La poesia come recupero di sé in un’analisi critica e autentica dell’esistenza che nasce, cresce, rinasce, s’inventa, si perde e si ritrova in un vortice umano e poetico
Alzi la mano chi non ha mai giocato a ‘carta-forbice-sasso’. La ‘morra cinese’ è ancora oggi un gioco noto tra i bambini. E’ un po’ come il ‘pari o dispari’ e viene usato per tirare a sorte. Antonio Bux lo ha scelto come titolo per la sua raccolta di poesie, edita da Avagliano Editore. Le tre mosse rappresentano la suddivisione del libro. E’ necessario, prima di iniziare la lettura, ricordare le regole: i due giocatori tengono la mano chiusa a pugno e la fanno dondolare, mentre scandiscono assieme il detto. Ogni giocatore cambia immediatamente il pugno in una delle tre possibili ‘mani’. Sasso e la mano è chiusa a pugno; carta e la mano è aperta con le 5 dita stese; forbici e la mano resta chiusa, ma con indice e medio estesi a formare una ‘V’. Lo scopo è sconfiggere l'avversario scegliendo un segno in grado di battere quello dell'altro, secondo strategie ben definite. Come accade nella vita: a volte si vince, a volte si perde. Bux riavvolge il nastro della memoria e torna indietro nel tempo, alla sua infanzia. L’autore si specchia e, in questo guardarsi riflesso, vede un uomo che porta con sé il fanciullo che è stato e che, forse, per certi aspetti è ancora: “Tra me e te c’è un altro uomo./ Guarda con occhi di vita, prova ciò che tu hai voluto lasciare”. Non è un caso che la prima poesia che apre la raccolta sia 'Quasi genesi': un osservarsi con occhi esterni, di altri. Ci troviamo di fronte a una poesia introspettiva contemporanea, che ha il potere di scardinare logiche e portare il lettore a meravigliarsi, perdersi, riconoscersi, sconvolgersi. Nella lirica ‘La gondola’ pulsa il simbolismo. La gondola ci riporta all’imbarcazione simbolo di Venezia. Viene quasi spontaneo sentire gli echi di ‘Morte a Venezia’ di Thomas Mann, in una simbiosi tra amore e morte, in cui il gondoliere è messaggero dell’ignoto. Le altalene, altro elemento di gioco, rimandano alla Grecia antica, in cui ogni anno veniva celebrata una festa a loro dedicata: le ‘aiora’. Il mito che si ricordava era legato al culto del dio dell’ebbrezza: Dioniso. Non era certo un riferimento spensierato e giocoso, ma indicava il passaggio dalla giovinezza alla maturità. Ecco perché l’autore ci dice: “E poi il prato pieno di mani, amore che è altalena”. Bux compie un lavoro attento e minuzioso, lasciando che la poesia sia fluida, incandescente, a momenti tagliente. E’ lo strumento ideale per scandagliare l’anima e ripercorrere le esperienze della vita. Inutile negarlo: il poeta sa fare poesia come si deve: la usa per intervenire su se stesso, per comporre, frantumare e ricomporre la propria identità. Scava, esplora, sperimenta. E’ un continuo cercare, un’urgenza creativa che a volte sfiora l’ossessione. La parola non è un sasso lanciato a caso, ma il tassello di un puzzle. Antonio Bux nasce, cresce e rinasce, s’inventa, diventa altro da sé, si perde e si ritrova: un vortice umano e poetico. Non sono versi del rimpianto o della nostalgia, ma momenti di riflessione sull’esistenza e i suoi molteplici messaggi. Si incrociano il visibile e l’invisibile, il reale e l’irreale. Tutto è in movimento, nulla è mai statico, immobile. Si torna al passato ed è come se il tempo richiamasse a sé i ricordi, le emozioni, la presenza delle anime. Questa raccolta è un dialogo continuo con l’Io adulto e bambino. Un viaggio nei luoghi del cuore e del mondo, uno sguardo che va oltre per arrivare a una dimensione ignota. Se, da un lato, la poetica di Bux risulta narrativa di sé, è anche vero che questo suo andare a ritroso nella propria interiorità è un modo originale per comprendere il tempo, i sentimenti, l’universo. Il ‘sasso’ è il capitolo dedicato all’infanzia, con tutto ciò che implica questo particolare periodo della vita, che inevitabilmente diventa una ridiscesa nella parte più pura di sé, ancorata agli affetti: il nonno è “luce che tu non sei più”. L’assenza torna presenza e viceversa, ma il poeta riflette sulla morte e quel ‘passaggio’ che è la vita che all’improvviso si ferma, ma che non è una fine, bensì un nuovo inizio. Nella sezione ‘carta’ c’è un’altra età, quella più matura per l’amore: un sentimento che è scoperta e smarrimento. Gli occhi diventano il luogo ideale per celebrare un’intesa: “Che bello essere i tuoi occhi”. Essere l’altro, farne parte nel corpo e nell’anima, essere il cielo, il mare, gli elementi, vivere la mimesi nella natura. La dimensione terrena sfiora quella celeste e il sentimento assume un senso di sacralità, per poi far rientro nell’ordine/disordine delle cose. Bux si mette alla prova e ci consegna un’opera interessante, matura nello stile, profonda nei contenuti. A volte, forse, si ha l’impressione di finire in un labirinto, ma il lettore non deve temere nulla: se sa riconoscere il senso delle parole, saprà coglierne il valore universale.
Sasso, carta e forbici
di Antonio Bux
Avagliano Editore
Pagg. 185, € 16,00
L’autore
Antonio Bux è nato a Foggia nel 1982. Ha pubblicato vari libri, sia in italiano, sia in spagnolo, tra i quali ‘Trilogia dello zero’, finalista al premio ‘Lorenzo Montano’ e vincitore del premio Minturnae. E’ anche autore di un libro di poesie in vernacolo foggiano: ‘Lattèsanghe’. Alcuni suoi lavori sono stati tradotti in varie lingue e antologizzati in opere collettive come ‘InVerse: Italian poets in translation’, a cura della John Cabot University. Ha tradotto numerosi autori di lingua spagnola. Su tutti, Leopoldo Marìa Panero. Ha fondato e dirige il blog ‘Disgrafie’.
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