Le contestazioni del Vaticano per il cosiddetto ‘Nobel fuori luogo’ allo scienziato Robert Edwards, il padre della procreazione in vitro, dimostrano solamente come le gerarchie ecclesiastiche soffrano di una grave sindrome di dissociazione rispetto al mondo contemporaneo. Siamo cioè di fronte alla controprova dell’esistenza di una Chiesa-istituzione che ancora oggi strumentalizza, a fini di potere e di controllo delle masse, la rassegnazione evangelica – positiva, in origine, poiché aveva sconfitto l’impero romano - per mantenere l’uomo prigioniero del dogmatismo teorico. C’è stato un momento, nella Storia della Chiesa, in cui essa poteva rigenerarsi, quando Papa Giovanni XXIII tentò di portare una ventata di novità ponendo le basi per un dialogo fra laici e credenti, tra scienza e fede. Ma tutto ciò è stato vanificato da un ritorno irrazionale verso una cultura assolutista e autoritaria. Se, sul piano teorico, si è rigidi e si hanno regole fisse da seguire, nella pratica ci si concede ogni arbitrio e cinismo. Diversamente, se si professa una fede umile e persino un po’ dubbiosa, si può permettere all’umanità di mantenere viva una dottrina autentica, in avversione a ogni tatticismo. La vera fede non è un’ideologia fissa, bensì un qualcosa di ‘duttile’, capace di tener conto dei progressi della scienza, la quale ha saputo demolire, nel corso del ‘900, quell’ateismo derivante da una visione materialistica del positivismo ottocentesco. La scienza certamente non può dire se Dio esiste o no, ma la religione, a sua volta, deve comprendere in quale modo può rappresentare una forza liberatrice dell’umanità e non una fede per immaturi. Perché ogni religione ‘formale’ non solo non è necessaria a migliorare il mondo, ma addirittura lo peggiora.