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26 Aprile 2024

Roberta Di Mario: "I giovani stanno cercando una sintesi tra semplicità e qualità"

di Michele Di Muro - mdimuro@periodicoitalianomagazine.it
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Roberta Di Mario: "I giovani stanno cercando una sintesi tra semplicità e qualità"

E’ uscito lo scorso 13 ottobre per Warner Music Italy la nuova raccolta della musicista parmigiana, intitolata ‘Illegacy’: dieci tracce strumentali di ‘pianismo pop contemporaneo’ dalla forte carica emotiva, impreziosite da importanti arrangiamenti orchestrali, molto apprezzate anche dalle nuove generazioni, inducendoli a riscoprire stili musicali più classici e sofisticati

Il pianoforte classico vive, in questi anni, una nuova giovinezza. Da un punto di vista stilistico sono stati sperimentati nuovi approcci, nei quali la tradizione si combina con le più svariate influenze, che vanno dall’elettronica, fino alle sonorizzazioni per il cinema. E’ questo, in sintesi, l’approccio seguito da Roberta Di Mario nel suo terzo disco da solista, il primo integralmente strumentale. In uno stretto rapporto tra musica e immagine, cinque dei brani contenuti sono corredati da altrettanti video, che vanno a tradurre visivamente quanto espresso attraverso le note. I restanti ‘visual’ saranno pubblicati prossimamente, fino a chiudere il cerchio narrativo. L’album si colora di molte sfaccettature ed è molto variegato, da un punto di vista sonoro e melodico, ma colpisce per l’immediatezza emotiva con la quale questa musicista ha dato sfogo alla sua ispirazione. Diplomatasi presso il Conservatorio della sua città, Roberta Di Mario debutta nel 2011 con ‘Tra il tempo e la distanza’, cui segue il doppio album ‘Lo stato delle cose’, pubblicato tre anni dopo. Nello stesso periodo, la sua ‘Hands’ costituisce la colonna sonora del docufilm ‘Vivere il mondo di Botero’, realizzato in occasione della mostra internazionale dell’artista in Italia e Giappone. Ha aperto i concerti di Dionne Warwick, Toquinho, Mario Venuti, Sagi Rei, Roby Facchinetti e Roberto Vecchioni, in occasione del tour di ‘La vita che si ama’. E ha inaugurato la scorsa edizione del ‘Biografilm festival’ di Bologna.
 
Roberta Di Mario, proseguendo il percorso già iniziato con ‘Lo stato delle cose’, questo suo nuovo lavoro è un album totalmente strumentale, mentre in precedenza si era cimentata con un cantautorato contaminato da influssi jazz e sudamericani: è stato un desiderio di riportare la musica in primo piano?
“Assolutamente. Descrivo ‘Illegacy’ come un viaggio di ritorno verso casa, quindi un ritorno alla musica strumentale e pianistica. Nasco, infatti, come musicista e pianista, ma poi è arrivata una fase della mia vita che identifico come il mio ‘periodo blu’, in cui ho sentito l’esigenza di ‘infilare’ nella musica anche le parole. E’ stato un ciclo durante il quale ho scritto come cantautrice, componendo canzoni oltre che pezzi strumentali. Ma già ne ‘Lo stato delle cose’ si stava verificando questo viaggio di ‘ritorno’ verso il pianoforte. Questo strumento è stato l’elemento che accomunava ogni mia composizione ed era protagonista in ogni brano, sia quelli scritti in forma di canzone, sia in quelli composti specificamente per il pianoforte. Insomma, la voce e le canzoni mi hanno ‘distratta’ per un po’. ‘Lo stato delle cose’ era, infatti, un doppio album: uno dedicato alle canzoni e il secondo composto da brani strumentali. Dopo questo disco, mi sono resa conto che, forse, non avevo più bisogno di mettere parole nelle note: tutto quel che avevo da dire era già dentro le mie note. Quindi, sono ‘ritornata a casa’, ovvero al pianoforte”.

