La famosa novella di Lewis Carroll, vero capostipite del genere 'fantasy', rivisitata da Antonio Agosta in maniera riflessiva e, al contempo, intrigante e divertente, sullo sfondo di uno scenario che appartiene pienamente alla narrativa fantastica
L’immortale personaggio nato dalla fantasia e dalla penna di Lewis Carroll è nelle pagine del libro di Antonio Agosta, in una reinterpretazione molto particolare. Sospesa in uno scenario della narrativa fantastica, con elementi anacronistici in un contesto storico passato, la nostra protagonista, Alice, che nel romanzo di Agosta è una bimbetta di due anni, viaggia nel ‘Paese delle Meraviglie’ come sospesa in un limbo dove le cose non hanno nome, alla ricerca di qualcosa che la identifichi, per risalire alle proprie radici, al proprio nome, alla sua stessa esistenza. La piccola è il frutto di un padre depresso, Giorgio, che si ucciderà lasciando la moglie e la bambina, ormai di tre anni, nel pieno del disorientamento affettivo. La piccola identificherà il nonno paterno come sostituto del padre. Qui il fattore psicologico del meccanismo di identificazione si complica. E il superamento del noto ‘complesso di Edipo’ si mischia con il ‘complesso di Elettra’, in cui la bambina si identifica nel nonno Federico per conquistare almeno l’affetto della propria madre. Ma la madre, Francesca, è partita ormai per l’Africa, per una missione medica nello Zimbabwe e il suo cane, un Labrador, viene soppresso perché malato. Non è semplice la formazione psicologica e sociale di questa ‘Alice moderna’. Anche perché, ai problemi di identificazione se ne aggiungono altri, affettivi e amorosi. La nostra fanciulla, a Londra, s’innamora di Flavio, chef non vedente abbandonato dalla sua ex, che viene amorosamente assistito da Alice come se fosse una predestinata badante. Eppure, nella vita di coppia, dopo 4 anni non mancherà la fatidica settimana bianca nell’Alto Adige, tra le guglie delle Dolomiti, con gli amici che la incoraggiano scherzosamente a portare avanti la gravidanza di un bambino che avrà lo stesso nome del suicida, Giorgio, il padre di Alice. Una carta del padre, la sua ultima lettera, ritrovata tra le pagine di un libro, la risveglia dal sonno delle sue meraviglie. Cosa c’è scritto in quella lettera? Per non parlare della ‘lettera-pugnalata’ di Francesca, sua madre. Se raccontasismo tutto, questo lavoro resterebbe confinato in libreria. Ironicamente, possiamo suggerire di aggiungere al titolo di quest’opera l’aggettivo ‘Santa’, così potremmo leggere: ‘Santa Alice è tornata dal paese delle meraviglie’. Questo libro, edito da Croce Edizioni, è caratterizzato da un continuo alternarsi di catastrofi e non solo riflessive, d’interazioni della protagonista sottolineate dal personaggio nella sua evoluzione emotiva e formativa, che mettono a dura prova la resilienza della nostra ‘santa Alice’: a volte, questo eccessivo utilizzo della ‘sfiga descrittiva’, pur creando dei momenti davvero interessanti rischia di far ridere a ‘crepapelle’, allontanandoci dalla narrazione stessa del novello romanzo, poiché l’autore resta molto concentrato nelle descrizioni circonlocutive fantastiche degli eventi, fin troppo reali, sottraendo luce ai vari elementi di una personalità davvero ben delineata, richiamando specifici capitoli o personaggi della storia originale. Ma forse Agosta voleva proprio questo: far divertire il lettore nella riflessione di ciò che ha scritto. Pur avendo apprezzato, in passato, il libro di Carroll, questo di Antonio Agosta lo preferiamo per l’atteggiamento critico verso i fatti che, quotidianamente, sembra si accaniscano su persone che desiderano vivere in tranquillità la propria esistenza. Non vogliamo definirlo un romanzo ‘comico-cinico’, tuttavia ci ricorda determinati film dei Monty Python: questo sì. La rosa rossa appoggiata sulla bara di Flavio, che non vedrà la nascita del