori accorrono al Maracanà per applaudire la goleada del Brasile sulla Svezia: 7-1. Ademir sigla un poker che gli regalerà il titolo di capocannoniere. Solo un rigore viene concesso agli ospiti. Il pubblico non ha dubbi: questione di pochi giorni e la coppa verrà sollevata al cielo dal Brasile. Sembra facilitare quel pronostico anche il pareggio tra Spagna e Uruguay. Quando, nella seconda partita, la Seleção deve affrontare la Spagna, ha modo di dimostrare di essere una squadra davvero superiore. È ancora una partita di tennis: 6-1. L’impressione, tra gli esperti, è che non ce ne sia per nessuno, ma l’Uruguay ha vinto sulla Svezia, raggiungendo quota 3 pt. in classifica, uno in meno dei padroni di casa. Nello scontro diretto potrebbe superarli, ma la sconfitta non è minimamente presa in considerazione. Basta anche il pareggio perché tutto rimanga uguale, consegnando la Vittoria Alata ai carioca. Quel pomeriggio del 16 Luglio il Maracanà esplode. Si parla di oltre 200 mila spettatori. Non è la finale, ma l’incontro viene spostato all’ultimo giorno, per via di una pioggia torrenziale e, per una casuale combinazione della classifica, finisce per assumere tutti i contorni di una finalissima. Chi vince, infatti, porta a casa il trofeo. Come da programma, il Brasile passa in vantaggio per primo, con Friaça, che già si immagina la sua limousine bianca fuori dallo stadio. Ce n’è una per ogni titolare, come gradito omaggio per la scontata vittoria. L’Uruguay è certamente forte, ma di fatto ancora inferiore e risulta improbabile, con quel risultato, una rimonta. La partita per certi versi sembra monotona, col Brasile intento ad attaccare “per seppellirli di gol!” come vuole il pubblico, mentre l’Uruguay si difende bene, coprendo gli spazi per ripartire ad ogni buona occasione. La goleada non arriva e lentamente l’entusiasmo iniziale dei brasiliani scema. Va a insinuarsi in loro un sottile nervosismo. Non devono essere abituati alla guerra psicologica in campo. I Celesti invece sanno stringere i denti e aspettare. Qualcosa sta cambiando. Infatti, al minuto 66 Schiaffino pareggia. Eppure il pari suona ancora bene, viene vissuto sugli spalti quasi come se nulla sia successo. In fondo manca ormai meno di un quarto d’ora e si è sempre campeones. Rimet è già sceso negli spogliatoi con in mano la Coppa e il discorso da fare ai brasiliani. Contro le aspettative, invece, sono i giocatori carioca che iniziano a tremare: hanno perso il furore iniziale e temono il peggio. Gli uruguagi del capitano Varela si accorgono che il ribaltamento è a portata di mano. Ci credono e lo realizzano con il secondo gol di Ghiggia. Iniziano gli ultimi dieci minuti di agonia, giocati in un silenzio tombale. Al fischio finale, i campeones sono quelli della Celeste, per la seconda volta nella loro storia, come l’Italia. Al Brasile, ancora a secco dopo 20 anni, non resta che la disperazione e la conta di un centinaio di morti ‘addolorati’ per il “disastro del Maracanà”, il Maracanazo. Uno psicodramma collettivo dal quale si riprenderanno diversi anni dopo.
Vincitore: Uruguay Capocannoniere: Ademir (Brasile) 9 reti