Il racconto dietro le quinte della nascita di un giornale che non sarà mai pubblicato è lo spunto con cui Umberto Eco ci racconta, nel suo nuovo romanzo, il marcio del giornalismo italiano. Una trama che alterna lezioni di semiotica al più classico romanzo giallo, sullo sfondo di una Milano dei primi anni novanta, cupa e maleodorante, come tutto il Paese in quegli anni
A distanza di cinque anni da Il cimitero di Praga, Umberto Eco ci racconta le vicissitudini di un gruppo di giornalisti alla prese con la nascita di una nuova testata nel suo nuovo romanzo intitolato Numero Zero edito da Bompiani.
Un’opera che già al momento dell’acquisto si discosta dalle precedenti del semiologo e filosofo alessandrino: un volume relativamente piccolo, “solo” 218 pagine, un vero record rispetto alle oltre 530 pagine de Il nome della Rosa e le 680 de Il pendolo di Foucault, giusto per citare i titoli più famosi. Un aspetto da non sottovalutare quando si parla del rapporto conflittuale che l’italiano medio ha con la carta stampata e la soggezione che un nome come quello di Umberto Eco può incutere in un lettore alla ricerca solo di un po’ di svago e che invece potrebbe ritrovarsi invischiato in una lunghissima serie di dissertazioni storiche e filosofiche tali da risvegliare l’incubo dell’esame di maturità, oltretutto classica.
In questo senso Numero Zero è un libro piacevolmente sorprendente. Un Umberto Eco che cerca di “semplificarsi”, di essere il più diretto possibile anche nelle ricostruzioni e nel districare difficili nozioni all’interno della trama principale. La storia è ambientata nel 1992 a Milano e segue le vicende di Colonna, uno scrittore fallito di cinquant’anni che si ritrova di punto in bianco assunto dal sedicente direttore Sismei per raccontare in un romanzo la storia dietro la nascita di un nuovo quotidiano dal titolo Domani. Un giornale che in realtà non uscirà mai e dovrà diventare, con i suoi “numeri zero” programmati per uscire nel corso di un anno, uno strumento di pressione nelle mani del fantomatico editore Vimercate nei confronti della società milanese. Tra notizie inventate, gonfiate e aggiunte ad arte per servire allo scopo superiore, il nostro protagonista vedrà evolversi due vicende che parallelamente finiranno per cambiargli la vita: da una parte la riscoperta dell’amore tra le braccia della giovane ed enigmatica Maia, dall’altra l’inchiesta del collega Braggadocio che potrebbe svelare molti scheletri nell’armadio di un paese in subbuglio come l’Italia di quegli anni e attirare attenzioni indesiderate.
Un giallo che si maschera da manuale di cattivo giornalismo che Umberto Eco riesce a orchestrare con estrema maestria e con una sapiente gestione dell’alternanza delle situazioni: si passa fluentemente da una mattinata di lavoro in redazione, dove ogni evento è lo spunto per una lezione di “etica giornalistica”, alle serate trascorse per le strade e i vicoli di Milano cercando di ricostruire una delle pagine più misteriose del secondo dopoguerra e tutte le conseguenze che ne sono scaturite.
Lo stesso capoluogo lombardo è dipinto dall’autore come una sorta di New York degli anni venti, piena di vicoli malfamati e strade secondarie dove nascondersi e dove potrebbe nascondersi qualunque pericolo. Un vero protagonista aggiunto.
Ancora più gustosi sono i vari excursus disseminati durante le riunioni redazionali in cui Eco ricorda a tutti di essere un professore di semiotica, (la scienza che si occupa dello studio dei segni della loro produzione, trasmissione e interpretazione, o dei modi in cui si comunica e si significa qualcosa) e mostra al lettore quanto egli stesso è manipolabile attraverso le pagine di un quotidiano. Una parola messa in un posto anziché un altro; una notizia messa insieme ad altre creando un connessione interna sottile e determinante; una notizia taciuta che finisce per scomparire dalla mente stessa del lettore. Tutto questo questo viene raccontato, spiegato con una semplicità propria di un autore che è riuscito a rendersi più comprensibile rispetto ai suoi precedenti lavori, proseguendo però sul tema narrativo del “complotto” e dell’inganno collettivo.
Di certo Numero Zero non è il miglior romanzo di Umberto Eco, ma si tratta comunque di un thriller atipico e per questo sicuramente interessante: meno concentrato sulla suspense e con una maggior attenzione all’intreccio di eventi. Nulla è causale, dalla scelta delle notizie da dare in pasto ai lettori a una piccola traccia nel fiume senza fine della storia, ogni atto e ogni segno possono nascondere qualcosa che non avremo mai potuto immaginare.
Qualcosa che forse sarebbe meglio non portare alla luce.
Numero Zero
di Umberto Eco
edito da Bompiani
17,00 euro