Giunto ormai alla quarta pubblicazione sull’onda del filone comico-umoristico, l’autore di ‘500 chicche di riso’, uscito a maggio 2019 per 96 Rue de-la-Fontaine edizioni, è un cittadino attivo nella vita culturale fiorentina, ma anche nella distribuzione e composizione musicale, essendo il batterista del gruppo underground, Stolen Apple
Ed eccoci innanzi a questo nuovo lavoro di Alessandro Pagani, intitolato ‘500 chicche di riso’ ed edito da '96 rue-de-La-Fontaine' edizioni. Un compendio di freddure in cui questo autore conferma le sue ottime qualità di fine umorista, mai pesante, che allieta i suoi lettori con battute analogiche e raffinate. In molti pensano che per scrivere un libro umoristico si debba cercare il paradosso forzato, oppure il banale doppio senso: le cose non stanno affatto così. Il vero umorismo è molto sottile. E bisogna esser proprio bravi a farlo, soprattutto in un’Italia ‘spaesata’, che si perde tra grida e insulti di grana piuttosto ‘grossa’, quando non grossolana. Certo, nel ‘trionfo del trash’ in cui stiamo vivendo, Pagani sembra quasi ‘fuori moda’: un aristocratico della comicità letteraria. Tuttavia, i suoi lavori sono straordinari e rilassanti, degni di esser letti con interesse, poiché soddisfano pienamente le attese. E infatti, alla fine abbiamo deciso di contattarlo per proporre il suo pensiero direttamente ai lettori, anche al fine di non complicare troppo un giudizio che merita la stessa semplicità che questo autore utilizza per creare le sue ‘pillole’ geniali.
Alessandro Pagani, con ‘500 chicche di riso’ sei ormai alla quarta pubblicazione: come è nata l’esigenza di esprimerti anche nella scrittura, oltre che nella musica?
“A me piace scrivere da sempre. Non è una cosa avvenuta improvvisamente, da un giorno all’altro. Già da ragazzo ho iniziato a riempire i primi fogli bianchi, prendendo spunti dai libri che leggevo, appuntando e rielaborando citazioni e aforismi. Gradualmente, ho seguito la vena umoristica che percepivo dentro di me. Ho scelto questo filone perché mi è venuto spontaneo: sono un tipo originale, credo. E ogni cosa, per me, è fonte di una risata. Mi piace stemperare le preoccupazioni cercando di sorridere. È una validissima alternativa, anziché buttarsi giù nei momenti difficili della vita. Bisogna imparare a guardare sempre il bicchiere mezzo pieno”.
E' per l’ottimismo che emerge dalle tue ‘pillole’ che consiglieresti di leggere un tuo libro?
“Bisogna sempre ridere di noi stessi. Secondo me, è un antidoto eccezionale per superare i momenti difficili della vita. L’autoironia aiuta anche a crescere. Trovo che il sorriso sia un metodo importante per evolversi”.
‘500 chicche di riso’, non una di più né una di meno: che significato ha, per te, il numero 500?
“Nelle mie pubblicazioni sto seguendo un filone di numeri che, tutto sommato, hanno un loro senso logico. Ho cominciato con ‘Perché non 100’, una raccolta di 99 poesie. Poi ho continuato con ‘Io mi libro’, dove c’era un numero tondo di frasi. Ogni giorno, ne sforno qualcuna, ma ce n’è sempre un’altra che rimane fuori. C’è, comunque, una numerologia. Magari, al prossimo saranno mille”.
Che differenze hai riscontrato tra il mondo dell’editoria emergente e quello della musica underground?
“Secondo me, non c’è tanta differenza tra i due universi. Tra le altre cose, curo la promozione del gruppo. Vengo da un’esperienza di ‘Shado Records’ di cui sono stato l’ideatore, insieme ad altri personaggi fiorentini. Vista l’esperienza che ho avuto con l’etichetta, ho deciso di curare io l’immagine e la visibilità della band. E lo sto facendo anche con questo libro, grazie ai contatti che sono riuscito ad avere nel frattempo, ottenendo sempre ottimi risultati e buoni riscontri. L’altro lato della medaglia non so com’è: sono rimasto sempre nell’underground, se di underground si può ancora parlare. Non so cosa significhi avere una major alle spalle, ma a me questa fase artigianale è sempre piaciuta: la trovo molto più genuina. In questo modo, infatti, non scendo a compromessi. Sono abbastanza libero, anche di scegliere le persone che parleranno del mio libro o del mio gruppo. Questo, perché prima di essere giornalisti, oppure operatori del settore, siamo amici”.
