La sfilata di moda di Francesca Rosella e Ryan Genz ha inaugurato l'apertura della seconda edizione Maker Faire Rome 2014, la fiera dell'hi-tech 'fai-da te' che si articola all'interno della settimana dell'innovazione, Innovation week (dal 27 settembre al 5 ottobre) presso l'Auditorium Parco della Musica. Abiti molto speciali nei quali pizzi e merletti sono sostituiti da led e batterie. Outfit e innovazione tecnologica, un binomio che, secondo i suoi creatori, oggi è alla portata di tutti
Già da qualche tempo le più prestigiose riviste, specie di moda e design, parlano delle creazioni di questi due giovani stilisti. La loro moda è ‘visiva’ e al tempo stesso ‘emotiva’ (come ad esempio l’abito con twitter annesso). Si tratta di moda dei tessuti, ma conta molto anche la scelta dei materiali, specie quelli ad alta tecnologia, in attesa di brevetto CuteCircuit. Ogni materiale, inoltre, non solo viene lavorato secondo processi avanzati tecnologicamente, ma si tratta anche di una manifattura ‘etica’, pulita. Abbiamo scambiato qualche parola con Francesca Rosella, in occasione della sfilata inaugurale dell’Innovation Week a Roma. Come dire: il posto giusto e il momento giusto per farsi conoscere e apprezzare un po’ di più anche dal pubblico romano e italiano in genere. Anche se, data la fama del brand, non ne ha bisogno alcuno.
Francesca Rosella, com'è nata l'idea della linea CuteCircuit?
“È nata dieci anni fa da me e Ryan Genz. Vivendo in un mondo digitale, dove tutti hanno computer e telefonini, abbiamo avuto la sensazione che mancava l'innovazione relativa alla moda. Questo è stato il presupposto per la creazione delle collezioni CuteCircuit”.
Perché Londra, come sede?
“A Londra c'è un ottimo mix di innovazione tecnologica e di grande rispetto per il campi del design: questo fa si che sia un luogo perfetto per la sperimentazione e trasformazione commerciale di nuove idee”.
Abbiamo visto alla sfilata abiti 'illuminarsi': che utilità possono avere queste nuove tecnologie applicate ai tessuti?
“Gli abiti sono forniti sia di sensori che registrano il movimento del corpo, sia di ricami luminosi di grande impatto visivo. Inoltre, sono connessi ai social networks come Twitter, ad esempio, grazie a una App sull'iPhone, per far sì che chi li indossi possa interagire a distanza con altre persone. Questo crea una tecnologia che tiene conto delle emozioni e della connessione umana”.
I costi (per l'acquirente) sono ancora elevati, o spera che in futuro tutti si possa avere una maglia 'i-tech'?
“La collezione di “Ready to Wear” ha costi che vanno dai 200 ai 5 mila Euro, per cui finalmente i capi di abbigliamento interattivi diventano più accessibili e possono essere indossati tutti i giorni. Sono come abiti "normali", ma con capacità magiche ed emozionanti”.
Ringraziamo la stilista e chiudiamo con una semplice riflessione. La moda degli abiti tecnologici, ‘warable’ come si dice in gergo, ossia indossabili, portabili, non è affatto definibile come accessoria. Ossia, non si tratta di vestiti in cui l’aspetto i-tech è indossato come un di più. La lavorazione di questi capi è frutto di grande ingegno, che consente a chi li indossa di ‘vestire’ letteralmente la tecnologia. Di portarsela appresso e, quindi, di trasformarla in una seconda pelle. Vengono in mente le immagini di tanti film futuribili, anche famosi, che hanno descritto esseri umani e umanoidi. Chissà che quel processo non sia già cominciato.
