Un’anteprima di Pasquale Faraco e Marin De Battè che attualizza il teatro dell’assurdo, ponendolo in rapporto con una modernità che ha ormai varcato i confini della follia pura
Un teatro anarchico, sperimentale e d’avanguardia, che presenta la vita di un uomo perennemente connesso in rete, sfruttato per la sua capacità di fare calcoli e profetizzare movimenti di borsa, colpi di Stato, guerre e tracolli finanziari. Immerso nella sua realtà virtuale, il protagonista perde il senso con la realtà e rischia di deteriorare la sua amicizia con l’allievo Giulio, che cerca di richiamare l’amico alla realtà, senza molto successo. La chiave critica è molto interessante: siamo ormai oltre alla tematica ‘pasoliniana’ dei modelli imposti dalla televisione. Quel confine è stato ormai superato da tempo e il cervello umano risulta catturato dal mondo virtuale, che ne gestisce persino le ansie e le esigenze, senza più alcuna conceessione allo spirito, né ai valori dell’anima. La traccia di collegamento con la contestazione del ’68, cioè quella di una generazione che ha cercato di opporsi contro una massificazione che trasforma ogni cosa in guerra, appare evidente, benché immersa in una rappresentazine a tratti delirante. Ma il delirio è un dato oggettivo: è questo il nuovo codice del sistema di mercato, per controllare le menti e utilizzarle a proprio vantaggio. In fondo, è la medesima ‘chiave’ interpretativa di Peter Weir in ‘The Truman show’, in cui il protagonista, in questo caso, stenta ad assumere consapevolezza di come tutto ciò che vive attorno a lui sia una proiezione dettata da algoritmi esogeni alla stessa esistenza umana. Interessante.