Un’opera autentica e originale, imperniata attorno alle vicende di una famiglia che, per tre generazioni, ha mandato avanti un ristorante romano talmente genuino da riuscire ad attrarre clienti e buongustai del calibro di Liz Taylor e Richard Burton
Il 18 settembre scorso, in un bel locale di via San Francesco a Ripa in Roma, nel pieno rispetto della normativa Covid, Simona Colantoni Gentili ha presentato il suo libro, ‘L'osteria del lupo bianco’, edito dal Gruppo ‘Albatros Il Filo’. Una presentazione che verrà replicata anche il 4 ottobre, presso la Fiera editoriale ‘Insieme’ dell'Auditorium Parco della musica. L'autrice, programmista-regista Rai e giornalista, ha confessato ai convenuti d'aver a lungo meditato prima d'impegnarsi in un progetto così impegnativo come la creazione di un libro. Una maturazione lenta e progressiva, che ha dato un valore aggiunto a questa sua prima opera, riguardante gli aneddoti e gli eventi più curiosi che hanno interessato la sua famiglia, titolare di un’attività di ristorazione, l'Osteria del Lupo bianco, situata sulla via Casilina, alla periferia di Roma, in un arco di tempo che va dai primi decenni del '900 fino alla fine del secolo. Una storia raccontata in prima persona, all'inizio attraverso gli occhi di una bambina, Rebecca, ingenui, aperti alle meraviglie del mondo e avidi di conoscenza, poi con la progressiva consapevolezza dovuta all'età che, avanzando, cambia il rapporto con la realtà e analizza, distingue, riflette e critica, senza mai perdere però l'approccio emozionale di partenza: quello sguardo favoloso e insieme sorridente che tutto avvolge e unisce. Rebecca s'addentra così nella miriade di storie che appartengono a una numerosissima famiglia, originatasi dalla bisnonna Lina, orgogliosa madre di ben 17 bambini: un numero decisamente abnorme anche per le casistiche dell'epoca. Storie che s'intrecciano, s'accavallano, impregnano le pareti di quel locale, muto testimone degli eventi del nostro Paese in generale e di Roma in particolare. Persone e locale che trasudano umanità, tanto da restare nel cuore dei protagonisti in uno dei momenti più bui della nostra Italia, conquistando sia l'una (i tedeschi), sia l'altra parte (gli americani), che a distanza di anni non hanno potuto fare a meno di ritornarvi. Colpiscono le storie della ‘Dolce vita’ e della sua stagione, avvertibile pur nella lontana periferia, improvvisamente coinvolta quando, a sorpresa, alcuni miti del cinema come Richard Burton e Liz Taylor, in cerca di un po' di tregua dalle luci e dalla folla di via Veneto o, chissà, magari per respirare l'aria di quella periferia immortalata dai capolavori del neorealismo, vi trovarono un'accogliente oasi di tranquillità e i genuini sapori della cucina romana. Un libro al quale, una ben dosata componente di fantasia, dona l'atmosfera di una fiaba, ma che alla fine trova il suo aggancio con la realtà quando la ragazzina si ritrova, adulta, impegnata imprenditrice dell'osteria, costruita con tanto amore dai nonni e migliorata negli anni dai suoi genitori. Ecco, allora, che questo racconto, scanzonato e pacato allo stesso tempo, pregno di quei sapori e profumi caserecci che accompagnano ogni aneddoto narrato, arricchito dai pettegolezzi che animavano il quartiere e dagli accadimenti storici più cruciali, inprovvisamente viri, al contrario delle fiabe, verso un finale non lieto. Il locale, infatti, passato indenne persino innanzi alla tragedia della guerra, non regge alle dure prove economiche dell'oggi e chiude mestamente i battenti. Anche l'ultima pagina scorre via, lasciandoci il sapore dolce e amaro della nostalgia e la sensazione d'aver perduto, per sempre, qualcosa d'irripetibile e ‘nostrano’.
NELLA FOTO QUI SOPRA: SIMONA COLANTONI GENTILI
AL CENTRO: L'AUTRICE ROMANA POCO PRIMA DELLA PRESENTAZIONE DEL SUO RACCONTO FAMILIARE
IN APERTURA: LA LOCANDINA DEL SUO LIBRO