Hesse raggiunge l’apice della sua prosa altamente poetica e scava, in un andamento da vertigine, la dimensione umana, intrisa di tutti quegli elementi che attraversano la sua vita: misticismo, religione, spiritualità, cristianesimo, buddhismo, induismo, elevando un canto all’amicizia posto epicureicamente in cima alle priorità umane
Nel 1930, lo scrittore e poeta Hermann Hesse pubblica una delle opere più celebri e più profonde della letteratura mondiale: 'Narciso e Boccadoro'. Si tratta di un lavoro recentemente ristampato da Mondadori ed è sempre un piacere rileggere un classico. La vicenda si apre nel monastero di Mariabronn in Germania, dove il giovane Narciso è monaco dalle incredibili doti spirituali, capace di leggere nell’animo delle persone. Qui si reca il giovinetto Boccadoro, accompagnato dal padre, perché il figlio diventi monaco e si liberi dalla sua natura sensuale e peccaminosa, ereditata dalla madre: una figura appena accennata, evanescente, come un’ombra sulla quale occorre fare chiarezza. Il monaco Narciso, futuro abate Giovanni, coglie in lui una predisposizione alla vita dei sensi e una notevole inclinazione artistica, in una fuga da sé che non si placherà, finché non incontrerà, col ricordo, la vera madre, la donna che effettivamente cerca. Quindi, lo aiuta a recuperare i ricordi in un processo psicoanalitico. Guidato dalle parole del monaco, ”la mia meta è questa: mettermi sempre là dove io possa servir meglio, dove la mia indole, le mie doti e le mie qualità trovino il terreno migliore, il più largo campo di azione”, il giovinetto si mette in marcia in una sorta di pellegrinaggio che lo porta, sul finire del 1300, mentre impazza in Europa la peste, in giro tra le braccia di molte donne, nella condivisione di molte amicizie maschili e femminili. Segno che ciò che più gli appartiene è la vita mondana. Approda alla bottega di un artista famoso e scolpisce l’apostolo Giovanni, premonizione del futuro abate Giovanni. Rifiuta di diventare Maestro d’arte e di sposare la figlia del famoso artista - Elisabetta - e riprende il suo pellegrinaggio dell’anima. Alla fine, stanco e vecchio, incontra, in seguito a una caduta da cavallo, la Madre Eterna, lo scopo della sua vita, ma si rifiuta di scolpirla, perché tale è stato l’impatto emotivo che l’ha profondamente introiettata. Rientra nel monastero, dove trova l’amico abate in crisi spirituale, perché mancante di una parte, quella sensitiva, mentre lui, che ha conosciuto orrori e bellezze del mondo, ha fin troppo sviluppato l’aspetto mondano. In un romanzo dallo stile sublime e nobile, l’autore affronta, anche con l’aiuto di altri personaggi - che non sono corollario della storia, ma parti integranti della stessa - una problematica difficile, sviscerata con una profondità e accuratezza sconcertanti: l’integrazione tra natura e cultura, ragione e spirito, istinto e logos, religiosità e mondanità, certo che solo chi conosce l’abisso della carne e della perdizione può assurgere all’altezza dello spirito. Come avviene in Boccadoro, che attraverso l’incontro con la Madre Eterna, eleva sullo scadere della sua vita, la parte spirituale e muore profondamente integrato. Il compito dell’uomo è, cioè, quello dell’integrazione, perché la “poesia è l’unica prova concreta dell’esistenza divina". La debolezza dell’abate, votato interamente alla cultura e al misticismo, è la prova vivente della sua carenza e, avvertendo questa mancanza con i sensi, tocca anch’egli i vertici dell’integrazione attraverso una consapevolezza sensistica. Hesse raggiunge l’apice della sua prosa altamente poetica e scava, in un andamento da vertigine, la dimensione umana, intrisa di tutti quegli elementi che attraversano la sua vita, misticismo, religione, spiritualità, cristianesimo, buddhismo, induismo, elevando un canto all’amicizia posto, epicureicamente, in cima alle priorità umane.