Il nuovo album della cantautrice livornese è frutto di alcuni ‘appunti di viaggio’ trasposti in musica: da ‘Sono frammenti’ a ‘Con le mie scarpe’, ogni brano racconta una fase della sua vita, tra suggestioni blues e atmosfere nordiche
‘Fogli che raccontano’, l’ultimo album della poliedrica cantautrice livornese, Alessandra Rizzo, è uscito a fine settembre. I brani, che si susseguono in ordine cronologico di scrittura, raccontano l’esperienza di un viaggio vissuto dentro e fuori di sé e sono il frutto di 10 anni di lavoro. “Fogli che raccontano”, ci dice subito Alessandra, “nasce come una serie di appunti personali. Solo alla fine, mi sono resa conto di avere raccontato una storia”. Alessandra Rizzo, oltre a essere cantautrice, è anche docente e fondatrice di ‘Lab Vo.C.E.’: il primo centro in Sicilia dedicato alla formazione di cantanti moderni.
In effetti, i brani permettono all’ascoltatore di vivere le emozioni della cantautrice attraverso un viaggio fatto di immagini, luoghi, parole e sonorità, che restano impresse come durante la lettura di un libro. La vocalità versatile, dalla chiara impronta ‘blues/soul’, si fonde con sonorità vere, che strizzano l’occhio al purismo acustico e si rivolgono ai più esigenti ascoltatori di produzioni ‘High End’. Il suo genere musicale può insomma identificarsi come una forma di ‘world music’ d’autore, con contaminazioni jazz, sudamericane ed etniche. Ed è proprio la ‘contaminazione’, da intendersi in senso lato, a conferire un’impronta inconfondibile alla musica di Alessandra, nata a Livorno ma residente a Catania, con madre toscana, padre siciliano e origini napoletane e slovene. “La contaminazione di culture lontane fa parte di me”, spiega, “poiché amo tutto ciò che è diverso e si influenza reciprocamente”. La sua passione per i Paesi nordici e i climi freddi, in netto contrasto la mitezza delle colline toscane e del mar Mediterraneo, la porterà fino a Dublino. Una fuga in avanti, quella di ‘LaRizzo’ (il suo pseudonimo, ndr), nata dall’esigenza di lasciarsi alle spalle un capitolo doloroso della propria esistenza destinato a sfociare nella creazione di questo ‘album-confessione’, poeticamente intitolato ‘Fogli che raccontano', che vede la collaborazione di menti e spiriti diversi: quelli di Alessandra, ma anche dell’inseparabile chitarrista e “fratello di vita”, il virtuoso Edoardo Musumeci, oltreché del direttore artistico ed esecutivo, Riccardo Samperi.
Alessandra Rizzo, innanzitutto cosa raccontano questi ‘Fogli che raccontano’?
“Fogli che raccontano è una raccolta di brani dal carattere fortemente autobiografico. Parlano della fine di una storia, di una rinascita personale, ma anche di un viaggio, sia reale, sia interiore. La dimensione del viaggio, dello spostamento fisico e spirituale, è centrale per comprendere e apprezzare le mie canzoni, che nascono sempre da un’esperienza realmente vissuta e sofferta. Il viaggio reale è avvenuto quando, 7 anni fa, sono andata a Dublino spinta dal bisogno di allontanarmi dalla realtà siciliana in cui vivevo. Sentivo l’esigenza di lasciarmi alle spalle un capitolo particolarmente doloroso della mia vita e volevo andare in un posto lontano, dove non conoscevo nessuno e dove nessuno mi conosceva. A Dublino, ho trovato un popolo accogliente e una cultura ricchissima, finendo per innamorarmi dell’Irlanda. La rinascita è cominciata lì”.
I brani, quindi, sono le ‘tappe’ di questo suo viaggio, sia fisico, sia interiore: ce ne può esplicitare qualcuno?
