Un’attenta analisi della critica italiana verso la scrittura di uno dei maggiori esponenti dell'età del jazz e uno sguardo alla sua complessa interiorità
“Qualsiasi vita è, naturalmente, un processo di demolizione”, scrisse Francis Scott Fitzgerald. Questa frase riassume tutta l’opera di qiesto autore americano che, diviso tra romanticismo, cinismo e amarezza, raccontò la sua personale e intima esperienza dal successo all’autodistruzione. Fitzgerald appartiene alla generazione che ha vissuto la frattura storica e morale degli Stati Uniti della prima guerra mondiale, ma ha conosciuto anche il lusso e la prosperità, frequentando amicizie pericolose. Ma come veniva considerato in Italia? Qual è stato il rapporto di Fitzgerald con il ‘Belpaese’? Molto contrastante, come ci spiega con dovizia di particolari il giovane autore romano Antonio Merola, in un saggio edito da Ladolfi che ripercorre la storia della critica italiana nei confronti dell’opera del romanziere statunitense. La vicenda editoriale fu molto complessa e si mosse intorno ad alcuni intellettuali che si occuparono di cultura americana del novecento: Elio Vittorini, Cesare Pavese, Fernanda Pivano e Nemi d’Agostino. La prima pubblicazione di Fitzgerald in Italia uscì per la collana mensile della Mondadori intitolata ‘I romanzi della Palma’, nel 1936: ‘Gatsby il magnifico’, nella ‘bizzarra’ traduzione di Cesare Giardini. Fitzgerald venne completamente ignorato dalla critica. Lo stesso Vittorini, nell’Antologia Americana del 1941, inserì lo scrittore all’interno della sezione ‘Eccentrici, una parentesi’, assieme ai dimenticati Kay Boyle, Evelyn Scott e Morley Callaghan. Elio Vittorini considerava Fitzgerald un autore frivolo, che aveva ben poco della magia del continente americano. Sta di fatto che, per capire a pieno le sue opere, bisogna tener presente le sue esperienze personali, come comprese successivamente Fernanda Pivano. Il successo di Francis Scott Fitzgerald, in Italia, arrivò con la traduzione di ‘Tenera è la notte’ (Einaudi, 1949) proprio per opera della Pivano. Ci sono due elementi da tenere in considerazione: “Il realismo dello stile, sostituito da quello che definisce come poetico e il parallelismo tra la finzione e la vita privata dello scrittore. Quindi, non lo specchio di una particolare società, ma il ritratto fedele di se stesso come personaggio che si muove in quella particolare società”. Merola non si limita a fare una semplice analisi, ma cerca di scavare in profondità, per darci una chiave di lettura del perché siano successe determinate cose. Ci racconta dell’esperienza di Vittorini con Bompiani; delle costrizioni del fascismo sulle scelte editoriali; della errata interpretazione di Montale; di come il binomio vita-letteratura sia, in Fitzgerald, inscindibile; del grande amore dello scrittore per Zelda. Fitzgerald non era nato nell’alta società. E la ricchezza l’aveva raggiunta lavorando a ritmo serrato, mentre per la donna che amava era sempre l’ora del tè. La ricchezza aveva il suo fascino, ma trascinava con sé una carica distruttiva ben lontana dalla felicità. Non a caso, molti dei suoi personaggi vengono ‘divorati’ dalla ricchezza. Ma bisogna anche saper riconoscere il lato poetico e umano, più che quello socio-politico della sua scrittura. In ‘Tenera è la notte’, c’è tutta la poesia possibile, frutto di anni di lavoro: unico vero significato della vita dell’autore. La critica del ‘ricco’ e ‘frivolo’ non regge di fronte al dramma della malattia e del tradimento di Zelda, che non consente all’autore di guardare la realtà, tanto che si rifugia nell’alcool, estrema meta di tranquillità psicologica. Sono essenziali le note chiarificatrici di situazioni a margine del testo: vanno lette con attenzione e non trascurate. Una recensione anonima sulla ‘Fiera Letteraria’ per la prima edizione italiana di ‘Tenera è la notte’ ci parla di un americano astioso verso l’Italia e affettuoso con gli inglesi. La critica è negativa verso i personaggi: “Dick manca di verità sostanziale”, il che sorprende per una sorta di condanna comune all’intera letteratura americana, manchevole di una verità spirituale. In risposta all’anonimo interviene Montale, che dichiara di preferire ‘Tenera è la notte’ a ‘Il Grande Gatsby’ per la moralità del primo di questi due romanzi. Merola ci affida degli indizi precisi per conoscere le opere dell’autore. Entra nei retroscena della critica italiana e ci fa intuire aspetti per lo più ignoti al lettore. Fitzgerald, questo incompreso, in Italia non viene celebrato quanto Hemingway e Faulkner, ma dal secondo dopoguerra in poi vi fu una riscoperta a cui seguirono nuove edizioni che ne accrebbero lo spessore. Merola compie uno studio notevole, ma non facile. E lo restituisce al lettore con la chiarezza di chi sa quanto sia importante conoscere la vita e le opere di un autore, prima di esporsi. La figura dominante dell’intera produzione di Fitzgerald è Zelda Sayre. Attorno a lei ruota la doppiezza della scrittura, è costante la lotta contro la pazzia e la sua ricerca, il contatto con essa. Esiste una dualità inevitabile: la conservazione di uno status e la sua distruzione. La vita movimentata dello scrittore e la sua personalità affascinante lo hanno reso, oggi, dopo un tortuoso percorso di critica, una leggenda.
F. Scott Fitzgerald e l’Italia
di Antonio Merola
Giuliano Ladolfi Editore
pagg. 96, 10 €
L’autore
Antonio Merola, classe 1994, si è laureato in Lettere Moderne all’Università ‘La Sapienza’ di Roma. È cofondatore di Yawp: giornale di letterature e filosofie, per il quale ha inoltre curato la raccolta poetica ‘L’urlo barbarico’ (A. V., Le Mezzelane, 2017) e ne gestisce la sezione ‘Yawp Poesia’. Si occupa insieme dei ‘Quaderni Barbarici’ su Patria Letteratura, dedicati alle poesie inedite di giovani voci poetiche contemporanee e di ‘Razzie Barbariche’ su Pioggia Obliqua: una rassegna dedicata alla poesia edita under 30. Suoi racconti, poesie e articoli critici sono apparsi su alcuni siti e riviste letterarie.
NELLA FOTO: LO SCRITTORE STATUNITENSE FRANCIS SCOTT KEY FITZGERALD