Parla l’ex sottosegretario agli Esteri e leader di Area socialista, Bobo Craxi: “Esiste una centrale politica degli attentati, che sceglie obiettivi e tempistiche”
Un’intervista a tutto campo con il coordinatore nazionale di Area socialista, l'on. Bobo Craxi, insieme al quale abbiamo affrontato le numerose tematiche, sia di politica interna, sia estera, che stanno preoccupando il mondo occidentale. A cominciare dagli attentati terroristici, che ormai da alcuni anni cadenzano le nostre estati, colpendo in quasi tutti gli Stati d’Europa. Ecco, qui di seguito, l’analisi che l’ex sottosegretario agli Affari Esteri ci ha delineato e proposto.
Onorevole Craxi, cosa pensa dell'ennesimo attentato di matrice radicalista islamica avvenuto a Barcellona? Quali sono i motivi che stanno alla base di questi fatti: difficoltà sociale, o fondamentalismo religioso?
“Le cellule dei giovani islamisti radicali sono presenti in ogni regione d'Europa. La mano violenta, dunque, è locale, ma la ‘testa’ che le guida sta altrove. Hanno scelto un obiettivo nel momento di massima fragilità politica della Catalogna, alle prese con il decisivo e controverso ‘snodo’ del referendum per lo scollegamento dalla Spagna e, al contempo, hanno voluto colpire Barcellona nella sua fase di massima vulnerabilità, per la presenza di migliaia di turisti durante la stagione estiva. C'è stata una grande e importante reazione improntata all'unita nazionale e alla sobrietà degli atteggiamenti politici. Ciò comprova come sia possibile isolare le cellule di questo terrorismo, che non é invincibile. E quanto sia fondamentale la cooperazione non solo fra gli Stati, ma anche nella società civile, che può essere di grande aiuto. Il problema rimane sul tappeto e le insidie non si arresteranno, anche se il Daesh, che rivendica gli attentati, sta perdendo terreno. La sensazione é che esista una centrale politica, che sceglie gli obiettivi e le tempistiche e che questa possa risiedere ovunque nel mondo. C'è una risposta ‘securitaria’ che, certamente, va attivata sviluppando un coordinamento internazionale; e c'è una risposta culturale, che si può e si deve sviluppare, innanzitutto, nella comunità islamica europea. Penso che, seppur lentamente, essa incominci a riguardare i centri organizzati e riconosciuti dagli Stati”.
Come giudica questi mondo di 'odiatori' che, sui social network, si ostinano a comporre la falsa equazione: terrorismo=immigrazione? Sono solo minoranze rumorose, oppure testimoniano un disagio crescente?
“Riattizzare l'islamofobia, come qualche ‘buontempone’ sta ricominciando a fare, magari ripubblicando i deliranti pamphlet di Oriana Fallaci, non mi sembra la risposta più idonea e appropriata, in una società che si dice evoluta e civile. In effetti, nei giorni che hanno seguito i fatti di Barcellona abbiamo dovuto leggere delle sintesi raccapriccianti, che uniscono lo sbarco dei migranti agli attacchi terrorristici. I giovani di origine marocchina avevano, in molti casi, il doppio passaporto, mentre le comunità islamiche sono presenti da decenni in tutta Europa: non risulta analoga esplosione di violenza negli anni precedenti. É evidente che vi é stata una ‘escalation politica’, in conseguenza degli interventi militari occidentali sia in Medio Oriente, sia nel nord Africa. La crisi fra sciiti e sunniti ha opposto le potenze del mondo arabo. E la manipolazione di molti gruppi settari é stata resa possibile anche dalla loro strumentalizzazione. Mi rendo conto che, innanzi a una situazione così complessa, la risposta più sbrigativa passi attraverso una semplice equazione, che può riguardare una grande massa di persone. Il dramma é che queste semplificazioni caricaturali sono rese anche da illustri opinionisti importanti sulla stampa nazionale. E questo é oggettivamente inaccettabile. D'altronde, la caduta di stile del segretario del Pd, che si è appropriato dello slogan leghista, la dice lunga sull'incapacità di analisi e sulla mancanza di freddezza di fronte a sconvolgimenti che segneranno il tratto di questo periodo storico, che vanno affrontati con giudizi e azioni che superino il momento emergenziale. In altre parole, il problema esiste, é crescente e non può essere negato o minimizzato. Ma non é con la propaganda politica che eviteremo un futuro di conflitti anche più aspri. Le classi dirigenti devono essere all'altezza di questi rischi e saperli prevenire. Per fortuna, ci viene incontro anche la Storia, con i suoi insegnamenti e anche gli strumenti moderni della dissuasione culturale e della pressione economica finalizzati a contenere sia le ondate terroristiche, sia quelle migratorie”.
Cosa potrebbe o dovrebbe fare l’Europa sul tema dell’immigrazione?
