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26 Aprile 2024

Le creazioni di Salvatore Cusimano

di Carla De Leo
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Le creazioni di Salvatore Cusimano

Ogni donna, almeno una volta nella vita, ha sognato di indossare un vestito da pricipessa invitata al gran ballo reale. Un abito leggero e fluttuante, tanto suggestivo da rendere indimenticabile l'evento. Un sogno che questo artista palermitano ha deciso di realizzare in un modo inconsueto. Sì, perché i modelli che vi mostriamo in queste foto sono delle bellissime opere realizzate lavorando abilmente la carta. Li abbiamo scoperti 'scorrazzando' su internet e abbiamo deciso di scoprire la storia del giovane artista che li ha realizzati. Salvatore Cusimano, palermitano trentatreenne, si dedica, da circa tre anni, alla creazione di abiti realizzati interamente con la carta. Quando, un po’ per gioco, poggiò per la prima volta le mani su un manichino, non aveva idea di cosa stesse per fare esattamente. Non credeva che le sue dita avrebbero saputo intrecciare e plasmare il ‘tessuto’ così abilmente e non immaginava che quell’incontro con la carta avrebbe dato vita a delle creazioni incredibilmente affascinanti, eleganti e suggestive. I suoi abiti, esposti nell’atelier ‘Le gatte’ di Taormina, sono infatti il frutto della fusione e sovrapposizione di sensazioni, immagini, storie e ricordi. Opere d’arte che possiedono un’anima e perseguono uno scopo: trasmettere un sorriso e un attimo di serenità in chi le osserva. In questa breve intervista, abbiamo cercato di svelare i ‘retroscena’ umani e professionali alla base della sua attività artistica.    


Salvatore, che significa per te fare arte?
“Fare arte è attaccamento alla terra e alla vita. Quando ‘creo’ sento di mettere radici: è come prendersi cura di una pianta, che dovrà crescere sana e forte e dovrà dare buoni frutti. Fare arte soddisfa il mio bisogno di dare amore e riceverlo dagli altri e di avere l’approvazione della gente. Ogni volta che espongo un abito, lo carico della mia energia. Se piace, se emoziona, se porta un attimo di serenità e se fa sorgere un sorriso, vengo ripagato allo stesso modo. Perché mi emoziona emozionare. Ed è per questo che non mi metto mai al lavoro nei giorni in cui mi sento malinconico o triste: sentimenti che renderebbero vano il mio bisogno di ‘costruire’ e aiutare gli altri. Questo, per me, è fare arte e, in un certo senso, l’ho sempre sperimentata. Dovevo solo farla riaffiorare”.

Parli di arte che riaffiora: puoi spiegarci meglio questa affermazione?
“Uso il verbo ‘riaffiorare’ perché una certa estrosità e curiosità nello sperimentare forme d’arte e di spettacolo le ho avute sin da piccolo. Primi tentativi ‘artistici’ determinati probabilmente dal fatto che, nel quotidiano della mia infanzia, predominasse la presenza e la sensibilità femminile - mia madre, le mie zie, le mie cugine -, anche perché mio padre non era molto presente. Così, per strappare un sorriso a mia madre nei momenti in cui la vedevo turbata, iniziavo a fare il buffone e, fingendomi attore, interpretavo per lei ruoli ogni volta diversi. Inoltre, ho sempre sentito la necessità di creare. Adoravo vestire le bambole con i giornali della resa che, a fine giornata, mio nonno mi regalava. E che fosse ‘Il giornale di Sicilia’ o un libricino di fumetti, realizzavo impermeabili, gonne, vestiti e accessori di ogni tipo. Insomma dentro di me sentivo già una vena artistica o, comunque la si voglia chiamare, un’inclinazione che mi differenziava dagli altri bambini”.

E quando hai capito che poteva diventare una professione?
“In realtà lo devo ancora capire, anche perché il mio lavoro è in costante divenire. E ogni volta che realizzo un nuovo abito sento anche di aver fatto una nuova scoperta. Tutto è cominciato un po’ per gioco, come diversivo dell’anima. Il primo abito che ho realizzato, ad esempio, circa tre anni fa, è nato dall’impulso di portare un po’ di luce in una fredda e buia giornata invernale, che infondeva un’aria triste e cupa sulle persone che vedevo passare davanti al negozio. Così, senza sapere bene cosa stessi per fare, ho preso la carta da un giornale e ho iniziato a vestire un manichino. Il risultato fu un abito molto colorato, vivace e luminoso. Lo esposi subito in vetrina: pensai ad una sorta di missione, una terapia del ‘buon umore’ per chi si fosse fermato ad osservarlo. Speravo di regalare un sorriso a quegli sguardi spenti. Tutt’oggi continuo a considerare i miei lavori come ‘impulso’ al servizio degli altri, piuttosto che una professione”.