“La prima tappa fondamentale è senz’altro rappresentata da ‘Sono frammenti’, che è il primo brano che ho scritto e che mi ha dato la consapevolezza non solo di essere una cantautrice, ma hanno fatto emergere parti di me che non conoscevo. Si inizia a sentire la necessità di raccontarsi, di far pace con le fragilità che teniamo nascoste e con le maschere che indossiamo per apparire forti. Di abbandonare le armi con chi riesce a comprendere che sotto l’armatura c’è altro. Ma per ‘gettare la spugna’ serve veramente coraggio e, a volte, si vola via come la polvere. Un brano che trova la sua conclusione attraverso una scrittura a 4 mani con il leader degli Sugarfree, Matteo Amantia. Il punto di svolta, però, è rappresentato da ‘Con le mie scarpe’: qui arriva la consapevolezza di essere in grado di saper fare le cose da sola, di potermela cavare. Questa presa di coscienza ha coinciso con l’esperienza a Dublino, in cui ho trovato un popolo - quello irlandese - capace di grande accoglienza e pieno di voglia di raccontare la propria cultura. Quando da Dublino sono tornata in Sicilia avevo in mente di ripartire dopo poco tempo. Ma il mio chitarrista e ‘fratello di vita’, Edoardo Musumeci, dopo aver letto i miei testi mi ha convinta a restare. Ha creduto nel mio potenziale artistico e mi ha spronata a continuare a lavorarci. Infine, l’ultimo brano che, dà il nome all’intera raccolta, rappresenta la ‘chiusura del cerchio’: solo alla fine di questo percorso creativo ho sentito che tutta l’irrequietezza che mi attanagliava, finalmente mi abbandonava, lasciando spazio alla capacità di ricostruire”.
Quali sono i generi musicali e gli artisti che l’hanno maggiormente ispirata nel suo percorso?
“Come le ho detto, la contaminazione fa parte del mio Dna. Questo aspetto si riflette inevitabilmente sul mio fare arte, che si nutre di modelli anche molto distanti tra loro, dal rock al jazz, passando addirittura per la musica reggae. Ricordo di avere scoperto i ‘Beatles’ a soli dieci anni: mi fecero letteralmente impazzire e per mesi ascoltai solo i loro dischi. Col tempo, mi sono appassionata anche alla musica italiana, da Pino Daniele a Niccolò Fabi passando per Sting e Stevie Wonder, fino al mondo latino americano e africano. Grazie alla proficua collaborazione con Edoardo Musumeci, sono riuscita a mettere in scena contaminazioni tra mondi molto distanti tra loro, approdando addirittura a certe modalità del jazz. Sul palco, con Edoardo, ci è capitato spesso di improvvisare, lasciandoci trasportare totalmente dall’istinto e dalla musica che stavamo creando”.
Oltre a essere una cantautrice, lei è anche un’insegnante di canto presso il centro da lei stessa fondato, il ‘Lab Vo.C.E.’ di Catania: come mai ha deciso di dedicarsi anche alla formazione?
“La mia decisione è nata da un’esigenza che, a sua volta, nasceva da una mancanza. Prima di ‘Lab Vo.C.E.’, in Sicilia non c’erano scuole che formassero gli artisti alla pratica canora. Io stessa, per formarmi, ho dovuto trasferirmi al nord, dove ci sono le principali scuole di canto. ‘Lab Vo.C.E.’ vuole sopperire a questa mancanza, fornendo ad aspiranti cantanti la possibilità di apprendere le tecniche del canto a 360 gradi. Grazie all’equipe di esperti con cui ho la fortuna di collaborare, nel mio centro non ci occupiamo solo di curare l’aspetto vocale, ma anche quelli logopedico e psicologico, che concorrono in maniera determinante alla formazione di un artista solido e completo. L’obiettivo è prendere la mia esperienza e donarla a chi vuole imbarcarsi in questa carriera, che chiede così tanto, ma che ripaga anche di tutti gli sforzi, se si è in grado di incanalare nel modo giusto il proprio talento”.
NELLA FOTO QUI SOPRA: LARIZZO DURANTE UNA PERFOMANCE DAL VIVO;
AL CENTRO: ALESSANDRA RIZZO PERLUSTRA I SUOI 'ORIZZONTI PENSOSI';
IN ALTO A DESTRA: LA COPERTINA DI 'FOGLI CHE RACCONTANO'