Secondo il presidente del Partito della Libertà, il liberarismo può tornare a svolgere un ruolo importante nella politica italiana, interpretando un ruolo di cerniera nel difficile rapporto tra istituzioni e cittadini
Classe 1940, presidente del Partito della libertà, membro del Comitato scientifico della Fondazione ‘Luigi Einaudi’, Raffaello Morelli con il libro ‘La Formazione delle Libertà’ (Edizioni losguardolungo.it), rilancia una sfida che sembra possa davvero raccogliere la migliore eredità del liberalismo e svilupparla ‘in corsa’ nella contemporaneità digitale.
Presidente Morelli, quali sono le proposte di questo suo ultimo lavoro, intitolato ‘La Formazione delle Libertà’, per chi proviene da paradigmi politico-culturali diversi dal liberalismo puro?
“Non esiste il liberalismo puro, poiché non è un’ideologia per inquadrare il mondo, bensì un metodo per osservarlo, sperimentando e avanzando proposte operative per viverci. Dunque, il liberalismo evolve con il tempo e con i luoghi, sforzandosi di comprendere quali siano i nodi da sciogliere, per consentire a ogni cittadino di esprimersi meglio e, quindi, di rendere la convivenza più aperta e produttiva. Ciò precisato, la ‘Formazione delle Libertà’ vuol rendere consapevoli i cittadini di cultura ‘non liberale’ del ‘buco delle libertà’ nella politica italiana e nella mentalità corrente. Perché il mondo funziona all’insegna dell’esercizio della libertà individuale e, se non si colgono i risvolti della libertà dei cittadini, si finisce inevitabilmente per restare indietro. Acquisire tale consapevolezza serve a tutti, non solo ai liberali, perché una società più aperta funziona meglio ed è capace di modellarsi al passare del tempo. Essendo questo il fine della Formazione, farne parte non è un diritto civile: può farne parte solo chi ha questo obiettivo. Quindi, è indispensabile essere in partenza d’accordo su una decina di principi”.
E quali sono questi princìpi?
“Il rifiuto del collettivo e dell’uomo forte; l’esistenza di uno Stato imperniato sul cittadino; lo strumento della democrazia rappresentativa; non fondarsi sui sondaggi; la separazione Stato-religione; nessuna illusione mondialista; alleanze su accordi circoscritti; indicare azioni chiare e tenere comportamenti coerenti; mirare sempre al cambiamento necessario; non adoperare anonimato ed emotività. Tenendo a mente questi principi, i liberali possono non accapigliarsi per i prossimi decenni. Non condividerli significa non essere liberale. E i liberali non possono attardarsi a rimuginare su risultati sperimentali per ora certi, quando devono impegnarsi in concreto sugli aspetti più urgenti, per iniziare a colmare il ‘buco delle libertà’. Nel mio libro ne indico cinque, tanto per cominciare: scuola, economia, mezzi di informazione, amministrazione della giustizia, Unione europea. Settori indispensabili, per avviare la diffusione della cultura del cittadino individuo”.
In che modo il liberalismo può uscire dalla teoria astratta o dall'ambito della filosofia vera e propria, per entrare nella pratica discorsiva di un Partito politico?
“La 'Formazione delle Libertà' non vuol essere un Partito, per coerenza con quanto sostiene. Anzitutto, perché la struttura di Partito è, per forza di cose, rigida, mentre capire la realtà dei cittadini tra loro diversi e proporre ricette per curare i problemi nel relazionarsi richiede una forte e continua plasticità. Inoltre, la funzione politica non è affatto quella di assicurare con una squadra l’arrivo al potere. Al contrario, l’operazione deve condurre a diffuse analisi sperimentali sui fatti, cercare di coglierne i meccanismi (astrarre le idee portanti), delineare ricette di intervento coerenti con il metodo critico del ‘cittadino- individuo’ e trovare nella società le alleanze indispensabili per costruire un progetto attuativo. Insomma, è indispensabile convincersi che la politica non è filosofia, perché la filosofia è un amore del conoscere non abbastanza attento a mettere al centro comportamenti sperimentali – come precondizione del conoscere – e, quindi, alla reciproca collaborazione tra diversità individuali. Viceversa, la politica attiene al conflitto democratico tra i cittadini per scegliere in base ai risultati via via ottenuti. Naturalmente, non parlo della finta politica, che pratica l’antico dover essere del potere e della sua gestione, che confonde i cittadini con le masse, che ragiona in termini di verità, di mode, di gruppi da privilegiare, di parole d’ordine. Per i liberali, l’essenziale è depurarsi dall’incoerenza del pensare, che basti dirsi sostenitori del liberalismo e poi comportarsi violando le regole liberali per occasionali convenienze personali. Ai liberali di cultura e di comportamento non viene neppure in mente di ridurre la politica a rapporti che contraddicono quei dieci principi detti prima, di ridurre i rapporti interpersonali a calcoli di mera convenienza slegata dalle convinzioni che si hanno. Tra diversi si sta insieme nonostante le diversità, purché l’azione condivisa non contrasti il programma delle libertà. Altrimenti, ciascuno per sé. La ‘pratica discorsiva’, come dice lei, di una Formazione liberale non sono mai ‘parole al vento’ o un rumore indistinto”.
