Nuova opera della poetessa vincitrice del Premio Camariore, ma questa volta non si tratta del tentativo di liberarsi dell’amore, ma del suo gradito ritorno nei modi classici e al momento giusto
Anna Segre, già vincitrice del Premio Camaiore con la silloge poetica 'La distruzione dell'amore' (Interno Poesia), ha da poco dato alle stampe una nuova raccolta di poesie intitolata 'A corpo vivo' (Marietti Editore), che subito si è imposta a un vasto pubblico di critici e lettori. Se nella 'Distruzione', questa poetessa cantava la fine di un amore tra scompensi cardiaci e toni deliranti (per la Segre, l’amore è anzitutto delirio secondo gli stilemi della poesia antica, un ‘de-lirare’, cioè uscire dalla via maestra per percorrere strade poetiche inusuali e mai banali, ma costruzioni-distruzioni analitiche, in linea con la vertigine del pensiero e la sua rientranza, ndr), nella silloge 'A corpo vivo', come in un'analisi ininterrotta, si celebra la nascita di un nuovo amore per Clara, attrice e performer, “tra estasi e querulità”, come scrive la poetessa e critica Franca Alaimo nella sua superba prefazione. Siamo andati, perciò, a intervistare Anna Segre, trovandola in un momento splendido della sua vita, sia in quella privata, sia quella 'letteraria-professionale'.
Anna Segre, ne 'La distruzione dell'amore' lei trattava in maniera rutilante ed estremamente dinamica dei movimenti psichici che accompagnano la fine di un rapporto: quindi l'amore distrugge o è distruttibile? Oppure si tratta di un percorso tra dirupi e risalite?
“La distruzione dell’amore, titolo volutamente ambiguo e risonante la canzone di Fossati (‘La costruzione di un amore’, ndr) si riferiva, in verità, alla distruzione del concetto e del sentimento dentro di me: la fine di un’illusione, di un qualcosa che non esiste più. Pertanto, non volevo distruggere. Al contrario, sentivo demolita in me la possibilità di amare di nuovo e mi chiedevo se mai ciò che avevo definito amore esistesse veramente. Un dubbio, insomma: una depressione. L’amore è una forza cosmica indomabile, che ci attraversa e ci pervade: non lo possiamo evocare, possedere, assumere come una sostanza. Non è in mano nostra. E, per fortuna, nemmeno nelle istituzioni religiose o nei governi che si ammantano e si servono di questo concetto, ma non lo comandano. Ribadisco: era una depressione da cui, in seguito, sono uscita, visto che ho amato di nuovo senza alcuna diluizione”.
In 'A corpo vivo' lei canta la nascita di un nuovo amore per una donna, Clara. Anche in questo caso, non esiste l'aurea di mediocrità oraziana, ma il travolgimento assoluto dall'insorgere di un nuovo fuoco di passione, da vivere sempre con un'anima ardente: è un'acquisiziine dell'età adulta? Com’è cambiato l’amore per Anna Segre, dall'adolescenza sino a oggi?
“L’amore è stupefacente nel senso più lato del termine: uno stato alterato di coscienza, un’inondazione chimica di neurotrasmettitori solo parzialmente conosciuti. Indipendente, come dicevo, dalla volontà, perlomeno dalla mia. Se qualcosa è cambiato rispetto a quando ero bambina (ho sempre amato, da che ricordo...) ciò è avvenuto solo nella narrativa, nel bagaglio di esperienza. L’amore di un bambino è totale, sferico, globalizzante quanto quello di un adulto o di un vecchio. È un sentire così netto e così indicibile, che sarebbe approssimativo definirlo. Nell’età adulta, se vogliamo, essendomi già accaduto, l’ho semplicemente riconosciuto. E, come Borges, ho pensato: dovrò nascondermi o fuggire. Al contempo, non ho potuto né voluto, sottrarmi”.
Nelle sue poesie sono molto presenti le metafore con gli animali: che relazione c'è tra queste e la simbologia ebraica? Quanto contano le sue radici, nel creare delle poesie così vive?
“La risposta esatta è: non lo so. Quanto di me è collegato all’ebraismo? Quanto a zia Mima, professoressa di greco e latino, ma anche ebrea religiosa? Era la mitologia, la tragedia, la cultura di Esopo e Pindaro o l’ebraismo? E quanto a mia madre, convertita all’ebraismo, ma anche figlia di contadini e operai comunisti? Oso un’interpretazione, visto che questa domanda ricorre: perché le metafore vengono spontanee, esemplificano il concetto, fanno vedere qualcosa o l’animale, che ognuno conosce e vedrà con la sua fantasia? Solo io so com’è Clara: la tacchina, invece, possono immaginarla tutti. E, per tornare alla domanda, devono contare molto le mie radici, anche se, appunto, fatico a definirmi, ad appartenere. Sono divelta come Clara, con le radici all’aria”.
A un certo punto, lei ingaggia un duello con l'amata Clara - che nella sua vita è attrice - tra abbattimenti ed esaltazioni, dolore pungente e improvvisi trasalimenti dell'anima: quanto incide la poesia di Saffo, che amava le fanciulle, nella sua poesia?
“Sicuramente, Saffo fa parte del mio bagaglio poetico, ma mai quanto Neruda, o Szimborska, o Lorca, o Mari, o Salinas. Io amo le fanciulle, ma non è Saffo a darmi voce perché parla di femmine, bensì la poesia d’amore in senso assoluto”.
Quando e dove ci saranno le prossime presentazioni del suo nuovo libro?
“Le prossime presentazioni si terranno a Milano, presso la cartoleria storica Bonvini, venerdì 15 marzo alle ore 19.00 e sabato 23 a Crema (Cr), presso l’associazione culturale 'La Storia', presso il Bar Museo Crema, alle 18.00”.