loro bambino; un prete che svela la sua vita dissoluta nell’omelia funebre, concludendola in modo strampalato affermando: “Dal viaggio verso la morte, che nessuno prima d’ora ha mai fatto”, ancizhé “da quel viaggio dal quale nessuno è mai più tornato”. In ogni caso, ciò che colpisce nel libro di Agosta è proprio Alice, qui descritta, come un personaggio davvero magnetico nell’interazione con tutti gli elementi che le ruotano attorno. C’è anche il coniglio bianco dalle lunghe orecchie rosa, in uno scenario fisico e fantastico, memorabile nell’elencare tutte le cose: gli insetti, gli animali vertebrati ed invertebrati; il bruco le ricorda l’ultimo viaggio della madre in Africa; e infine arrivano gli struzzi, la scacchiera, l’alfiere con il copricapo da vescovo e la Regina, che nella sua autorità l’ammonisce crudelmente, dicendole a gran voce: “No, carissima Alice, questa sarà la tua nuova vita, per nulla fiabesca. Diménticati di avere un compagno. Tuo figlio nascerà qui e, da adulto, sarà il mio servitore”. Infine, ecco il Cappellaio Matto, i Fanti di Picche e il goffo Re: incubi, sogni, realtà e speranze sono gli ingredienti di questa gustosa e graditissima "torta al cioccolato affogato nella crema di fichi dal sapore di zenzero…”, che ci ha offerto Antonio Agosta. Una torta da accompagnare a una grossa e succulenta fetta di anguria, voglia preponderante nelle ore del parto incombente di Alice. Da notare che alcune parole, come “macedonia” contenute nel romanzo, trascinano il lettore nel labirintico evolversi dei suoi pensieri e delle vicende. Perché, in fondo, Alice e il suo mondo appartengo a tutti. Un romanzo divertente, insomma, riflessivo e intrigante, immerso in uno scenario che appartiene alla narrativa fantastica, se non fosse segnato da eventi credibili come il terremoto. Un'Alice che intraprende un viaggio tra i milioni di ‘doppi’ che il suo personaggio ha incarnato nelle diverse epoche. Una rocambolesca serie di situazioni, tratte dai capitoli del libro, che si mescola a suggestive trovate narrative, legate all’immaginario della protagonista: animali fantastici, dispositivi molesti, fantasmagorie e trappole narrative che creano una ragnatela di ‘meraviglie’ in cui Alice s’imbriglia e s’imbroglia. Ma la nostra eroina, alla fine, riesce a rivendicare una soggettività autonoma, fluida e felicemente contraddittoria: un’Alice che può persino abbandonare il paese delle meraviglie per stabilirsi tranquillamente nella folle quotidianità attuale, poiché nessuno farà caso alla sua ingenuità persa e ormai divenuta puramente ‘formale’. A tratti, questo lavoro ricorda il ‘teatro della crudeltà’ di Artaud e il pensiero di Gilles Deleuze proprio nella sua critica all’opera di Lewis Carroll, ovvero nei confronti dello stile visuale del romanzo “attraverso lo specchio della realtà travisata da Lewis Carroll” e alla traduzione di Antonin Artaud. Gilles Deleuze, nella ‘Logica del senso’, cercò di spiegare a chi lo seguiva, in un modo un po’ astruso, a dire il vero, ma tipico della sua espressione comunicativa, che poi è anche di quella del mondo di Alice: “Quando dico ‘Alice cresce’, voglio dire che diventa più grande di quanto non fosse. Ma voglio anche dire che diventa più piccola di quanto non sia ora. Senza dubbio, non è che, nello stesso tempo, Alice sia più grande e più piccola. Ma è nello stesso tempo che lo diventa. È più grande ora, era più piccola prima. Ma, allo stesso tempo, è in una sola volta che si diventa più grandi di quanto non si fosse prima, e che ci si fa più piccoli di quanto non si diventi. Tale è la simultaneità del divenire, la cui peculiarità è di schivare il presente. Alice non cresce senza rimpicciolire. E viceversa”.
QUI SOPRA: L'AUTORE, ANTONIO AGOSTA
NELLA FOTO DI COPERTINA IN ALTO A DESTRA: LA MODELLA LISA ARIENTI
PH. SERAFINO GIACONE
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