“Penso, innanziutto, che vada impostata una strategia di medio-lungo periodo, posto che sono stati accumulati ritardi i quali hanno accresciuto incomprensioni e tragedie: è difficile, in prospettiva, sviluppare un intervento che preveda solo il lato ‘securitario’, perché le ‘falle’ di un sistema normativo di respingimento si apriranno sempre. Le previsioni di lungo periodo non sono buone: conflitti e desertificazioni produrranno nuovi esodi. Quindi, non resta che un impegno di carattere planetario e un investimento massiccio sull’intero continente africano. Questa fase, che é di transizione ma non di distensione, non aiuta quei processi di condivisione che richiederebbero un impegno serio e condiviso fra Stati e nazioni che, sovente, non dialogano tra loro. L’abitudine a ‘chiudere le porte’ da parte di molti Paesi che, in passato, hanno cagionato la disperazione di buona parte del pianeta, scarica sui Paesi di frontiera il problema, ma a lungo andare questo non potrà che provocare nuove crisi. Siccome l’interdipendenza economica sta provocando squilibri e l’aumento demografico corre di pari passo, diverrà indispensabile, a un certo punto, un governo del fenomeno a livello di Nazioni Unite. In un certo senso, siamo di fronte al vero grande ‘banco di prova’ dell’evoluzione della specie umana: non si può pensare di tollerare a lungo uno squilibrio così vistoso tra nord e sud del mondo. Quindi, ciascuno dovrà diligentemente fare la propria parte. Gli italiani, un giorno, verranno menzionati come un popolo che non si é tirato indietro, pagando degli alti costi economici e sociali innanzi a questi fenomeni. Ora, però, il nostro ruolo di ‘salvatori delle patrie’ deve rientrare in una strategia globale, di livello europeo e mondiale”.
Qual è la sua opinione sul nuovo codice dei migranti per le Ong varato dal Governo Gentiloni? Riuscirà la collaborazione con le autorità di una Libia ancora troppo instabile per tenere sotto controllo la gestione dei flussi migratori?
“Regole di ingaggio e compiti chiari rendono meno emergenziale anche l’approccio umanitario e ‘snida’ interessi e rapporti ambigui fra mercanti di uomini e ‘destabilizzatori’ di professione. La stabilità libica resta un’incognita, ma ci sono, in ogni caso, delle evoluzioni e dei linguaggi più orientati al dialogo nelle classi dirigenti. Pensare di costituire un governo nazionale isolando Tobrouk é stato un errore, al di là dell’atteggiamento lungamente ostile di Haftar. La nuova amministrazione americana ha cambiato in corso d’opera i suoi interlocutori, accantonando l’idea della democratizzazione dei Fratelli musulmani, le cui propaggini violente hanno destabilizzato il Maghreb e il Medio Oriente. Il ridisegno delle alleanze comporta un approccio graduale e il ristabilimento degli equilibri interni dei singoli Paesi, posto che in Libia difficilmente potranno determinarsi le medesime condizioni che hanno consentito la lunga permanenza al potere del colonnello Gheddafi. Dunque, un patto fra le nuove classi dirigenti potrebbe ripristinare un minimo profilo statuale e un controllo più efficace ed efficiente del territorio”.
Come considera le attuali difficili relazioni tra Corea del Nord e Donald Trump?
“E’ una crisi molto pericolosa, poiché non si confrontano soltanto delle potenze militari, ma concezioni diametralmente opposte di come intendere la pace e la distensione, nel mondo e nelle aree dell’est asiatico. Non posso che confidare nella forza e nella capacità di persuasione che possono ancora esercitare le grandi potenze mondiali e gli stessi attori nel teatro. A un’escalation seguirebbe un’altra escalation e ciò, nonostante i roboanti annunci dei due leader che si fronteggiano, viene percepito benissimo tanto in Corea che negli Stati Uniti. Il problema, tuttavia, riguarda, per il futuro e per l’avvenire, il luogo istituzionale più idoneo per dirimere le controversie internazionali, se esiste ancora una ‘camera di compensazione’ dove può essere possibile proporre il dialogo e non lo scontro. Una nuova dicotomia Russia/Stati Uniti, fondata solo sulla lotta per la supremazia e non più su modelli politici differenti, non é più concepibile: i problemi sono, ormai, di carattere mondiale. E la complessità delle nostre crisi deve poter contare su un diritto internazionale che tutti intendono rispettare. Questa é la sfida del nostro tempo e, al di là delle apparenze, la nuova leadership americana, una volta riaffermata la sua egemonia, si dovrà dedicare a questo, pena l’isolamento e la rottura anche con i suoi alleati storici più stretti: noi europei dobbiamo far ragionare l’amministrazione americana”.
A diversi mesi dalla ‘Brexit’, quale dovrebbe essere, secondo lei, l’atteggiamento dell’Unione europea nei confronti della Gran Bretagna?