Quali sono i compromessi cui ‘La Formazione delle Libertà’ dovrebbe cedere scontrandosi in una realtà sociale in cui il globale viene posto in competizione con il locale, tanto nei territori quanto tra gli individui?
“Il progetto liberale punta a realizzare il convivere tra diversi in base alle situazioni nel tempo e nei luoghi. La Storia indica che ciò accade quanto più gli assetti politici danno spazio al confrontarsi tra le idee e i progetti dei cittadini nella loro diversità. La purezza del progetto non ha senso: occorre la coerenza che guida i compromessi tra culture e idee diverse, che convergono su punti circoscritti e per un limitato periodo di tempo. Non è questione di scontro con la realtà sociale - innanzitutto perché esistono gli individui non gli agglomerati sociologici, creati dal positivismo e dall’ideologismo - bensì di confrontare le idee e i progetti con la miriade di individui, al fine di realizzare, tramite le istituzioni, progetti sui quali si trova un accordo per sperimentarli. Attenzione, però: identificare questo con il ricercare il consenso e basta è comportamento ambiguo. I liberali non cercano il consenso sull’onda emotiva, ma sulla base dell’esercizio, da parte del cittadino, del suo spirito critico su problemi e progetti. Quando questo esercizio dà risultati positivi, allora può esistere il ‘consenso liberale’. In più, la Formazione liberale non mischia globale e locale, ritenendo importante la globalizzazione nel consentire e promuovere le relazioni su ampia scala. Ma è solo nei territori che si può esercitare una competenza effettiva da chi ci vive, tenendo conto pure delle situazioni globali. In tale quadro, la competizione non è un ostacolo da smantellare, ma uno stimolo che spinge ogni individuo a migliorare le sue capacità. Per questo motivo va combattuta la povertà: perché non consente una competizione vera tra tutti, in quanto limita la libertà di non pochi cittadini e li emargina a priori. Avere un sistema di regole mirate a far funzionare le interrelazioni civili nel segno delle libertà è il sistema reale che determina il conseguimento dei risultati derivanti dalle scelte politiche ed elettorali che i cittadini sperimentano e giudicano di continuo, migliorando le condizioni del convivere”.
In che modo la ‘Piattaforma Telematica Liberale’ riuscirebbe a prevenire gli effetti di ‘Rousseau’, il dispositivo che ha fatto la fortuna del Movimento 5 Stelle?
“Non si tratta di prevenire gli effetti di ‘Rousseau’, perché non derivano dal sistema ‘Piattaforma’, quanto dal modo di utilizzarla. Il M5S ha messo in campo, anni fa, uno strumento capace di collegare in tempo reale gli attivisti. Questa mossa, di per sé alla portata di chiunque e in altri Paesi già utilizzata almeno da un quindicennio, ha permesso di far sentire partecipi gli attivisti, di diffondere le idee di Beppe Grillo (che ha ‘menato le danze’ fin dagli inizi), di concentrarsi sull’onda di protesta dei cittadini, che stava montando per la fortissima disattenzione nei loro confronti da parte di chi governava con le forze politiche più strutturate, di destra e di sinistra. Alle elezioni del 4 marzo 2018, il M5S è divenuto di gran lunga il più ampio gruppo parlamentare, perché è stato percepito come un vero movimento contro le élites. C’entrano poco o nulla i programmi M5S, che ora tanto fanno discutere le altre forze politiche e i mezzi di comunicazione, come i due mandati, la democrazia diretta, l’impegno al vincolo di mandato per gli eletti, il contratto per obbligare a versare il contributo mensile. Sono tutti i restauratori che, in modo sempre più palese, se la prendono ogni giorno con il M5S, individuato come la fonte di ogni nequizia. In realtà, il M5S non è il problema, ma una conseguenza: è il macigno che ha rotto molte delle complicità elitarie e burocratiche, in parlamento e nei ministeri. Tuttavia, non avendo né cultura approfondita, né esperienza, spesso funziona come ‘ariete’, ma poi non sa cosa fare dopo. In ogni caso, la ‘Piattaforma Telematica Liberale’ è estranea a tutto questo”.
