Napoleone Bonaparte era solito affermare che “quattro giornali ostili sono da temere più di mille baionette”. Sarà per questo motivo che il mestiere del giornalista è così temuto e disprezzato: temuto, perché un vero giornalista non può accontentarsi mai delle verità ‘ufficiali’; disprezzato, poiché nel perseguire la verità spesso scopre fatti o aspetti tali da poter danneggiare seriamente la reputazione di un ente, di un personaggio politico o di intere istituzioni. Tuttavia, è anche opportuno non alimentare una visione apologetica di questa professione, poiché in essa è comunque necessario operare una distinzione - a mio parere sacrosanta - tra un giornalismo ‘buono’ e uno ‘cattivo’. Ambedue tali generi non si pongono limiti. Ed entrambi possono parlare qualsiasi linguaggio: per ogni giornalista che indaga onestamente, ne esiste un altro che contesta l’ipocrisia delle notizie messe in circolazione; per ogni redattore che riporta fedelmente le menzogne di un Governo, ne esiste un altro che rischia la morte per raccontare la verità; per ogni giornale che tende a deformare la realtà dei fatti, ve n’è sempre un altro che cerca di penetrare tra le ‘maglie’ delle fonti ufficiali. Dunque, è sbagliato distinguere tra un giornalismo di destra e uno di sinistra, uno progressista e uno reazionario, uno governativo e uno antisistema: esistono soltanto un giornalismo ‘buono’ e uno ‘cattivo’.