Le recenti dichiarazioni di Angelino Alfano sulle ‘unioni civili’ sono state a dir poco raccapriccianti. Esse hanno pienamente dimostrato come l’attuale classe politica sia indegna del proprio ruolo, come sia composta da personaggi impreparati e inqualificabili, come non esista più alcuna vera selezione nel decidere chi, nel nostro Paese, sia effettivamente degno di intraprendere un ‘cursus honorum’ che, per lo meno, non arrechi danni civici alla collettività. Un tempo, era proprio la sinistra italiana a vivere fuori dal mondo, in quanto perennemente aggrappata a una ‘zattera ideologica’ che la manteneva in una sorta di ‘Repubblica immaginaria’. Oggi, invece, abbiamo tra le ‘scatole’ un’intera classe politica populista, qualunquista, discriminatoria, minorata. Un antico assunto di Adolf Hitler diceva: “Più è grande una bugia, più la gente la crederà”. Ma con i nostri attuali politici non siamo più nel campo della menzogna finalizzata al raggiungimento di uno scopo, bensì in quello dell’ignoranza atavica, fuori da ogni tempo e da ogni contesto giuridico. A prescindere dal fatto che si continua a sostenere che la Costituzione indicherebbe come famiglia ‘naturale’ quella composta da un uomo e una donna - un dato assolutamente falso, poiché la nostra fonte ‘superprimaria’ si esprime con il termine ‘coniugi’, senza minimamente legare la questione a specifici ‘generi’ sessuali - si dovrebbe ricordare a tutto il ‘circo Barnum’ che l’Italia è il solo Paese che ha raggiunto la propria indipendenza nazionale ‘contro’ la Chiesa cattolica. Ciò è comprovato da tutte le nostre principali vicende storiche: dal Risorgimento, culminato con la presa di Roma e la ‘breccia’ Porta Pia, all’emanazione di leggi statali di controllo sull’organizzazione e il governo ecclesiastico come, per esempio, la legge Siccardi, fino alle ‘Guarentigie’, ovvero quelle norme che regolamentavano i rapporti tra l’autorità politica e civile con la Chiesa prevedendo, tra l’altro, l’utilizzo degli istituti del ‘placet’ - il diritto di approvazione delle nomine dei vescovi - e dell’exequatur, con cui lo Stato si assicurava la facoltà di controllo degli atti di amministrazione e di cessione dei beni ecclesiastici. Tali legislazioni erano di iniziativa statale e ignoravano ogni forma di negoziato con la Chiesa. Anzi, il contrasto tra le due parti in causa divenne così netto e conflittuale da originare l’ordine del ‘non expedit’, cioè il divieto di partecipazione alle elezioni politiche per i cattolici salvo poi consentire quella alle consultazioni amministrative, poiché l’ente locale, il comune, deteneva poteri di decisione sulla gestione religiosa. Si ebbero così delle municipalità con diversi tipi di atteggiamento nei confronti del mondo cattolico: Roma, per esempio, ha avuto spesso amministrazioni ‘clericali’ in cui è stata favorita l’istruzione cattolica. Gradualmente, il conflitto si stemperò, riavvicinando le parti. Dopo il massacro di Dogali, nel 1887, che vide la concorde celebrazione di vescovi e prefetti in nome dell’unica nazione italiana, nel 1908 il deputato socialista Leonida Bissolati chiese l’abolizione dell’insegnamento religioso da tutte le scuole elementari, ma la sua mozione venne respinta a stragrande maggioranza: quello fu il primo atto in cui lo Stato laico diede i primi segni di abdicazione alla proprio funzione primaria. Nel 1911, infatti, tramite una norma civile si stabilì il principio dell’istruzione religiosa cattolica in tutte le scuole. E la successiva riforma Gentile, del 1923, la introdusse anche nei licei e nelle scuole superiori, lasciando esclusi solo gli atenei e le università dove erano state abolite le facoltà di teologia. Durante la prima guerra mondiale, il Regno d’Italia chiese ufficialmente l’aiuto della Chiesa al fine di sopperire alle proprie incapacità nell’assicurare assistenza ai soldati sul fronte, realizzando di fatto una nuova forma di ‘supplenza’, che vide la reintroduzione della figura del ‘cappellano’ nell’ordinamento militare. I cappellani assicurarono il conforto e l’assistenza ai soldati organizzando, in alternativa alle ‘case chiuse’ delle località a ridosso del fronte, le cosiddette ‘case del soldato’, le quali offrirono