Perché?
“Perché la ‘piattaforma telematica’ è uno strumento che non è stato inventato dal M5S. Se ben utilizzata, essa può essere una grande tecnologia moderna per associarsi (basata sull’intelligenza artificiale, che utilizza condizioni incompatibili con la democrazia diretta). Tutti i difetti politici attribuiti alla piattaforma appartengono alla cultura approssimativa di chi la usa, per corrispondere alle proprie pulsioni illiberali, a cominciare da quella di avere costruito la ‘piattaforma Rousseau’ come luogo per vivere un mondo onirico, lontano dalla realtà, che rinnova il mito del centralismo democratico e la pretesa di rappresentare gli italiani decidendo per loro. Invece, la ‘piattaforma telematica liberale’ sarà diretta da un consistente gruppo di liberali di comprovata cultura politica delle libertà, coerenti nei comportamenti. Con un investimento alla portata delle evanescenti risorse finanziarie liberali, servirebbe a cambiare un’abitudine tradizionale dei liberali: non ‘fare rete’, teorizzandola ma non praticandola. La piattaforma si compone di un settore visibile a ogni cittadino, consentendogli di informarsi sulla campagna svolta dai ‘fautori delle libertà’. Un secondo settore sarebbe riservato solo agli aderenti alla Formazione delle Libertà. La sezione ‘Piattaforma Aderenti’ è uno strumento dinamico disponibile per decidere i temi, le maniere e i tempi per diffondere la cultura liberale. L’uso del sito della ‘Piattaforma Telematica Liberale’ non va confuso con le interrelazioni fisiche tra i destinatari della campagna: non tutti saranno raggiunti. Il sito ‘Piattaforma Telematica Liberale’ è solo lo strumento più penetrante di cui dispone la campagna di rilancio della cultura politica liberale, poiché utilizzando tecnologie di comunicazione avanzate, permette contatti approfonditi a costi quasi nulli tra individui molto distanti. Contatti che, in seguito, possono diventare anche fisici”.
Ciò non rinnega il principio del partecipare e del votare di persona?
“Tutt’altro: ne applica il senso, consentendo di superare in parte la ‘ghettizzazione’ delle libertà nel campo dell’informazione. L’estendere l’area dei cittadini conoscitori della cultura liberale può accrescere l’area di chi vota non in base alle emozioni e alle utopie, bensì fondandosi sulla valutazione dell’avvenuto per ciò che è. E tale crescita aumenta la probabilità di un voto informato sui meccanismi del convivere libero, che è incentrato sull’abitudine a potenziare i ‘meccanismi’ non per evitare i conflitti tra cittadini sui progetti nella convivenza, ma per gestirli e permettere di arrivare a scelte accettate”.
Qual è la sua opinione sui personalismi di Renzi e Calenda e le loro attuali proposte per l’area di centro?