Seguire l’impulso significa anche che i tuoi abiti non vengono realizzati dallo sviluppo di un abbozzo?
“Assolutamente no. Quando poso le mani su un manichino non ho mai una precisa idea di ciò che sto per fare. Creo seguendo l’onda della fantasia e dello stato d’animo di quel momento. Non ho abbozzi di riferimento. Ho, piuttosto, dei ‘rituali’ preparatori. Prima di mettermi al lavoro, ho bisogno di purificarmi attraverso la meditazione. Ascolto musica e accendo candele e incensi per liberarmi di tutte le energie negative. Quando raggiungo uno stato di benessere interiore è come se avvertissi una sorta di ‘suggerimento’. Solo allora mi avvicino ad un busto nudo e disadorno e, iniziando ad immaginare una storia, lo ricopro di quella miscela di suggestioni che si sono formate dentro di me. Assecondando anche le ‘esigenze’ che, di volta in volta, l’abito stesso mi suggerisce mentre prende vita. Ciò significa che anche la storia è mutevole. Tutto è sempre ‘in fieri’.

Al fianco di ogni abito esponi anche una fiaba o una storia: ci spieghi perchè?
“I racconti esposti accanto ad ogni abito corrispondono alle storie, elaborate dalla mia fantasia, che hanno permesso la realizzazione dell’abito stesso. Per creare ho bisogno di una storia che mi emozioni, ho bisogno che si inneschi un rapporto tra persone, luoghi o profumi - anche non reali -, tale da risvegliare in me ricordi e sensazioni che posso tramutare in materia. Creare significa dare vita attraverso viaggi nell’immaginazione. Ma anche ridare vita. La carta che uso, ad esempio, è materiale che non serve a nessuno e che tutti getterebbero via. Per me, invece, ha solo bisogno di una storia che le ridia linfa vitale e anima. Perciò mi immergo nelle storie, immagino di poter tornare indietro nel tempo, di poter far rivivere qualsiasi momento o di cambiare il corso degli eventi. Ho un vero e proprio incontro con la mia opera. E immortalare la ‘fiaba’ che ha ispirato l’abito è un segno di riconoscenza nei confronti di quell’incontro. Oltre che un omaggio ai curiosi, qualora volessero immergersi nella vera essenza di quella creazione”. 

Che tipo di carta utilizzi?
“Non ho preferenze. Giornali, riviste, fumetti. Ma mi servo anche di collane rotte, come magari di fili di ferro che, prima, erano stati utilizzati per sorreggere le piante. Certo, la maggior parte dei vestiti è realizzata con carta velina. Ma solo perché questo tipo di carta abbonda in negozio, essendo utilizzata anche come involucro per le scarpe. Di norma, tutto ciò che non serve più a nessuno, io lo uso. Tutto ciò che per gli altri è ‘morto’, io lo prendo con me, lo plasmo e gli restituisco vita in altra veste. Ad esempio, tempo fa ho anche ‘costruito’ una borsa, fatta con le pietre di una collana rotta e dei vecchi stracci che avevo in negozio”.

I vestiti si possono acquistare? Se si, qual è il prezzo di una tua creazione?
“Si, i vestiti sono in vendita e il prezzo di un singolo capo può oscillare molto: dai 2.000 ai 4.000 euro. Dipende dal tempo che ho impiegato per la sua realizzazione e dai materiali usati. Tempo fa ho venduto un abito che mi era stato commissionato da una signora che desiderava esporlo nel salone della sua casa, in occasione della sua festa di compleanno. Ho dovuto crearlo rispondendo a specifiche richieste: non doveva essere un modello già presente in atelier, ma una creazione ‘su misura’, cioè ispirato alla committente e alla sua essenza, nessuno avrebbe dovuto vederlo e doveva essere corredato dalla fiaba o storia da cui era stato suggestionato per la creazione stessa. Un lavoro del genere ha richiesto molto tempo e molto sforzo emotivo. È normale che, in casi del genere, il prezzo poi lieviti un pochino”.

Gli abiti sono solo decorativi o si possono anche indossare?
“Non sono un sarto di professione. I miei vestiti sono creati direttamente sul manichino. Quindi, ogni singolo pezzetto di carta che utilizzo per ottenere merletti, ricami, voilant o pizzi, è poggiato sul busto ed è legato all’altro solo attraverso spille da sartoria. Perciò non ci sono cerniere, né cuciture e, di conseguenza, gli abiti non possono essere indossati. Per il momento hanno valore puramente estetico. Sono concepiti come sculture. E, infatti, non di rado capita che vengano utilizzati nelle mostre o nei decori di palazzi nobiliari”.

Quale sarà, se ce n’è una, la tua prossima sfida?
“Riuscire a far indossare uno dei miei capi ad una donna in carne e ossa e avere una sartoria tutta mia, nella quale dare vita agli abiti delle ‘principesse’. Perché ogni donna è una principessa e merita di sentirsi tale. Ogni donna merita un sorriso”. 

I lavori di Salvatore Cusimano li potete ammirare anche sul suo sito www.suggestionidicarta.blogspot.it

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Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
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