Vergognarsi dei propri modelli culturali più autentici come quello socialista, quello liberale e quello cattolico-democratico, ha condotto al disprezzo nei confronti delle culture politiche prese nel loro complesso. E si è finito col ridurre la politica stessa a mero fideismo verso la prima ‘faccia differente’ in circolazione. Il miracolo aziendalista si è definitivamente compiuto: i piccolo borghesi, adeguatisi a un modello mediatico spacciato come panacea di tutti i mali, sono quasi tutti infelici, mentre la borghesia ‘media’ italiana si ritrova addirittura ‘proletarizzata’. Ciò è avvenuto in quanto la cultura prodotta in questi ultimi decenni, essendo di carattere eminentemente tecnologico, dunque strettamente pragmatica, ha impedito a tutti di svilupparsi appieno sotto un profilo umanistico: per dirla con Pasolini, siamo giunti al “rattrappimento delle nostre facoltà intellettuali e morali”. Le responsabilità della cultura aziendalista, in tutto questo, sono gigantesche, poiché è proprio il nostro tipo di capitalismo a costringerci tutti all’arretratezza, intento com’è a combattere la propria personale battaglia difensiva contro quel capitalismo ‘altro’ che, invece, sarebbe in grado di portare anche l’Italia verso modelli produttivi più vicini alla concorrenza imperfetta, affrancandola, finalmente, dall’attuale soffocante oligopolismo differenziato.