Com’è composto ‘Illegacy’?
“E’ composto da dieci brani puramente strumentali, nove dei quali sono arrangiati e arricchiti da un sound orchestrale, che ha valorizzato, ma non snaturato, quella che è la melodia originale nata sui tasti bianchi e neri. C’è un solo brano puramente pianistico. Si tratta di ‘Musica bianca’: qui volevo che l’ascoltatore infilasse tutti i colori e le emozioni che io avrei potuto dare con l’arrangiamento”.

Il disco è ricco di elementi evocativi e sfaccettature: quali sono state le sue suggestioni in fase di composizione, musicale e non?
“Un disco nasce dalla voglia e dall’urgenza di raccontare delle cose. Io ho semplicemente composto dei brani che hanno convinto, per la loro bellezza, me e il mio ‘staff’. Credo che, ancora oggi, fare un album serva: c’è bisogno di musica, soprattutto quando è bella e ti circonda. Ritengo importante creare qualcosa che si possa toccare fisicamente, con le mani, in una vita come quella odierna, così veloce e fuggevole. Un disco, invece è qualcosa che resta. Un musicista, così come l’artista in genere, ha sempre voglia di raccontare e condividere. Perciò, abbiamo deciso di raccogliere questi pezzi in un disco. L’ispirazione è, per tutti, il risultato di quello che si vive e si sente, non solo in prima persona, ma anche in relazione al vissuto degli altri, che l’artista riesce a intravedere con la propria sensibilità. Non guarda solo con gli occhi, ma ascolta con l’animo e il cuore: uno sguardo, un viaggio, una persona che ti racconta qualcosa. Questo può succedere in un momento, magari inaspettato. Io sono abbastanza lenta nelle cose, magari vivo e poi l’input o l’idea mi arriva dopo tanto tempo. Ma se si tratta di qualcosa che mi ha colpito, ovviamente lascia una traccia. E’ un grande privilegio possedere la capacità di mettersi in connessione con se stessi, di comprendere chi si è, capire il ‘canale’ per poter comunicare le emozioni. Ed è il ‘canale creativo’ dei musicisti che, nel mio caso, avviene attraverso le mani. E’ quindi un’ispirazione a 360 gradi”.

Nei suoi brani, il pianoforte è l’eleRoberta_Di_Mario_1.jpgmento dominante.  Le canzoni sono arricchite dalle orchestrazioni, che allargano il ‘range’ stilistico del disco, producendo sonorità molto contemporanee, in particolare nella ritmica di brani come ‘Illegal song’ e ‘The color of you’: qual è stato il processo attraverso il quale è giunta alla creazione delle tracce? Sono state pensate così fin dal principio, o sono frutto del lavoro in studio?
“Entrambe le cose. Ho scritto dei brani dove avevo un’idea non solo compositiva, ma anche di arrangiamento. Per mia fortuna, ho una squadra di arrangiatori che sono molto vicini al mio animo: siamo veramente in empatìa. Come dicevo prima, ho lavorato con dei professionisti (Cristian Bonato e Federico Mecozzi, ndr) che hanno valorizzato la melodia senza snaturarla. Alcuni ‘spunti’ sono arrivati da loro, altri sono arrivati da me nel momento in cui, entrata in studio, ho espresso chiaramente come volevo che si lavorasse sulla melodia, per esempio attraverso l’uso degli archi trasversali. Essendoci tanta empatia, quello che dicevo era molto in accordo con le loro idee, gusto e stile. Abbiamo lavorato in armonia e con grande complicità. Ci sono stati poi brani che sono arrivati in studio, attraverso tale collaborazione. Il lavoro di gruppo porta a creare una composizione diversa. rispetto alla scrittura al piano da solista. La cosa positiva dell’operare con dei professionisti è proprio quella di poter migliorare la tua  creatività compositiva: si giunge a scrivere in ‘direzioni diverse’. E’ questo il caso di ‘Uncomplicated’, un brano nato sicuramente con un andamento movimentato, ma non elettronico. E questo elemento è arrivato dagli arrangiatori”.