Laura Pausini indossa una delle creazioni della collezione di Francesca Rosella e Ryan Genz
DENTRO L'EVENTO - La serata della sfilata
Immaginate una sfilata di moda, come ce ne sono tante. Modelle in passerella, abiti eleganti, tailleur, borse e altri accessori. Tutto vi passa davanti alla velocità di un passo alla volta delle modelle. Poi, però, all’improvviso un tessuto si ‘anima’, o per meglio dire, si illumina. Già, prende vita, come se qualcosa al suo interno glielo consenta. Il mistero svelato: sono dei LED inseriti che possono essere controllati tramite una semplice app di uno smartphone. Pensate: un click e la gonna cambia colore. E’ il fashion interattivo, che da alcuni anni ha preso piede a livello internazionale. Quale evento migliore per inaugurare la terza edizione romana di “Innovation Week – Maker Faire Rome”? Nei giorni in cui la Capitale verrà invasa da un piccolo esercito di ‘Leonardo da Vinci’, non si poteva che dare loro un benvenuto con una sfilata di abiti e accessori high - tech. I makers, gli inventori appunto, conoscono bene le tecnologie che sono state ‘cucite’ dietro ai tessuti. Si tratta di tecnologie ‘portabili’ e indossabili che trasformano la moda a sua volta in un accessorio delle nuove forme di comunicazione moderna, veloce, immediata, social, adattabile alle situazioni del momento. Le creazioni che hanno sfilato nella Cavea dell’Auditorium Parco della Musica, appartengono al brand CuteCircuit. Pioniere di questa casa di moda sono l’italiana Francesca Rosella e l’americana Ryan Genz. Vivono e lavorano a Londra, ma hanno scelto l’Italia come sede per la manifattura. Un progetto davvero innovativo il loro, quando nacque nel 2004, ma che dopo dieci anni ha fatto conquistare al brand la fama internazionale, attestandolo come leader del settore della moda interattiva. Artisti del calibro degli U2, Katy Perry, il dj Bob Sinclair sono tra i clienti del marchio. La storia di queste due ragazze conosciutesi all’ Interaction Design Institute di Ivrea e poi catapultate sulle passerelle più importanti, è il migliore auspicio che si possa regalare ai tanti inventori accorsi per l’occasione. Il Time Magazine le ha premiate nel 2006 per la migliore invenzione dell’anno: la Hug Shirt, la maglietta interattiva che permette di abbracciare virtualmente una persona lontana. CutCircuit è anche Galaxy Dress, abito che è anche display con oltre 24000 LED (oggi è esposto permanentemente al Museo della Scienza e dell’ Industria di Chicago). Tutto questo per dire che l’attesa e la curiosità di vedere la sfilata era tanta, ma veniamo appunto alla cronaca della serata.
Il pubblico romano è accorso all’evento (gratuito fino ad esaurimento posti) pieno di attese. Noi il posto a sedere non lo abbiamo trovato, ma era facile immaginare che le pur numerose sedie sarebbero state insufficienti. A Roma quando ‘è gratis’ si va, a prescindere dall’interesse. Questo lo diciamo per inciso e per dovere di cronaca. Col solito ritardo di questi eventi, le luci si abbassano e i telefonini si alzano in contemporanea alla musica per l’’ambient’. Tutti col braccio alzato, pronti a scattare foto da portare a casa o mandare in diretta all’amico. Un tempo si alzavano le ideologie, adesso le tecnologie. Il mondo cambia in fretta pelle e probabilmente anche i vestiti del prossimo futuro. A un certo punto sembra quasi che il settore stampa non ci sia proprio: tutti sono diventati fotografi. Una a una, le modelle iniziano a sfilare. Camminano, si fermano per far ammirare il ‘dress’ speciale. Luci colorate che si muovono lungo la giacca o su un lato di una borsetta. La gente è piacevolmente meravigliata. Non estasiata. Siamo all’inizio e più andremo avanti, più ne vedremo delle belle, si pensa. Il meglio è sempre alla fine. Invece il tempo trascorre come gli abiti: fondamentalmente uguali nella loro specificità. Cambiano i modelli, sì, ma l’effetto stupore iniziale passa. Vorremmo vedere qualcosa di più strabiliante, qualcosa di più… sì, di più ‘inventivo’! Va bene quei LED, ma non si può fare di più? E poi a cosa servono? Nessuno ha spiegato una loro eventuale