In una società che “viaggia con i freni rotti”, come dice espressamente questo eclettico autore, diviene importante assumersi le proprie responsabilità senza scaricare sul prossimo le colpe dei nostri fallimenti: una silloge interessante, riflessiva, assai utile nel decodificare questi nostri tempi ‘sbandati’
Emanuele Cilenti è un poeta-scrittore-attore-filosofo interessante. Il suo nuovo libro, intitolato 'Un filo d'erba che solletica il cielo' (Irda Edizioni), non è soltanto una silloge di poesie: c'è una seconda parte di aforismi illustrati da ottime vignette e interessanti fotografie; e c'è anche una terza parte di considerazioni filosofiche, a dimostrazione dell'intelligente eclettismo di questo autore. Il suo punto di vista, infatti, è differente dal solito: la sua visione è sacrale, più che filosofica. La sua sincera fede in Dio lo pone in un'angolazione distinta, che lo aiuta a prendere le distanze sia da una religiosità ritualista, scarsamente secolarizzata, sia da un materialismo statico, che ha perduto di vista il proprio retroterra storico per trasformarsi in 'piattezza', in subcultura 'liquida'. A suo modo, Cilenti conferma la critica di Zygmunt Bauman verso una società fine a se stessa, tutta proiettata alla ricerca di un benessere privo di valori, che ci rende futili o che, probabilmente, tende a evidenziare le nostre dissociazioni, costringendoci alla contraddizione, ai voltafaccia, alle scelte imposte da altri. Non c'è nulla di libero, né di liberale in una società del genere: in questo, Emanuele Cilenti ha perfettamente ragione e noi siamo con lui. Insomma, un credente dotato di senso critico, che non intende appiattire se stesso verso il 'neopositivismo' dei nostri tempi, ancor più 'meccanicista' di quello del passato, che ci sta trascinando verso i discutibili confini dell'intelligenza artificiale e dell'ormai prossima società 'cibernetica' o 'robotizzata', dove le risposte ci saranno date in automatico, scavalcando numerosi passaggi logici. L'attuale affidarsi unicamente allo sviluppo tecnologico ci allontana dai valori di un tempo. Ma questo poeta ha il merito di non abbandonarsi a un pessimismo cosmico, privo di speranze, bensì resta saldo nella sua convinzione di un qualcosa di più grande, che ci attende e che potrebbe resuscitare la nostra parte migliore. Ecco pertanto una sintesi del suo pensiero, da lui espresso attraverso l’intervista che presentiamo qui di seguito.
Emanuele Cilenti, perchè il suo libro, intitolato ’Un filo d’erba che solletica il cielo’, edito da Irda, risulta diviso in tre parti: una poetica, una di fotografie e immagini e una di riflessioni filosofiche? E’ alla ricerca di un nuovo genere letterario ‘misto’? Oppure, si tratta di semplice eclettismo?
“Quando scrivo, mi piace scoprire e mischiare diversi generi letterari o inventarne altri. Ecco perchè una sezione del libro l’ho intitolata: ‘foto-aforismi’. Così facendo, cerco di saziare diversi ‘palati’ letterari”.
Sul fronte dei contenuti, lei conferma la degenerazione antropologica della società ‘liquida’ colta da Bauman, ma la sua soluzione è quella di prendere le distanze da essa: non crede che l’autoisolamento, il distacco o il ripiegamento verso il privato, benché motivato da riflessioni giustamente critiche, sia un atteggiamento esagerato?
“Diciamo che, molte volte, mi ‘estraneo’. Non per ritrovare me stesso, ma per riflettere e capire come bisogna vivere in questa odierna società, che viaggia con i ‘freni rotti’. E come poter fare per invertire la ‘rotta’, prima di una possibile, quanto imminente, collisione. Perchè la vita, prima o poi, ci presenta il ‘conto’: saremo davvero pronti a pagarlo”?
Lei si considera un nostalgico, un retorico o semplicemente un disincantato?
“Preferisco studiare e apprendere la retorica, quella che fu di Aristotele, pur non avendo risposte ‘preconfezionate’ in tasca. Chiunque si accinge a leggere i miei libri può notare un elemento importantissimo: la riflessione. Io non voglio e non posso convincere nessuno, ma posso cercare di farlo riflettere”.
Analizzando la sua poetica, la nostra impressione è stata quella di una persona di solidi princìpi e valori alla ricerca di un’autenticità basata su modelli alquanto elevati, rispetto a ciò che propone la modernità: non è lei, forse, a chiedere troppo all’umanità?
“La verità è che noi non facciamo abbastanza. E accampiamo mille scuse per non prenderci le nostre responsabilità. Da Adamo ed Eva ai giorni nostri non è cambiato molto, in fondo: diamo sempre la colpa agli altri. I nostri fallimenti, li attribuiamo quasi sempre agli altri. Io non sto chiedendo nulla all’umanità: semplicemente, chiedo a me stesso e a tutto il genere umano di smetterla di fare la guerra a Dio e di cominciare a collaborare con Lui: solo così potrà migliorare il nostro mondo”.
Una curiosità: la messa di Pasqua, celebrata da Papa Francesco in una piazza San Pietro completamente vuota, è stata un’implicita ammissione del dominio del razionalismo scientifico, rispetto alle credenze teologico-religiose o alle filosofie morali?
“La gente non crede più a niente. E, soprattutto, in nessuno. A causa di una scellerata corsa verso un funesto egoismo e una fragile indipendenza materiale abbiamo tolto Dio dalle scuole, dalle case, dal lavoro, dalla nostra vita. E poi ci domandiamo: dov’è Dio? Ma l’unica domanda che dovremmo porci è: dov’è finito l’uomo? La ragione è il nuovo messia da seguire e il materialismo l’unica religione da professare. Ma quando ci troveremo all’interno di un ‘burrone’ freddo, stretto e buio, chi verrà a salvarci? A chi chiederemo aiuto”?