Qualcuno forse si stupirà per il fatto che oggi sia scattato una sorta di ‘allarme-fuga’ dal Pdl. Si parla di ‘malpancismo’ e di tentativi di ricucitura da effettuarsi attraverso il riconoscimento definitivo della nuova ‘gamba’ formatasi all’interno del centrodestra italiano, ma il dibattito che più autenticamente sottende simili convulsioni è l’errore, commesso da Berlusconi e dai suoi, di favorire eccessivamente la demagogia tribunizia della Lega Nord sin quasi a provocare un vero e proprio appiattimento del Popolo delle Libertà sul provincialismo campanilistico del ‘carroccio’. Per molti post fascisti, cultori e cantori dei valori della nazione e dell’estetica dello Stato forte, la ‘corda’ stava cominciando a spezzarsi: lo avrebbe capito persino un bambino… Anche perché, a pochi mesi dalle celebrazioni del 150esimo anniversario dell’unità d’Italia, nel merito di un processo di definitivo ‘superamento’ del fascismo italiano, di esso potrebbero persino essere riconsiderate alcune sue peculiarità: a) la conformazione che il fascismo ha fornito allo Stato italiano, in particolar modo nelle sue strutture prettamente capitalistico-sociali, ovvero nei suoi enti economici e assistenziali, discendenti da un ben congegnato ‘corporativismo giuridico’, qualità che rende il ‘ventennio ruggente’ non perfettamente allineabile ai sistemi totalitari di matrice marxista o nazionalsocialista; b) il tentativo di ristrutturazione di una coscienza collettiva nazionale che, tuttavia, non corrispose esattamente, nelle finalità, alle attese (anche se tale esperimento rimane pur degno di un certo rispetto intellettuale). Costruire un’Italia di popolo, ‘socialista’, in un certo senso, non era un progetto semplice rispetto alla conformazione storica di un Paese per lungo tempo guidato da oligarchie minoritarie - soprattutto nella sua primissima fase ‘post unitaria’ – storicamente dominato da potenze straniere o frazionato in una miriade di realtà campanilistiche assai composite e multiformi. Per non parlare della questione di un equilibrato giudizio storico da fornire al processo stesso del Risorgimento italiano: una conquista lenta, assai dolorosa, coordinata da elites ‘borghesi’ sulla base di giochi diplomatici internazionali e casualità politiche, ma anche di grandi sacrifici umani pagati direttamente dalle masse popolari. Insomma, senza il ‘retroterra’ di un’autentica ‘rivoluzione nazionale’ in grado di abbattere una serie di consuetudini feudali e di mentalità, per il fascismo fu praticamente impossibile riuscire a creare una coscienza di Stato realmente solida, capace di porre seriamente in discussione le millenarie logiche ‘dissimulatorie’ che hanno sempre costituito il nostro tessuto culturale più profondo. Dunque, in mancanza di ciò, il fascismo non potè far altro che divenire, nella sostanza, un fenomeno autoritario, ‘piccolo borghese’, burocratizzato, imposto quasi esclusivamente dall’alto, né più e né meno come tanti altri fenomeni economici, politici, filosofici o religiosi che hanno attraversato la nostra controversa Storia nazionale. Tutta una serie di errori fecero il resto: a) un equilibrio di potere imperniato su una eccessiva acquiescenza, se non condiscendenza, verso gli interessi della classe imprenditoriale e del grande capitale; b) una deroga assoluta nei confronti di ogni tema concernente le libertà pubbliche in favore di un ordine sostanzialmente ‘immobilista’ del Paese; c) una politica estera poco differenziata rispetto alle logiche instauratesi nella struttura di potere interno alla nazione, come se le altre potenze internazionali, imperialiste, colonialiste e ‘demoplutocratiche’ fossero non molto dissimili, in termini socioeconomici, rispetto all’Italia e alla sua realtà di ‘grande proletaria’; d) un Concordato opinabile e forse dannoso con la Santa Sede, che commistionò incredibilmente uno Stato già prigioniero di troppi vincoli di carattere economico, sociale e burocratico, con una struttura ecclesiastica vetusta, ieratica, chiusa in se stessa. Insomma: un ingannevole ‘minestrone clerico-statalista’, reso ancor più ‘indigeribile’ da una stravagante ‘diarchia coabitativa’ con la monarchia sabauda assai distante dai reali interessi del popolo italiano. Tutto questo ha caratterizzato negativamente il fascismo: un sistema di potere che avrebbe potuto servirsi strumentalmente delle ‘teste’ migliori per autorinnovarsi, ma che non fu in grado di farlo. Tali considerazioni non comportano né facili condanne né, tantomeno, qualche ‘rimpianto’: comunque la si voglia ‘rigirare’, il fascismo fu una dittatura, una ‘strana’ dittatura, ma pur sempre un sistema politico a forte carattere autoritario, che non possedeva assolutamente le basi per poter sopravvivere a se stesso, che impose la ‘fascistizzazione’ delle università italiane, che costrinse le migliori ‘menti’ intellettuali del Paese a giurare la propria fedeltà al regime, che non seppe esercitare, né sviluppare, una capacità valutativa di ‘meritocrazia reale’ delle carriere ai livelli più alti delle forze armate, che estromise dall’insegnamento tutta la docenza di origine israelitica o di religione ebraica. Infine, cosa non meno grave, il fascismo si configurò per la totale assenza di una propria ‘colonna vertebrale’ culturale per riuscire a prevedere come mutare se stesso rispetto al proprio carattere opportunistico e nelle sue basi demagogiche, tutte caratteristiche che portarono Giovanni Gentile in persona a definirlo: “Un sistema basato su semplici atteggiamenti, un puro formalismo, un’etichetta salutata la quale può essere consentita la realizzazione di qualsiasi tipo di contenuto, persino di matrice rivoluzionaria”.