IL LATO B DELLE COSE
uno sguardo oltre ciò che di solito si vuol far apparire...
Un’esibizione unplugged in una delle terrazze gourmet della Capitale, una calda serata di fine luglio, ed ecco che la città mostra il suo aspetto più cosmopolita per presentare il nuovo Centro della fotografia di Roma con un’ospite d’eccezione, il compositore statunitense Moby e il suo ultimo lavoro fotografico “Destroyed”.
“Ho fatto un sogno, ho visto qualcuno che andava in giro col bicchiere in mano…Ho fatto un sogno, ho visto della gente che si occupava degli affari suoi e non voleva più sapere niente di quello che succede fuori” : parafrasando il Vasco nazionale questo è quello che mi capita di vivere ogni volta che qualcuno mi invita ad un evento ‘esclusivo’. “Dai su andiamo…ci divertiamo, si incontra bella gente”, dice qualcuno: e magari ti fai pure “due palle così”, dico io! Poi ad un certo punto, come per magia, capita che arriva l’invito giusto e che Roma si concede quel tocco di brillantina, esclusivo al punto giusto, degno insomma di una città cosmopolita: ed è subito Milano, New York, Parigi, Londra! È il segno dei tempi, comunque, e non ci vuole poi molto: metti un cantante, compositore di musica elettronica statunitense; una vocalist soul dal cuore di leone; un’esibizione rigorosamente unplugged su un palco allestito in una delle bellissime terrazze gourmet della Capitale - un posto completamente fuori dal mondo, a due passi dal cielo e due dal Colosseo. Il tutto preceduto da una cena totalmente vegana realizzata da uno chef stellato ma dai contorni (non nel senso culinario) nostrani. Affidi quindi Moby (alias Richard Melville Hall) alle sapienti doti di un “anarchico ai fornelli”, Antonello Colonna appunto, metti tutto dentro l’Open che prende lo stesso suo nome, una manciata di ospiti altamente selezionati in un lunedì di una notte di inizio estate e il piatto è pronto: da servire ben caldo però. Come calda è stata la notte che ci ha regalato l’Associazione Obiettivo 2013 (www.obiettivo2013.it) al preciso scopo di esibire l’ultimo lavoro dell’artista newyorkese - un album fotografico corredato di cd dal titolo evocativo, “Destroyed” - ma soprattutto per presentare l’apertura, oramai prossima, del primo “Centro per la Fotografia di Roma”. Ed è così che Roma si è data l’onore di diventare un po’ “alla page” - lo ha fatto il 25 luglio – in una serata che ha visto l’artista statunitense trascinare i pochi invitati e addetti ai lavori in un’atmosfera d’incanto dove non sono mancati i momenti davvero emozionanti. Una presentazione culminata in una esibizione live nella quale Moby, per un’istante sul tetto del mondo - voce e chitarra solo - ha offerto al pubblico i suoi pezzi migliori: da “Natural Blues” a “Lift me up”, passando per “Why does my heart feel so bad?” (introdotta dalla splendida voce di Joy Malcolm) fino ad arrivare all’incantevole “Porcelain”, forse la canzone che lo ha consacrato per sempre. Un contest semplice, dominato dai colori viola, rosso e verde, che non ha lasciato nulla al caso e che ha visto slanci d’impeto degni di un artista mondiale: che si permette di capovolgere una “walk on the wild side” o una “whole lotta love” senza far rimpiangere Lou Reed o lo stesso Robert Plant. Alla presenza di Umberto Marroni (presidente dell’associazione), Marco Belardi della Lotus Production, Massimo Cotto, giornalista-deejay che ha introdotto l’artista sul palco e che insieme ha lui ha illustrato “Destroyed”, ma poi Valerio Mastandrea, Violante Placido, i Velvet, gli LNRipley, gli Zero Assoluto, Pier Cortese, Roberto Angelini e tantissimi altri, Moby ha esposto, attraverso video proiezioni su un videowall alle spalle del palco, alcuni suoi scatti itineranti in giro per il mondo. “Uno degli scopi delle mie foto è quello di rendere strano il normale e normale l’insolito” ha spiegato. Destroyed è la parte finale di un cartello luminoso di sicurezza che diceva: Unattended luggage will be destroyed (Il bagaglio non ritirato verrà distrutto. N.d.T.). Insegna che Moby ha fotografato in un aeroporto La Guardia di New York deserto e da cui ha preso ispirazione per il recente percorso artistico. Scatti mobili che assemblano in un gioco di specchi alla rovescia pezzi di vita ordinaria a momenti più vorticosi, quasi a voler realizzare un paesaggio cittadino onirico universale di 'non luoghi' urbani - aeroporti dai corridoi senza fine, composizioni semi-astratte di nuvole, panorami scattati dal finestrino di un aereo: il backstage di una vita possibile, insomma, che però non esiste ma che prende forma lo stesso. Pubblicato da Damiani editore, il volume include il nuovo album del cantante americano e 55 fotografie realizzate durante i suoi
concerti. "Fare tour è un esperienza disorientante, per tutta una serie di fattori, ha sottolineato Moby nel corso della presentazione: un’esistenza costantemente nomade e randagia; gli spazi anonimi (camere d’albergo, aree backstage, aeroporti); l’isolamento totale (camere d’albergo) alternate all’immersione in un mare di persone; occupare sempre spazi artificiali creati da altri (...)". L’intensità degli scatti, l’unione tra album e libro fotografico ma soprattutto l’esibizione mi hanno svelato la dimensione intima del mondo di Moby e del suo processo creativo. E stranamente mi hanno chiarito come sia ancora del tutto normale, per icone della musica come lui, ma anche per chi si consideri moderno, andare a passeggio per il Mondo e guardare ancora e comunque sconvolgenti aspetti della vita spesso sconosciuti. Noi invece proseguiamo con il sogno, o con l’incubo: “Ho fatto un sogno… ho visto qualcuno che…”.
Moby: “Uno degli scopi delle mie foto è quello di rendere strano il normale e normale l’insolito”