Un lavoro al femminile, autobiografico ma non ‘ombelicale’, in cui l’autrice rielabora il dolore attraverso quello degli altri e si appunta proprio là dove più si radica: i manicomi
E’ un libro al femminile, quello di Stefania Nardini. Un lavoro certamente autobiografico, ma non ombelicale, con una dislocazione dell’io scrittrice sull’immaginaria Angelita, che ha tanti punti in comune con l’autrice (si divide tra Roma e Marsiglia, la professione di giornalista e scrittrice, la perdita dell’uomo amato, la partecipazione ai movimenti del ’68 e del ’77, il piglio investigativo, l’ossessione per la verità…), ma che vive anche di vita propria, talmente vera da diventare un’amica delle donne che combattono in nome degli ideali per la ricostruzione della propria autenticità. Ne 'La combattente' (Edizioni e/o), l’ossessione per la verità rievoca la giovinezza di chi ha vissuto il ’68 o il ’77. Il libro si apre, infatti, con il ricordo di un’inchiesta precedente alla legge Basaglia, la migliore d’Europa contro i 'manicomi-lager', dove Angelita ha conosciuto Fabrizio, che sarebbe diventato l’uomo della sua vita per trent’anni, anche lui giornalista, ma cinematografico. Parole che tagliano il viso e mordono lo stomaco. Fabrizio è morto di cancro e Angelita si ritrova raggelata nella 'grande casa' - unico elemento vivo: una gatta da nutrire – e il figlio Marco a Torino. La mente viaggia, vagola, si smarrisce dietro i ricordi: “Davanti al vetro vedevo le immagini degli ospedali psichiatrici. Li avevo conosciuti per il mio lavoro prima della legge Basaglia. Mi ricordai di quando entrai a Santa Maria della Pietà, in Roma. Avevano le mani bruciate di nicotina, i matti. Una sigaretta dopo l’altra. Teste rasate e bocche senza denti. L’infermiere tirava loro i mozziconi per provocarli, per deriderli. Si azzuffavano a briglie sciolte, per un mozzicone. Matti…”. L’atto creativo come etico-politico, come liberazione del surplus emotivo: letteratura impegnata, quella di Stefania Nardini, che vuol rielaborare il suo dolore attraverso quello degli altri e si appunta proprio là dove più si radica: nei manicomi. I matti, quelli che non contengono più il loro vissuto con la ragione, quelli vilipesi, derisi, oppressi, che vediamo ancor oggi girare per le strade con lo sguardo perso e una smorfia alla bocca. La malattia mentale rivissuta in prima persona, come tutto il romanzo, striscia nel libro e rischia di infiltrarsi nella mente della protagonista, che verso la fine ha delle visioni. Perché? Qual è il filo sottile che divide i sani dai malati? Il tema, ricorrente nella letteratura del Novecento, scava un abisso nella natura umana. Anche Angelita, a un certo punto, perde l’equilibrio: in preda ai ricordi, alla muta desolazione dell’assenza, si tinge di nero, ricorda il fazzoletto delle vedove – sì, perché lei è anzitutto una vedova: questo è il suo statuto - le prefiche che un tempo piangevano e tessevano le lodi del defunto, barcolla ma si rialza, perché lei è una combattente. La sua storia privata s’intreccia con quella pubblica: qual è la condizione della vedovanza? Come ci si sente dimidiate, sole, abbandonate dall’amore di una vita? E i problemi economici da affrontare? Sì, perché anche questo è un problema: come sbarcare il lunario? Lei è una ex-giornalista e scrittrice. Ma si sa, ci vuole del tempo per elaborare un lutto, per rimettere a posto i tasselli, per non farsi travolgere, per ritrovare l’ispirazione: bisogna riaprire una pagina bianca su cui progettare il futuro. Il dolore non va rimosso: esso si annida nell’inconscio e nidifica prolifero di immagini, suoni, fragranze, ricordi. E