un’occasione di svago ‘controllato’. Nel 1919, durante il congresso di pace a Versailles, vennero intavolate le prime trattative per una riconciliazione che, tuttavia, non raggiunsero un risultato immediato per l’opposizione dei Savoia, storicamente massoni. Ma nel 1929, dopo serrate trattative tra Mussolini e il cardinal Gasparri, si giunse al Concordato tra Italia e Città del Vaticano, un trattato che segnò un’autentica ‘cessione di sovranità’ tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica (la formula è stata recentemente tirata in ballo un po’ pretestuosamente al fine di mettere in discussione il già faticoso processo di unificazione europea). Da quell’accordo, la Chiesa ottenne due privilegi fondamentali: la legalizzazione del matrimonio religioso senza necessità di trascrizione e l’affidamento dell’educazione della gioventù, ovvero della causa principale per cui oggi ci ritroviamo ‘gente’ come Angelino Alfano, Maurizio Gasparri, Rosy Bindi e Mara Carfagna in parlamento: un danno antropologico e culturale a dir poco clamoroso. In ogni caso, grazie al Concordato del 1929 la Chiesa riprese con forza tutte le sue forme di condizionamento psicologico e culturale (nel cinema, nelle scienze, nella letteratura e persino nell’informazione) assassinando il vecchio Stato liberale, sostituito da un vero e proprio regime clerico-fascista vigente tutt’oggi. Passando attraverso il ventennio fascista e le leggi razziali, in cui possiamo altresì ravvisare, nell’operato della Chiesa, poche ‘luci’ e molte ‘ombre’, si giunse all’affermazione della Democrazia cristiana, ovvero all’avvento di un’ammorbante presenza cattolica in ogni attività, persino in quelle ricreative. Nell’immediato dopoguerra, in sede di assemblea costituente il Partito comunista italiano, malauguratamente e con autentica miopìa politica, votò a favore degli articoli 5 e 7 della Costituzione, una scelta giustificata da Palmiro Togliatti dall’esigenza di mantenimento della ‘pax religiosa’, un pretesto, in verità, per ratificare una ‘tregua consociativa’ concordata ‘sottobanco’ con i democristiani. Solo nei primi anni ’80 del secolo scorso, grazie al Governo Craxi, si ricominciò a parlare di laicità, la quale, però, non era ancora frutto di una precisa accezione culturale, bensì la semplice conseguenza di una civiltà dei consumi che aveva dato luogo a una sorta di ‘ateismo pratico’. In sostanza, nella realtà sociale italiana si ignorano ormai completamente i principi della religione cattolica, anche se non si è ancora in presenza di una vera e propria contestazione della loro ‘essenza’ o influenza ‘subliminale’. La revisione del Concordato del 1984 ha ridimensionato, in parte, la presenza del cattolicesimo nello Stato italiano, ma di fatto ha introdotto forme di ‘finanziamento’ della Chiesa - come per esempio l’8 per mille - che hanno offerto lo spunto per pretese ancor più pressanti in ambito economico, come per esempio il riconoscimento o il sostegno stesso delle scuole cattoliche private a danno di quelle pubbliche, le quali versano in uno stato a dir poco comatoso. La Chiesa cattolica, insomma, dal 1870 a oggi, a parte qualche incidente di percorso - come per esempio l’introduzione del divorzio e dell’aborto nel nostro ordinamento giuridico - ha più che rafforzato la propria influenza all’interno della società. Ciò risulta ampiamente dalle recenti prese di posizione non soltanto della Conferenza episcopale o dell’attuale Pontefice, bensì dalle stravaganti dichiarazioni di numerosi esponenti politici, del centrodestra come del centrosinistra: coloro che sono andati a ingrossare il ‘plotone’ dei cosiddetti ‘basabanchi’. La sostanza politica di questi ridicoli personaggi è l’affermazione, violenta ed edonistica, di princìpi solo formalmente ‘ammantati’ di oggettività. In realtà, si tratta di un nuovo moralismo ‘distorto’, teso a strumentalizzare opportunisticamente e per pura comodità lo spirito evangelico, il quale, a causa di ciò, diviene un mero testo sacerdotale ‘faraonico’, un astratto compendio di misticismi autoritari. Questi esponenti, nel loro modo di pensare, di agire e persino di esprimersi, utilizzano una sorta di ‘codice mistico’ di ordine