utilità. Sicché, quando la sfilata termina e la folla si precipita oltre la Cavea per ammirare e magari toccare gli abiti da vicino – messi ormai in protezione da un cordone di buttafuori – capiamo che il quarto d’ora di ‘innovazione’ si è concluso. Possiamo tornare a casa. Sul tram del rientro alcune facce di spettatori (non paganti, ricordiamolo) tradiscono un mix di delusione (per l’aspettativa) e divertimento (per lo scorcio di serata inconsueta). Allontanandoci dall’Auditorium, molti makers stanno ancora disimballando gli scatoloni pieni delle loro innovazioni. Su alcuni tavoli abbiamo scorto strane figure, oggetti misteriosi ma allo stesso tempo tanto accattivanti. L’atmosfera è davvero elettrizzante. Quei signori venuti chissà da dove, da domani avranno la loro ‘passerella’ di celebrità. Una volta all’anno gli è concesso di abbandonare la postazione di lavoro, la propria casa e le discussioni sui social network con cui si tengono in contatto, interagiscono e si scambiano idee e collaborazioni. È la ricerca non certificata, come ha intelligentemente detto qualcuno. Fanno tutto su piattaforme ‘open source’. Molti sono giovanissimi ‘geni’ che con pochi spiccioli hanno tirato fuori idee più grandi dei colossi che potrebbero sponsorizzarli. C’è una certa disarmonia tra la sfilata ‘tech’ e le speranze vive di quei ragazzi. Va bene il tema, e complimenti al brand, ma un po’ più di coraggio e una festa inaugurale più ‘in grande stile’ se la sarebbero meritata tutta quegli inventori.
Roma è città antica, ma curiosa al nuovo. Bisogna però saperglielo spiegare e proporre con dovizia. Auguri a tutti i makers.
Immaginate una sfilata di moda, come ce ne sono tante. Modelle in passerella, abiti eleganti, tailleur, borse e altri accessori. Tutto vi passa davanti alla velocità di un passo alla volta delle modelle. Poi, però, all’improvviso un tessuto si ‘anima’ o, per meglio dire, si illumina. Già, prende vita, come se qualcosa al suo interno glielo consentisse. Il mistero è svelato: sono dei Led inseriti, che possono essere controllati tramite una semplice app di uno smartphone. Pensate: un click e la gonna cambia colore. E’ il fashion interattivo, che da alcuni anni ha preso piede a livello internazionale. Quale evento migliore per inaugurare la terza edizione romana di “Innovation Week – Maker Faire Rome”? Nei giorni in cui la capitale verrà invasa da un piccolo esercito di ‘Leonardo da Vinci’, non si poteva che dare loro un benvenuto con una sfilata di abiti e accessori high - tech. I makers, gli inventori appunto, conoscono bene le tecnologie che sono state ‘cucite’ dietro ai tessuti. Si tratta di tecnologie ‘portabili’ e indossabili, che trasformano la moda a sua volta in un accessorio delle nuove forme di comunicazione moderna, veloce, immediata, social, adattabile alle situazioni del momento. Le creazioni che hanno sfilato nella Cavea dell’Auditorium Parco della Musica, appartengono al brand CuteCircuit. Pioniere di questa casa di moda sono l’italiana Francesca Rosella e l’americano Ryan Genz. Vivono e lavorano a Londra, ma hanno scelto l’Italia come sede per la manifattura. Un progetto davvero innovativo il loro, quando nacque nel 2004, ma che dopo dieci anni ha fatto conquistare al brand la fama internazionale, attestandolo come leader del settore della moda interattiva. Artisti del calibro degli U2, Katy Perry, il dj Bob Sinclair sono tra i clienti del marchio. La storia di questi due ragazzi conosciutisi all’Interaction Design Institute di Ivrea e poi catapultati sulle passerelle più importanti, è il migliore auspicio che si possa regalare ai tanti inventori accorsi per l’occasione. Il Time Magazine li ha premiati nel 2006 per la migliore invenzione dell’anno: la Hug Shirt, la maglietta interattiva che permette di abbracciare virtualmente una persona lontana. CutCircuit è anche Galaxy Dress, abito che è anche display con oltre 24 mila Led (oggi è esposto permanentemente al Museo della Scienza e dell’Industria di Chicago). Tutto questo per dire che l’attesa e la curiosità di vedere la sfilata era tanta, ma veniamo appunto alla cronaca della serata.