E’ meglio comporre musica da soli seguendo la propria ispirazione, oppure è il lavoro di squadra a sviluppare al meglio alcune idee ancora allo stadio potenziale?
“Il prodotto migliore è sempre frutto di un lavoro di squadra. Devo dire, però, che molti pezzi erano già ‘finiti’, pianisticamente. Quando questo accade, vuol dire che la melodia è molto forte. ‘Duende’, per esempio, era già finito ed è stato ‘potenziato’ in studio. Abbiamo ricercato in mondi sonori diversi, un po’ per differenziare, un po’ perché lo richiedeva lo ‘spunto’ inziale”.

‘Illegacy’ ha un forte elemento cinematografico. Cinque tracce del disco sono state pubblicate in rete, corredate da altrettanti videoclip: è un progetto unitario pensato così fin dall’inizio?
“Nel Dna della mia musica c’è qualcosa che ha a che fare col mondo del cinema. Nel momento in cui ho scritto i brani e mi sono confrontata col mio manager, col produttore e gli arrangiatori, abbiamo subito visto delle immagini. L’intuizione è arrivata presto, quando abbiamo raccolto le dieci canzoni del disco. Abbiamo pensato, quindi, a un progetto ‘visual’ che supportasse la musica, che è l’altra metà del cinema. Un’immagine potente, con una meravigliosa fotografia, senza la musica ha sempre qualcosa di meno. E’ vero che anche il silenzio è molto ricco: io amo il silenzio, così come vedere solo delle immagini. Quando, però, entra la musica, qualcosa ti scuote, almeno per me, che sento tutto musicalmente. Stiamo portando avanti questo progetto ‘visual’ per dare un’unicità a ‘Illegacy’. L’album è un progetto di ‘pianismo contemporaneo pop’. Dunque, puntiamo sull’immagine perché vogliamo proiettare l’ascoltatore in un mondo tipicamente cinematografico. Abbiamo iniziato con dei ‘corti’ in bianco e nero che rimandassero a un’atmosfera un po’ francese. ‘Duende’, il primo video, è stato infatti girato a Parigi. In seguito, siamo passati ai video a colori per gli altri brani. Vogliamo che l’ascoltatore possa essere attraversato non solo da emozioni sonore, ma anche visive. E sembra che questo progetto stia funzionando. Andremmo verso il mercato natalizio con ‘Intimacy’ e, nel giro di qualche mese, tutti i video saranno in rete, arrivando alla chiusura di questa storia suddivisa in dieci episodi. E’ stata un’esperienza meravigliosa, un po’ faticosa, ma bella e potente, che può servire a dare unicità al disco”.

Col nuovo album, lei è approdata in Warner: come è nata questa collaborazione?
“Il mio produttore era in contatto con le major. E la Warner è stata la prima a mostrare un forte interesse, anche se devo dire che anche le altre sono rimaste molto colpite dal progetto. E’ nata, quindi, questa collaborazione molto interessante e potente, visto che la spinta in una direzione internazionale può avvenire se sei protetta e lanciata da una major. Speriamo che questa avventura possa proseguire e arrivino collaborazioni con altri artisti Warner, affinché questa musica possa avere un maggior respiro internazionale. Adesso, non c’è più il limite della lingua. Il nostro partner di edizione è la ‘I Wonder Pictures’: la società di distribuzione cinematografica che ha fondato il ‘Biografilm Festival’, dove mi sono esibita a giugno. Stiamo inoltre decidendo di tenere una serie di concerti negli Usa”.

