A pochi giorni dal Natale si discute di salario minimo e del rischio di tornare alla gabbie salariali, affrontando temi come l’importanza dell’emancipazione femminile o la necessità di superare il ‘gender gap’, ossia la disparità economica tra uomo e donna
A pochi giorni dal Natale si discute di salario minimo e si parla del rischio di tornare alla 'gabbie salariali'. Si affrontano temi come l’importanza dell’emancipazione femminile e la necessità di superare il ‘gender gap’, ossia la disparità economica tra uomo e donna. La libertà femminile passa per il lavoro, certo, ma retribuito. Ricordiamo l’indignazione che provocò, nel lontano 2006, a noi studenti universitari, la lettura del libro-denuncia ‘The Jungle’ (La giungla, ndr) di Upton Sinclair del 1906. Un 'romanzo-denuncia' sul mondo del lavoro senza tutele, ambientato nell’America del 'sogno americano', che sfruttava fino alla morte gli operai emigranti impiegati nell’industria della carne di Chicago. Gente sottopagata, ridotta alla fame, a sua volta carne da macello del capitalismo senza freni di inizio del secolo scorso. Eppure, la situazione attuale, dopo un secolo di battaglie, non è affatto rosea. Se negli anni ‘70-’80 del secolo scorso si assisteva a una certa stabilità come coronamento di tante battaglie, dagli anni ‘90 viviamo un decadimento rovinoso. Con la legge n. 196 del 1997, nota come ‘pacchetto Treu’, si rese possibile l’introduzione del lavoro interinale, per poi giungere, con la riforma Biagi - chiamata ingiustamente con il nome del giuslavorista bolognese che aveva scritto un famoso ‘Libro Bianco’ sulla condizione dei lavoratori più giovani - a una nuova disciplina in materia di occupazione e mercato del lavoro. Si è arrivati, così, alla piaga dei contratti di lavoro flessibile, come quella dei co.co.pro (contratto a progetto, ndr), della somministrazione di lavoro del contratto di lavoro ripartito, al contratto intermittente o di lavoro accessorio e al lavoro occasionale. Se nei primi anni si è assistito a una diminuzione del tasso di disoccupazione, per i benefici fiscali nei confronti delle imprese, nel lungo termine, l’unica stabilizzazione è stata quella della precarietà cronica. Con la riforma Fornero del 2012, sono state diminuite le possibilità di reintegro del lavoratore in caso di licenziamento ingiustificato. Ma uno dei colpi di grazia più dolorosi sono stati inflitti dal ‘Jobs act’ del governo Renzi, con un ulteriore indebolimento del contratto di lavoro a tempo determinato e l’abolizione, di fatto, dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Per non parlare di chi è costretto ad aprirsi la partita Iva per poter accettare lavori da dipendente ‘mascherati’ da collaborazioni esterne. In quest’ambito si naviga nel mare delle fatture non pagate e la normale condizione ‘sine qua non’ della consegna del lavoro solo a pagamento ultimato viene percepita come un ‘ricatto’ e non più come ‘la fornitura di un servizio’. Quasi completamente liquefatta la rappresentatività sindacale, l’indebolimento della giustizia sociale accerchia il lavoratore, che si trova impossibilitato a costruire il proprio futuro. Più che rubato, quest’ultimo è stato smantellato. Tra i primi decreti proposti dal nuovo governo, nel 2022 ci fu quello della stretta nei confronti dei ‘rave party’: chi organizza queste feste, in genere lo fa presso le fabbriche abbandonate, o sul terreno di quelle che l’antropologo Massimo Canevacci definì: “Le macerie dell’era industriale”. E non rimane altro che danzare senza dover pagare il biglietto. Anche perché, senza alcun lavoro, non lo si può proprio fare.