dissociativo, un’astrazione talmente subliminale da permettere loro di volgere il proprio sguardo e la propria coscienza verso altre questioni e direzioni. Si tratta di un codice che, per quanto astratto, comporta gravi doppiezze e contraddizioni nella sociologia quotidiana, traducendo in senso assolutamente univoco concetti tanto irriducibili, quanto poco osservati e rispettati sul piano concreto. La ‘piattezza logica’ che ne consegue è degna del più spaventoso grigiore confessionale, tetramente privo di ogni sentimento di umanità, soprattutto quando questi esponenti configurano in favore di loro stessi e dei propri comportamenti le deroghe più ampie e le eccezioni più giustificate. In ogni caso, considerati solamente per le loro debolezze, uomini e donne, omo o eterossessuali che siano, non possiedono alcun genere di responsabilità individuale, mentre il disperato desiderio di ottenere dalla vita quel poco che si può attraverso formulazioni, calcoli o riserve mentali non è neanche materia di meditazione. I pochi accenti di esponenti come Carlo Giovanardi o Rocco Buttiglione sono quelli dell’indignazione di carattere ideologico, hanno cioè come ‘bersaglio’ la cultura laica e liberale e, naturalmente, quella socialista. Anche contro il fascismo vengono generalmente pronunciate parole di condanna, ma si tratta, in questo caso, di sentenze ‘oggettive’, che vengono indifferentemente pronunciate contro tutte le debolezze umane e le diverse forme di peccato. Fascismo, laicismo, socialismo e debolezze umane, per questo genere di ‘gentaglia’ che ha riempito indegnamente il nostro parlamento di catto-comunisti e clerico-fasciti solo apparentemente contrapposti tra loro, appartengono tutti a una visione della realtà fondata intorno a ‘poteri istituiti’, i soli che i cattolici ‘integristi’ riconoscono veramente. Nei confronti degli omosessuali, in particolar modo, si continua a tenere in piedi quell’atroce sentimento di condanna con cui generalmente si ‘bollano’, si emarginano e si linciano dei ‘pervertiti’, consegnandoli al pubblico ludibrio del qualunquismo più becero e volgare. Non si approfondisce se alcuni di loro non abbiano studiato in un collegio di preti subendo forzate forme di repressione sessuale. E non ci si chiede se, per caso, i loro tentativi in favore di una vita ‘alla luce del sole’ non rappresentino nient’altro che una ricerca annaspante verso una nuova condizione di normalità sociale. L’unica cosa che interessa veramente è il puro e semplice dato di indegnità, una maledizione che pone l’omosessualità stessa al di fuori di quella realtà in cui debolezze umane e peccati troverebbero - e trovano comunque - la possibilità di esistere. Ma ciò che colpisce più di tutto è la degenerazione di ogni più sano principio di carità: fede e speranza, infatti, possono ottenere spazio in quanto fonti di regole benché poi, nel rapporto stesso tra fede e speranza, questi politici ‘quaquaraquà’ non riescano mai a entrare nel vero merito spirituale delle questioni, poiché il piano pratico su cui essi generalmente operano consente loro moltissime giustificazioni. Ma proprio sul terreno empirico, certi esponenti non dovrebbero comunque ignorare il principio di carità, ovvero il più ‘alto’ dei sentimenti evangelici, l’unico concettualmente autonomo - si può dare carità anche senza fede e speranza, mentre fede e speranza senza carità possono rivelarsi un qualcosa di mostruoso – che non può essere degradato a gretta misura pragmatica di una doppiezza qualunquista, di un cinismo puramente ‘menefreghista’ che ha già da tempo distrutto ogni sana concezione di collettività, di squadra, di azienda, di Partito, di comunità, insomma di ogni forma di etica civile, sociale o nazionale che sia. La carità cattolica non serve a nient’altro che a colpevolizzare uomini e le donne nella loro più squallida nudità di peccatori, senza reale perdono, né comprensione. Ma un simile pessimismo verso l’umanità è troppo totale per non arrivare all’abolizione morale del perdono e della comprensione, gettando una luce plumbea sull’intera nostra società. “La politica”, disse una volta Rino Formica, “è sangue e merda”. Niente paura, caro Rino: ormai c’è rimasta solamente la seconda.