Il pubblico romano è accorso all’evento (gratuito fino ad esaurimento posti) pieno di attese. Noi il posto a sedere non lo abbiamo trovato, ma era facile immaginare che le pur numerose sedie sarebbero state insufficienti. A Roma, quando un evento ‘è gratis’ si va, a prescindere dall’interesse. Questo lo diciamo per inciso e per dovere di cronaca. Col solito ritardo di questi eventi, le luci si abbassano e i telefonini si alzano in contemporanea alla musica per l’’ambient’. Tutti col braccio alzato, pronti a scattare foto da portare a casa o mandare in diretta all’amico. Un tempo si alzavano le ideologie, adesso le tecnologie. Il mondo cambia in fretta pelle e, probabilmente, anche i vestiti del prossimo futuro. A un certo punto sembra quasi che il settore stampa non ci sia proprio: tutti sono diventati fotografi. Una a una, le modelle iniziano a sfilare. Camminano, si fermano per far ammirare il ‘dress’ speciale. Luci colorate che si muovono lungo la giacca o su un lato di una borsetta. La gente è piacevolmente meravigliata. Non estasiata. Siamo all’inizio e più andremo avanti, più ne vedremo delle belle, si pensa. Il meglio è sempre alla fine. Invece, il tempo trascorre come gli abiti: fondamentalmente uguali nella loro specificità. Cambiano i modelli, sì, ma l’effetto stupore iniziale passa. Vorremmo vedere qualcosa di più strabiliante, qualcosa di più… sì, di più ‘inventivo’! Vanno bene quei Led, ma non si può fare di più? E poi a cosa servono? Nessuno ha spiegato una loro eventuale utilità. Sicché, quando la sfilata termina e la folla si precipita oltre la Cavea per ammirare e magari toccare gli abiti da vicino – messi ormai in protezione da un cordone di buttafuori – capiamo che il quarto d’ora di ‘innovazione’ si è concluso. Possiamo tornare a casa. Sul tram del rientro alcune facce di spettatori (non paganti, ricordiamolo) tradiscono un mix di delusione (per l’aspettativa) e divertimento (per lo scorcio di serata inconsueta). Allontanandoci dall’Auditorium, molti makers stanno ancora disimballando gli scatoloni pieni delle loro innovazioni. Su alcuni tavoli abbiamo scorto strane figure, oggetti misteriosi, ma al tempo stesso accattivanti. L’atmosfera è davvero elettrizzante. Quei signori venuti chissà da dove, da domani avranno la loro ‘passerella’ di celebrità. Una volta all’anno gli è concesso di abbandonare la postazione di lavoro, la propria casa e le discussioni sui social network con cui si tengono in contatto, interagiscono e si scambiano idee e collaborazioni. È la ricerca non certificata, come ha intelligentemente detto qualcuno. Fanno tutto su piattaforme ‘open source’. Molti sono giovanissimi ‘geni’ che con pochi spiccioli hanno tirato fuori idee più grandi dei colossi che potrebbero sponsorizzarli. C’è una certa disarmonia tra la sfilata ‘tech’ e le speranze vive di quei ragazzi. Va bene il tema, e complimenti al brand, ma un po’ più di coraggio e una festa inaugurale più ‘in grande stile’ se la sarebbero meritata tutta quegli inventori. Roma è città antica, ma curiosa al nuovo. Bisogna però saperglielo spiegare e proporre con dovizia. Auguri a tutti i makers.