Un romanzo di Federico Pacifici dai tratti esistenzialisti: quasi una sceneggiatura all’italiana, ricca di sentimenti e sfumature, degna dei migliori film di Ettore Scola
’Facciamo che io ero', o meglio ‘sono’, ricorda la frase magica ricorrente fin da fanciulli quando si dava inizio a quel gioco fantastico e favolistico che è il teatro. Per l’Autore, l’ipotesi è inequivocabile, dato il fatto che la sua formazione l’ha effettuata nel tempio sacro del teatro: l’Accademia nazionale d’Arte drammatica ‘Silvio D’Amico’. Nel romanzo di Federico Pacifici, un uomo ipotizza cosa sarebbe stata la sua vita se fosse stato diverso da sé. E qui inizia il ‘gioco’ del teatro, della vita e della società nella gestione politica della cosa pubblica. Contrasti ‘in contrasto’, dove la morale si dissolve in un senso strano di ambiguità. Ricordi scolastici della numerazione francese sono i preliminari di amorosi amplessi senza regole, nella negazione compassionevole di chi aspetta a casa fiducioso. Nomi che oggi rievocano film da ‘giornate particolari’, Italo e Fernanda e il mondo dei loro affetti e degli ideali che si sgretola intorno a loro. Federico Pacifici in questa sua opera offre una sceneggiatura all’italiana, ricca di sentimenti e sfumature degna dei migliori film di Ettore Scola. Nel romanzo incontriamo gli spazi aperti di due parchi romani, che rispecchiano gli umori dei protagonisti: la tristezza di Villa Paganini e la maestosità e il potere di Villa Torlonia, vista criticamente da Italo. La realtà è il sogno o il suo contrario? Siamo noi che con il libero arbitrio segniamo in modo indelebile la nostra strada, oppure tutto è già deciso? Dubbi amletici che si accavallano, che confermano e, al contempo, negano le ipotesi esistenzialiste, in cui tutto è il contrario di tutto, nell’incredibile favola della vita. Gli eventi sono determinati da ciò che è stato compiuto e non da ciò che sarebbe potuto succedere se fosse stata fatta una scelta piuttosto che un'altra. “Ti avevo dato per disperso”; “Ho avuto da fare”; “Belle cose”; “Non direi”. Passano i giorni nel parco e le stagioni, tutte in un giorno, tutte quelle di una vita. Alcuni passaggi dal romanzo delineano l’insoddisfazione dell’esistenza: “Facciamo che io ero… un idraulico; facciamo che io ero un industriale; facciamo che io ero un ingegnere; facciamo che io ero un giornalista; facciamo che io ero quel che sono…”. Chi sia Italo non lo sa neanche lui. Facciamo che io ero… poiché anche te sei sola… come me. “In fondo sono un coatto. Sì, ci chiamano così…”; “…e la soffice spuma di cenere così ottenuta, gettata nel cesso che tanto sempre al mare arriva…”.
Facciamo che io ero
di Federico Pacifici
edito da: 'I libri di Icaro'
maggio 2018, 270 pagg.
NELLA FOTO: FEDERICO PACIFICI