Molte stime dipingono una situazione difficile per l’area nord-occidentale del Paese, che presenta molte più ombre che luci nel contesto di un’Italia settentrionale in cui le dinamiche per un possibile rilancio restano complessivamente buone
Non si vede luce in fondo al tunnel di una politica del lavoro disastrosa, che depaupera quotidianamente Torino (la città d’Italia dove chiudono più attività lavorative al giorno) e la sua ‘Spoon River’ occupazionale. Secondo alcuni dati diffusi dal Consiglio regionale, in Piemonte, la lunga crisi recessiva attraversata dal Paese ha lasciato macerie ormai evidenti in tutta la sua drammaticità: il trimestre luglio-settembre ha fatto registrare un calo degli occupati di 17 mila unità, concentrati in buona parte nell’industria manifatturiera (-25 mila addetti nel settore), che dopo un brillante inizio d’anno, già nel secondo trimestre risultava in flessione, mentre resta sostanzialmente stagnante la situazione nei servizi (+2 mila unità) e solo l’agricoltura mostra una dinamica positiva apprezzabile (+4 mila dipendenti). La diminuzione interessa esclusivamente il lavoro alle dipendenze (-34 mila occupati), mentre cresce di 16 mila unità la componente autonoma, trainata dai servizi non commerciali. Aumenta, coerentemente rispetto ai dati, la disoccupazione (+9 mila persone in cerca di lavoro), frutto di una forte crescita delle donne (+23 mila), il cui tasso di disoccupazione è salito di 2,5 punti percentuali rispetto all’analogo trimestre 2018, superando di poco la soglia del 10%, a indicare una forte tensione verso il lavoro (il tasso di attività femminile passa dal 64,1 al 65,3%) che non sembra però trovare un adeguato sbocco occupazionale. Diminuisce, per contro, la disoccupazione maschile e si amplia, considerevolmente, il divario di genere. Il quadro trimestrale ha mostrato, però, nel corso del 2019, sbalzi non trascurabili, dovuti presumibilmente alla minore stabilità delle stime regionali sul breve periodo. Nell’insieme, insomma, i dati dipingono, per il Piemonte, una situazione difficile, con più ombre che luci e che vede l’intera regione arretrare nel contesto di un nord d’Italia, dove le dinamiche restano complessivamente buone. La crisi sferza ancora il Piemonte: a dimostrarlo, ci sono anche i dati della cassa integrazione. Sono circa 50 le imprese che ne fanno ricorso; 2500 gli addetti coinvolti, prevalentemente nei settori metalmeccanico e dell’editoria, tra i quali si evidenziano ben 20 imprese in cassa integrazione per cessazione attività, che coinvolgono circa 800 persone. A queste, si affiancano altre 75 aziende che attuano la cassa integrazione per contratti di solidarietà, tra cui la più nota è proprio ‘Fca’, con 4 mila dipendenti in cassa. Il settore metalmeccanico resta il più colpito dalla crisi di questi anni, seguito dalla chimica, dalla gomma, dal commercio e, persino, dal settore dell’abbigliamento. E non è finita. Si prevede, per il 2020, un ulteriore aggravamento della situazione, come dimostrano i recenti focolai di crisi emersi alla fine dello scorso anno, come quello della Martor di Brandizzo; la Mahle (450 addetti con procedura di licenziamento collettivo in corso); o la stessa Ilva (800 lavoratori coinvolti, più l’indotto, con migliaia di imprese piemontesi costrette a fermare la produzione). E tutto ciò avviene a pochi chilometri da Milano, che resta e, anzi, aumenta, ogni giorno, la propria forza propulsiva nazionale. Una divario divenuto ormai evidente: in Piemonte, mala politica currit.
NELLA FOTO QUI SOPRA: OPERAI DELLA MAHLE IN SCIOPERO
AL CENTRO: L'ASSESSORE AL LAVORO DELLA REGIONE PIEMONTE, ELENA CHIORINO
IN APERTURA: UN ROBOT IN FASE DI ASSEMBLAGGIO
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