Un artista senza mezze misure: o lo si ama, o lo si odia, come succede per le sue opere, rappresentative di un mondo Lgbt variegato e in continua evoluzione, dileggiato e offeso attraverso aggressioni fisiche e verbali con l'avallo dalle tendenze conservatrici e ‘sovraniste’ del nostro Paese
Ha sfilato in abito da sposa e velo bianco, col volto coperto da una maschera in pizzo, per testimoniare il suo impegno nel contrasto alla violenza di genere, travolgendo gli spettatori dell'evento con la sua verve; dipinge sui muri di Roma baci appassionati tra uomini, per comunicare l'universalità e la trasversalità dell'amore; ha dipinto il portico della villa che ospita un centro antiviolenza, dando vita al ‘Baby Superhero’, quasi una sentinella a guardia delle donne che si rifugiano lì; dal giugno 2015 è stato inserito nel ‘Museum of History of Queer Street Art’ di San Francisco. Insomma, Aloha Streetart provoca e scuote le coscienze grazie alla sua arte. E' gelosissimo della sua privacy e solo in pochi conoscono il suo volto, perché “la cosa importante non è sapere chi sono, bensì trarre spunti dall'arte che pratico”. Nel giugno dell’anno scorso, durante il ‘Gay Pride’ di Roma, la ‘Juno Birch’ dipinta da Aloha ha sfilato su un carro della manifestazione. E non è raro trovare i suoi adesivi – che ritraggono un uomo visto di schiena, con un gilet addosso e niente altro – sui muri della capitale. Aloha non è un tipo da mezze misure: o lo si ama, o lo si odia. Così come succede per le sue opere, rappresentative di un mondo Lgbt variegato e in continua evoluzione, che da qualche tempo viene dileggiato e offeso, attraverso aggressioni fisiche e verbali, con l'avallo dalle tendenze conservatrici e ‘sovraniste’ del nostro Paese.
Aloha Streetart, cosa si nasconde dietro la maschera?
“Dietro a merletti, piume, colori e lycra lucida c’è un artista e un uomo che fa uno studio sensibile e continuo dei modi, dei look, dei gesti schietti e voluminosi di chi lo circonda, delle emozioni che percepisce”.
Aloha e il mondo omosessuale, come soggetto preferito della tua arte: un murale può parlare più di tanti discorsi contro l'omofobia?
“Un murale ha linguaggi molteplici: la pittura, la pennellata, la scelta di quella e non dell’altra linea; lo spettatore, quando passa accanto a un'opera, rimane colpito da qualcosa che forse neanche ha interesse a vedere, ma che gli parla al di là della sua volontà e di quella dell'autore. Dipingo il mio mondo e le cose che ritengo più belle. E se questa mia operazione puó servire al mondo queer e gay affinché venga considerato di più e meglio dall’immaginario comune, allora ne sono felice. L’omosessualità esiste da quando esiste l’uomo ed è sempre andata più o meno bene, finché non se ne è iniziato a parlare senza tabù. E voglio parlarne, perché vorrei che fosse una cosa normale, come si fa per altri argomenti. Spesso ho dovuto lottare, perché secondo il pensiero comune, le cose che a me piacevano tanto, come per esempio le Barbie, gli strumenti musicali, la danza e l’arte, erano considerati prettamente femminili. La mia famiglia mi ha supportato in queste mie scelte. Tuttavia, leggo spesso di ragazzini depressi o, ancora peggio, suicidi, in quanto condizionati dal pensiero comune, che li fa sentire sbagliati. A mio avviso, non esistono persone sbagliate e nessuno è in errore: il problema è e resta di chi continua a sottolineare quanto certe idee siano sbagliate; di chi inculca stereotipi e poi costringe gli uomini e le donne a seguirli. Forse, guardando un mio lavoro, si può iniziare a riflettere su tutto questo”.
Aloha a New York: un grande successo. Quali sono le difficoltà di uno street artist in Italia? E come potrebbero la politica e le istituzioni, favorire questa forma d'arte?
“Nell’anno del 50esimo Gay Pride di Stonewall, a Brooklyn, in New York, proprio nel giorno della ricorrenza del Pride, è successa una cosa bellissima: controllando i tag ricevuti su Instagram, ho scoperto che gli organizzatori mi hanno omaggiato in un modo straordinario! Infatti, hanno stampato più copie di una foto di un mio lavoro e le hanno attaccate per le strade americane. Quel giorno ho pianto. È stata una grande sorpresa, una conferma enorme del valore del mio lavoro e uno slancio in avanti a fare ancora di più. Io ho studiato arte in Italia e ho guardato i monumenti, i fregi, le pitture, i marmi e i riccioli di tutta la storia dell’arte italiana, trovando continui stimoli e misurandomi con i giganti esistiti e quelli esistenti. Le istituzioni e la politica hanno il grande onore di poter conservare e rendere fruibile questo patrimonio. Per questo motivo, devono rendersi sensibili alla cultura, anche quella che viene dal basso, quella della strada, tutelando gli spazi sociali che, in Italia, creano cultura, pubblicazioni, festival, concerti ed eventi di carattere internazionale, spesso senza scopo di lucro. Nonostante la Costituzione italiana ne permetta l’esistenza, negli ultimi tempi molti di questi centri sono stati smantellati e sfollati. Come accaduto, per esempio, a Roma e a Bologna per meri scopi economici, a quanto pare, in modo da riqualificare le aree e favorire l'apertura di imprese commerciali. Le istituzioni devono dare maggiore spazio alla cultura, alla rinascita sociale e culturale, con finanziamenti ad hoc. Forse, uno ‘streetartist’ si muoverebbe meglio in un sistema più libero e meno proibizionista, così come farebbe qualsiasi altro uomo o donna di cultura”.
Aloha e la violenza contro le donne: una tua opera - un bambino vestito da supereroe - decora il muro della sede del centro antiviolenza ‘Marie Anne Erize’. Cosa pensi delle leggi attuali contro il femminicidio?
“Non sono un esperto di legge e non vorrei dare un’opinione approssimativa su una ‘scuola’, giuridica e legale, tra le più antiche del mondo, come quella italiana. Posso, però, dare il mio contributo parlando di quanto ancora l’opinione comune abbia bisogno di essere educata. Il ‘femminicidio’ è l’uccisione di una donna proprio a causa del suo genere, non una vendetta o un’azione di apparente giustizia. E' quello che accade quando un uomo, che si considera padrone, si accorge che ciò che considera una sua proprietà non risponde più ai suoi comandi. Quest’idea ‘patriarcale’ del matrimonio, che incasella l’uomo e la donna in copioni già scritti, che li costringe a recitare uno spettacolo già provato e già andato in scena, nega anche solo il pensare alla libertà dell'altro come diritto fondamentale, innescando azioni violente. Dunque, mi chiedo spesso: chi ha educato quell’uomo trasformatosi in un assassino? Le nuove generazioni devono essere educate al rispetto reciproco, superando ogni stereotipo di genere, libere di poter creare in armonia e far rinascere, finalmente, il mondo: sono questi i loro ‘superpoteri’. E noi dobbiamo creare i presupposti perché ciò avvenga. E il ‘Baby Superhero’ dipinto nel porticato del centro antiviolenza ne è la rappresentazione”.
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