“I due personaggi hanno in comune un personalizzazione esasperata, intenta a valorizzare non le rispettive proposte politiche, ma le rispettive esistenze. Di Carlo Calenda non ho opinioni politiche precise, poiché oltre all’essere il nipote di un grande regista, non si conosce alcun progetto. Su Matteo Renzi, il discorso è diverso, non solo per i ruoli istituzionali ricoperti per anni, ma anche per la ‘girandola’ di iniziative. È una persona di ‘lingua pronta’, tanto che all’inizio, per alcuni mesi, ha illuso di voler coinvolgere i cittadini in una ‘chiave’ abbastanza liberale. Si è poi rapidamente capito che era una ‘sceneggiata’: la sua personalità è venuta a ‘galla’ prima con la frase: “Enrico stai sereno”, apoteosi di ‘doppiezza’, in seguito con il tentativo di riforma costituzionale in ‘chiave’ oligarchica. Non ha mantenuto la parola di abbandonare la politica in caso di ‘bocciatura’ del referendum. Inoltre, ha cercato l’elezione in parlamento per se stesso e per un nutrito numero di ‘fedelissimi’, per poi ricercare visibilità attraverso una scissione con un nuovo gruppo. Insomma, ha continuato a tessere la tela dell’interesse personale pur di restare in vista. Attualmente, ammicca a un progetto imperniato sull’area di centro, con l’aspirazione di coinvolgere in una nuova riforma costituzionale la destra ‘sovranista’ tramite il trentennale amico di famiglia Verdini, che ora ha rapporti ravvicinati con Salvini. Ma l’area di centro non può essere, oggi, un progetto ‘liberale’: il centro si contrappone a due ‘ali’. Tale distinzione poteva avere un significato forte nel 1948, quando le ‘due ali’ esprimevano una cultura contraria a quella occidentale sulla libertà del cittadino. Oggi, invece, la distinzione ‘centro-ali’ non è legata a una differenza di culture, ma all’essere concorrenti per la medesima ‘poltrona’. Il ‘senso’ sarebbe avere un progetto politico per governare il ‘buco delle libertà’ che c’è in Italia. Ma anche se a nessuno può essere impedito di dirsi o definirsi liberale, di certo lo smentiscono subito i comportamenti incoerenti. E gli elettori capiscono”.
Nel gran concerto che è la politica, sembra che i cittadini apprezzino più il ‘frontman’ che il lavoro di squadra: quanto i personalismi hanno penalizzato la stabilità italiana, in questi ultimi decenni?
“La tendenza esplose con il ‘ventennio’ e i padri costituenti, preoccupandosi della cosa, vollero impedirla. E ci riuscirono abbastanza, agevolati anche dalla mentalità Dc, aliena dal dare spazi sopra il loro collegio dirigente. Poi, dopo il 1989, dilagò l’illusione illiberale che la Storia fosse finita: un’idea che finì col privilegiare, anche in politica, il ‘marketing americano’. Solo che, negli Stati Uniti, esiste un radicato e robusto associazionismo civile, che promuove l’equilibrio anche dal ‘basso’. Da noi, tutto questo non c’è e si è andata affermando una politica priva di dibattito culturale, ridotta agli ‘attori noti’ e più popolari. Tuttavia, essendo ormai tutti interconnessi a livello mondiale, i fatti concreti hanno mostrato l’inadeguatezza governativa dei personalismi. Eppure, i mezzi di comunicazione, lungi dal segnalarlo, hanno continuato a cavalcare la ‘personalizzazione’, fino a esasperarla. Così, il giornalismo è praticato in dispregio della sua funzione informativa: è un grave problema italiano, ma non solo. Peraltro, la radice del personalismo è il fraintendimento sul concetto di individuo, che esercita il senso critico. Per motivi differenti, la cultura religiosa cattolica e l’ideologia marxista ritengono l’individuo una realtà pericolosa, perché non garantisce il rispetto delle loro rispettive verità e, quindi, l’hanno sempre avversato. Siccome l’individuo è ineliminabile, l’hanno identificato con il suo manifestarsi negativo: l’individualità che pensa solo a se stessa e si esprime non per meglio conoscere il mondo, ma per meglio assoggettarlo. Lo ritengono un individualismo contrastabile agevolmente dalle comunità di potere, fonti del conformismo sociale. Solo che, con il passare del tempo, il modo di governare in sostanza consociativo delle élites referenti solo tra loro, ha rotto gli argini e ha fatto dilagare una politica ridotta a personalismo, visto come una teorica speranza. Esattamente qui risiede il senso più profondo del ‘buco delle libertà’ ora esistente e della necessità di costruire una Formazione delle Libertà: diffondere la cultura del ‘cittadino-individuo’ che pratica il metodo critico e, quindi, non cade nel ‘gorgo’ dei social. Si può leggere la spiegazione articolata nel mio libro, inserito nella biblioteca on line: www.losguardolungo.it/biblioteca/”.