Con il suo ultimo romanzo, Viola Di Grado riporta alla memoria una delle pagine più buie della storia dell’Unione sovietica, presentando al lettore le vicissitudini di un amore sbocciato nel luogo più radiattivo del pianeta
A volte, la realtà supera di gran lunga la fantasia. E’ il caso per esempio delle cosiddette Zato dell’Unione Sovietica, “formazioni amministrativo-territoriali chiuse”: città costruite per scopi militari e utilizzate per l’esecuzione di esperimenti sul nucleare. Delle vere e proprie ‘città-fantasma’, tenute nascoste dal governo e che non apparivano in nessuna mappa del territorio, i cui abitanti non erano neanche iscritti ai registri di residenza. Chi nasceva in esse, non figurava nemmeno nei registri dell’anagrafe. È proprio a partire da questo contesto storico che Viola Di Grado, vincitrice del Campiello ‘Opera prima’ con ‘Settanta acrilico trenta lana’, prende spunto per il suo ultimo romanzo: 'Fuoco al cielo', pubblicato da ‘La nave di Teseo’.
Siamo a Muslyumovo nel 1996, un villaggio degli Urali del sud al confine con la Siberia, in prossimità dell’impianto di Mayak e del fiume Techa. In questo ‘non luogo’, che in alcuni momenti sembra avere tutti i tratti di una moderna ‘waste land’, una landa desolata di ‘eliotiana’ memoria, assistiamo alla tormentata storia d’amore tra Tamara, insegnante di scienze in una scuola elementare, nata e cresciuta nel villaggio e Vladimir, infermiere giunto da Mosca a Muslyumovo per un praticantato. Il romanzo presenta al lettore fin dalle prime pagine, attraverso un’accurata documentazione di carattere storico, il paesaggio desolato e irrimediabilmente avvelenato di uno dei tanti villiaggi chiusi, Muslyumovo, distante circa 100 chilometri dalla città segreta Ozersk, la quale ottenne statuto legale e fu inserita nelle mappe geografiche solo dopo il 1994. Gli abitanti, ridotti a “fantasmi vivi, barcollanti, con la carne pallida e secca, malati, traumatizzati, difettosi, umani di risulta”, sono subdolamente stati convinti dal governo a rimanere nelle zone contaminate attraverso l’erogazione di un sussidio, a patto di mantenere il silenzio sulla catastrofe nucleare avvenuta. L’amore sbocciato tra i due protagonisti nel luogo più radiattivo del pianeta sembra seguire le dinamiche di un rapporto tanto intenso, quanto malato: un saliscendi di emozioni violente e vertiginose. E questo perchè a tenere legati gli amanti è una passione animalesca, il lato buio e tossico di un sentimento sorto in un ambiente guasto, che intossica ogni cosa: sentimenti, persone, paesaggio: “I luoghi, come le persone, o ti riempiono o ti svuotano. Quel posto toglie tutto, proprio tutto, ti lascia solo pezzi d’anima, avanzi di te stesso”, poichè tutti, nessuno escluso, sono stati contagiati dalla ‘rogna della testa’: “Quella tristezza che ti toglie i pensieri e ti lascia vuoto. Era la tristezza speciale del luogo che emanava dalla terra, che si contagiava con l’acqua e con il vento”. Proprio in questo luogo terribile, gelido e dimenticato dal mondo, pieno di rovine ed edifici fatiscenti, Tamara si imbatterà in una strana creatura senza genitali e senza ombelico, munita di lunghe dita artigliate: un evento, questo, al limite del paranormale, ispirato da un fatto di cronaca realmente accaduto, inquietante e commovente allo stesso tempo. Da qui, fino alla conclusione di ‘Fuoco al cielo’, l’elemento metafisico sembra mescolarsi al fantascientifico, per la ricostruzione di una realtà che è molto più complessa di quello che sembra e che produce una serie di enigmi da decodificare, i quali si prestano a numerose interpretazioni: è proprio questa opacità sul fondo del reale a donare all’opera di Viola Di Grado un fascino magnetico, complice anche un’ottima padronanza dei mezzi espressivi in una scrittura dal sentore nordico, tagliente e poetica.
QUI SOPRA: VIOLA DI GRADO, VINCITRICE DEL PREMIO CAMPIELLO OPERA PRIMA
AL CENTRO: LA SCRITTRICE CATANESE IN UN MOMENTO DI PAUSA
IN ALTO A DESTRA: LA COPERTINA DEL SUO NUOVO ROMANZO