Non si comprende a quale titolo certi personaggi si esprimano, secondo un uso ormai consolidato di profondersi in osservazioni non richieste su argomenti del tutto estranei ai propri ambiti di competenza
Fanno riflettere le parole dell’ex generale, Roberto Vannacci, sull’opportunità di collocare gli studenti affetti da disabilità in classi distinte da quelle frequentate dagli altri allievi “normodotati”. Due princìpi costituzionali violati in una 'botta' sola, giustificata dall’intenzione di valorizzare le potenzialità dei ragazzi, tanto quelli disabili, quanto quelli 'sani', che tuttavia tradiscono un palese intento di propaganda e un’assoluta mancanza di attitudine all’analisi pedagogica. Ed è questo il punto: siamo ormai di fronte a un uso, ormai consolidato, di profondersi in osservazioni non richieste, su argomenti del tutto estranei ai propri ambiti di competenza. Come al solito, tematiche assai complesse e delicate non vengono affrontate orientando la disamina nel modo più corretto, ma dall’alto verso il basso. Ma perché, vivaddio? Cosa significa tutto ciò? Semplicemente, che il convitato di pietra del dibattito che ne è poi scaturito ha posto in evidenza proprio chi stava dimostrando la più totale mancanza di adeguate competenze sul tema. Una sorta di 'trasgressione' che degenera sempre più verso il gusto dell’orrido. Troppo spesso nelle scuole, oggi come in passato, i ragazzi affetti da disabilità non vengono compresi nella loro problematica. Ma invece di esortare alla solidarietà, si preferisce 'mescolare le carte' con la vita di caserma e la gerarchia militare, credendo di risolvere sbrigativamente ogni questione, istigando altresì i cosiddetti 'sani' a voltare il proprio sguardo da un’altra parte. Si pensi, per esempio, ai disturbi dell’apprendimento o ai casi di dislessia o disgrafia: coloro che ne soffrono vengono frequentemente classificati come ‘svogliati’ o troppo vivaci dagli insegnanti. E finiscono con l’essere marginalizzati rispetto agli altri compagni di classe. Oppure accade, talvolta, che alcuni istituti scolastici, soprattutto quelli paritari, pur di 'fatturare', li accolgano senza predisporre insegnanti di sostegno o strutture adeguate di supporto, equiparando le loro prestazioni scolastiche a quelle degli altri allievi. In tutti questi casi si determina, ovviamente, un aggravamento della questione, impedendo a coloro che ne soffrono (alle rispettive famiglie, ndr) possano ricorrere a strumenti utili a farvi fronte.
Rimarchevole, a tal proposito, un’intervista rilasciata, qualche tempo fa, da una suora impegnata quotidianamente, in Sicilia, nell’accoglienza degli immigrati. La consacrata aveva ben cinque lauree e ad essa si deve senz’altro il merito di aver affermato una fondamentale verità: per aiutare con successo il prossimo non bastano le buone intenzioni, ma servono adeguate competenze, spesso assenti in una società divenuta irrispettosa nei riguardi della professionalità altrui. Parafrasando le parole di un celebre giurista e docente universitario: “Chi sa, socraticamente sa anche di non sapere mai abbastanza e quindi studia, mentre chi non sa, non sa nemmeno di non sapere e, quindi, non studia, né ha voglia di studiare, eppure spesso insegna...”.