I suoi video hanno un numero consistente di visualizzazioni: chi è il pubblico di Roberta Di Mario?
“Decisamente trasversale: lo vedo nel dialogo sui ‘social’. Il mio pubblico è anche costituito da tanti giovani. E questo un po’ mi sorprende, ma non perché il ‘pianismo’ contemporaneo non si avvicini alle nuove generazioni. Pensiamo, per esempio, ad Allevi, che certamente può piacere o meno, ma riuscire ad avvicinare le ‘sneackers’ al pianoforte, uno strumento musicale che ha sempre avuto un’estrazione classica, è stata un’idea vincente. Poi, sono seguiti tutti gli altri pianisti, più o meno famosi, forse anche più validi, ma che hanno scelto una strada sperimentale. Io sono rimasta sorpresa, perché fino a poco tempo fa avevo un pubblico di media età. La ricerca, nelle mie canzoni, aveva delle sonorità un poco raffinate: era ‘pop’, ma di ‘nicchia’. Mi accorgo adesso che il ‘pianismo pop’ arriva anche ai giovani, con la sua equazione tra qualità e ricerca. Penso di aver intrapreso la strada giusta, perché in maniera naturale e senza sforzo - nel senso che tutto è frutto di un mio processo naturale - riesco a creare una musica che arriva molto velocemente, con una melodia semplice e vincente. È una strada musicale che riesce a colpire un pubblico trasversale. Nel piccolo ‘tour’ che abbiamo fatto presso gli ‘store’ Feltrinelli c’erano tanti giovani, soprattutto a Milano e a Roma. Lo vedo poi nel dialogo sui social con i followers, i quali mi chiedono anche gli spartiti, mostrando di essere doppiamente interessati. Non sono ascoltatori passivi bensì attivi: vogliono fare musica”!

Un progetto come ‘Illegacy’, oltre alle sue qualità intrinseche, ha dunque il merito di aver riavvicinato i più giovani alla musica classica?
“Esatto. Si è creata questa bella opportunità. Ognuno ha il proprio pubblico, ma credo che avvicinare il pianoforte, prettamente classico, ai giovani sia stata un’intuizione molto valida. Il pianoforte è lo strumento più bello in assoluto. Non lo dico da pianista: io amo tantissimi strumenti, ma continuo a dire che il pianoforte resta davvero un’orchestra che non ha bisogno di nessun supporto. E’ una macchina meravigliosa, che ti porta verso destinazioni quasi sconosciute, ma quando ci arrivi, sei davvero in estasi”.

Vuoi condividere con i nostri lettori un particolare ricordo legato a un concerto che hai tenuto lungo la tua carriera?
“L’operning act di Toquinho è stata un’esperienza molto forte. Lui è un artista meraviglioso. Eravamo in questa piazza pazzesca, con duemilacinquecento persone. Fare l’apertura è un’esperienza di grande responsabilità, ma in quel caso ha avuto una doppia importanza. Quest’anno è stato molto gratificante, per me, suonare in apertura ai concerti di Roberto Vecchioni. Lui è davvero un professore di vita e di musica. E c’è stata una grande crescita. I teatri erano prestigiosi e il pubblico molto caldo nei miei riguardi. Sono state esperienze molto forti. Lui mi ha amata fin dall’inizio e ha detto che mi vuole assolutamente per tutte le aperture dei suoi concerti, quando possibile, perché riesco a creare un’atmosfera di magia e di pathos che porta il pubblico a essere preparato per il concerto che segue. L’apertura porta tanta responsabilità perché il pubblico è ancora ‘freddo’ e non è ancora dentro a un ‘mood’, a un’emozione. E’ palestra: in venti minuti devi coinvolgere lo spettatore”.

Progetti futuri?
“Dopo il piccolo tour nelle Feltrinelli, l’agenda si sta via via riempiendo e abbiamo tanti concerti in programma. Stanno accadendo belle cose e, nel 2018, saremo a New York. Spero anche di poter scrivere presto una colonna sonora”.

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Il video di ‘Duende’, diretto da Matteo Foresti


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