tutto questo possono farlo soprattutto le donne, che sono abituate a portare il carico della vita, dalla maternità, dei ruoli al lavoro, in casa e fuori. Per poi scoprire che, forse, quel rapporto solido con l’uomo nasconde un magma incandescente di cui si era ignare: un 'non-detto' che – come dicono Freud e Lacan - è l’origine di tutte le malattie psichiche e psichiatriche. Oggi, si ritiene anche di quelle somatiche. E persino il cancro partecipa di questa origine. Così è morto Fabrizio, che faceva uso di psicofarmaci, che era un uomo in fuga, che forse non è mai stato totalmente di Angelita. D’altra parte, così era quando si imbarcarono per una piccola isola greca, dove si scoprirono innamorati. Ma dietro i grandi amori ci sono, talora, verità taciute, inconfessabili, che minano alla radice la psiche umana e le relazioni che potrebbero renderci felici. Felicità che trascuriamo, a causa di quella maledetta maschera che indossiamo anche dentro le mura domestiche. Cosa nascondeva Fabrizio? Questo è un quesito che attraversa tutto il romanzo. Un giorno, alcuni indizi vengono fuori (non riveliamo nulla di più per non ‘spoilerare’, ndr). Ora la verità non è più nascondibile: tocca ad Angelita avviare le indagini, tenendo fuori Marco, l’unico figlio, che a fatica elabora la perdita del padre e non va coinvolto: questo è amore materno, l’amore delle donne. Attraverso un corollario di figure secondarie, funzionali alla trama, s’indaga in quel di Marsiglia su tempi risalenti agli 'anni di piombo', ai movimenti rivoluzionari, tra cui la Raf tedesca, con cui Fabrizio sembra avere qualche collegamento. L’intrigo s'infittisce. E Angelita procede con il bisturi della ricerca, cercando quella verità che la possa riconciliare con il passato suo, di Fabrizio e di tanti rivoluzionani, oggi morti o esuli, con cui la Storia deve ancora fare i conti. I cosiddetti “compagni che sbagliano”, come li appellava il Pci: dove hanno sepolto il loro passato? Cosa è rimasto di quegli anni? Dov'è la sinistra? Queste le domande che rimbalzano nella lettura, senza togliere nulla alle vittime delle stragi. Si sente un vuoto politico, uno Stato che non assiste, che è assente. Intanto, la Storia prosegue il suo corso senza fare i conti col suo passato. Il tempo e la verità sono i grandi protagonisti dell’opera. Di questi si fa carico 'La combattente', che è una figura tipicamente italiana: una partigiana che non demorde, perché non teme di uscire dalla 'zona confort' e non si accontenta di facili mezze verità. Qui tocca sapere quel che fu e quel che è, o resta, con lo stile dell’indagine, con frasi brevi, taglienti, incisive, vibranti, che puntano al cuore dei problemi esistenziali, politici, sociali e di vita quotidiana. Solo quando i tempi si saranno ricongiunti e la verità sarà disvelata, come dopo un lungo percorso analitico durato sette anni - tanti sono passati dall’ultima opera pubblicata e dalla scomparsa del marito della scrittrice, il noto Ciro Paglia, il giornalista che osò sfidare Cutolo, morto a Bettona di Perugia. Nella 'grande casa' si aprirà per Angelita la vita al futuro in quel di Marsiglia, a guardare il mare con un taccuino bianco. Insomma, un libro agile nello stile, ma impegnato su più fronti, che attraversa problematiche ancora vive e non risolte, che mette il mondo nelle mani delle donne. Le quali, soprattutto se vedove, devono rafforzare la loro grinta e affrontare con tenacia il futuro, diventando costruttrici del proprio destino: siamo superstiti, è vero, ma non naufraghe. Consigliato.
La combattente
di Stefania Nardini
Edizioni e/o
pagg. 156
euro 15,00