E' quindi importante che ci sia una rete di persone?
“E' la solidarietà, quella che non deve mai venire a mancare, perché si porterebbe dietro la genuinità artistica. Certo, non mi dispiacerebbe avere maggiori fondi ed entrate. Penso che oggi sia anche più facile rispetto a 20 anni fa. L’ho visto con ‘Shado Records’: prima non esistevano questi modi veloci e tangibili come la rete, per lanciarsi e per proporsi. Oggi, tutti possono esprimere facilmente il proprio pensiero”.
Nella rete le cose si disperdono anche...
“Sono d’accordo, ma bisogna anche mettersi dalla parte del fruitore, di chi riceve il messaggio. Ha più scelta e quindi, nell’inflazione delle varie proposte, si può mantenere un livello di qualità artistica alto. Se non fosse così, diventerebbe un minestrone in cui non si dice più nulla”.
Si può rintracciare un filo rosso che lega le tue pubblicazioni alla tua produzione musicale? C’è una poetica comune di fondo?
“Lavoro molto sulle parole, sulla ritmica del dialogo comico e della gag umoristica. Essendo un batterista, penso di conoscere molto bene il tempo comico di una frase. Venendo da una situazione di percussionismo, in cui il ritmo è l’anima, la parola dev’esser messa in quel preciso istante, in quel momento, all’interno della frase. Come quando suono la batteria: quel colpo, rullante e timpano, debbono combaciare perfettamente tra loro, insieme a tutti gli altri movimenti delle bacchette sulle pelli. C’è, dunque, un’assonanza, secondo me”.
A livello di elaborazione del contenuto, invece?
“Il parallelo è nell’improvvisazione, che viene sempre dall’esperienza che è importante. Se noi un brano lo buttiamo giù in un certo modo, è perché l’esperienza parla del passato. Non siamo più ragazzini di ‘primo pelo’: ormai siamo forgiati dalla vita. Dunque, le cose che scrivo non sono tanto dettate da studi o da teorie. Sono le esperienze di vita toccate con mano a risuonare, a prendere forma di parole. Sono i valori, la famiglia, gli amici. Persino la famiglia degli amici e il lavoro rientrano nella composizione. Quello che ci circonda va a finire nel bagaglio dell’esperienza. Ed è da lì che si attinge”.
Tra le ‘500 chicche’ a quale sei più affezionato?
“Io le adoro tutte. Forse, dovrei rispondere come un teologo: la prossima, quella che non ho scritto ancora. Sarebbe un incitamento a migliorarsi. Perché poi, rileggendo il tutto anche con gli amici, uno può sempre fare un salto di qualità. ‘Il marito della cuoca è geloso del suo passato’ mi piace tanto, ma non saprei davvero”.
Ci hai fatto venire in mente un insegnamento di Stefano Benni circa la composizione: “Lo scrittore migliore non è quello che scrive sempre, ma quello che riscrive sempre”...
“Per farti un esempio: ci sono parole che utilizzo da anni. Magari incastrandole in frasi diverse, ma la parola è sempre quella. Per cui, è una ripetizione ma è sempre anche un rinnovamento, grazie al linguaggio. Soprattutto, della lingua italiana, che infatti è bellissima. Non vorrei dire che è la più importante, perché magari sarebbe troppo. Anche se credo sia in grado di aprire prospettive, che rimangono sconosciute alle altre lingue”.
NELLA FOTO QUI SOPRA: ALESSANDRO PAGANI, AUTORE DI '500 CHICCHE DI RISO'
AL CENTRO: L'AUTORE IN UNA FOTO SCATTATA AL LAGO
IN ALTO A DESTRA: LA COPERTINA DEL SUO ULTIMO LIBRO