“Se non capisco male, una parte dell’establishment britannico, anche fra coloro che hanno spinto per la ‘Brexit’, comincia a riflettere sul ‘passo falso’ compiuto. Più si allunga la fase di transizione, più possono crescere le tentazioni di rovesciare quel verdetto referendario che si é pronunciato nel momento meno propizio per gli europeisti. Mantenere la Gran Bretagna come partner privilegiato determinerà, in un periodo medio-lungo, le condizioni più favorevoli per un rientro. Il punto, però, non é politico, ma economico: l’euro ha determinato la fine dell’egemonia del dollaro e ciò rende inevitabile l’alleanza fra i Paesi anglosassoni, che intendono proteggere i loro interessi. Mi auguro che non dovremo assistere a un altro conflitto mondiale per rinsaldare l’occidente. D’altronde, sovente gli americani dimenticano che l’Europa esiste proprio grazie a loro e che, quindi, dovrebbero sempre sentirsi garantiti dalla forza e dalla coesione europea, anche se sembra che facciano di tutto per indebolirla”.
Passando alla politica interna, qual è la sua opinione riguardo al ritorno in campo di Silvio Berlusconi, a oltre vent’anni dalla sua prima candidatura?
“La longevità in politica non può essere considerata un fattore negativo, anzi. Di fronte a problemi di natura interna e internazionale, l’esperienza non può che portare cose positive. Da un lato, il ritorno all’antico é un’implicita risposta alla ridondante, quanto inconcludente, retorica della ‘rottamazione’; inoltre, al ritorno di Berlusconi fa seguito, naturalmente, anche la stessa presenza nel dibattito pubblico di altre personalità della seconda e, persino, della prima Repubblica. La destra vede uno spazio politico, che si é riaperto in tutto il mondo, In Italia, essa é favorita dalle difficoltà della sinistra e dall’equivoco generato dal Governo Renzi, che ha praticato politiche che sono riuscite sia a irritare la sinistra, sia a deludere i suoi estimatori che stavano a destra, piuttosto numerosi. Per questo, ritorna in campo l’originale”.
Una sua considerazione sulle prossime elezioni del consiglio regionale che, a breve, impegneranno la Sicilia.
“Grandi manovre e grande agitazione sembrano gravitare attorno a questo voto. Naturalmente, la quasi concomitanza con il voto nazionale rende questo ‘test’ assai importante. D’altronde, la Sicilia, così come il voto milanese, sono sovente anticipatori degli umori elettorali e delle alleanze politiche, nonostante si rinnovino semplicemente istituzioni locali. In Sicilia, tuttavia, si percepisce la caratteristica che é propria dell’Isola, ovvero quella di essere una ‘Regione-Nazione’, gelosa della sua autonomia, ma anche orgogliosa di avere prodotto le classi dirigenti del nostro Paese, in molti campi: l’attuale capo dello Stato e il presidente del Senato sono due esempi fulgidi. Tanto il centro-destra, quanto il centro-sinistra, allo stato, rappresentano le loro divisioni, quest’ultimo dovendo ache scontare un giudizio non positivo della Giunta uscente, al netto delle numerose realizzazioni di cui non si parla e una polemica eccessiva nei confronti di Crocetta, che spesso é stato lasciato solo su diversi fronti. Sebbene apprezzata dai sondaggi, la proposta e il candidato dei ‘cinquestelle’ non appaiono ancora idonei per governare una Regione decisiva per l’Italia e il Mediterraneo. Anche per la Sicilia sarebbe necessario esprimere coalizioni e candidature che rappresentino un punto di equilibrio accettabile fra passato e presente. Nel campo progressista, penso che una figura di grande autorevolezza potrebbe mettere d’accordo tutti: il sindaco di Palermo, al netto delle sue mille stagioni e contraddizioni, in questa fase sarebbe stata una figura idonea, ma non sarà della partita. In ogni caso, sarebbe meglio ricercare una candidatura fra le persone già impegnate in politica, piuttosto che ricorrere a personaggi buoni solamente per una campagna elettorale, ma sprovveduti nell’approccio amministrativo. I problemi non possono attendere l’apprendistato. Spero che, in un futuro prossimo, possa emergere nuovamente una figura di riferimento proveniente dalla grande tradizione socialista dell’isola, come per esempio quella del giovane Lauricella”.
Esiste ancora un Partito socialista in Italia? E quali personaggi potrebbero, oggi, rifondare il socialismo riformista italiano?
“Formalmente si, politicamente no. A cinque anni dal nostro rientro nelle istituzioni e in occasione della celebrazione del 125° anniversario della fondazione del Partito, ciascuno di noi ha diritto a esprimere un parere e a tracciare un bilancio dell’esperienza più recente. E, a costo di ripetermi, non posso non dire che il bilancio é stato negativo. Non si hanno, alle viste, prospettive di natura elettorale autonome. E non si é nemmeno riusciti a riportare nel dibattito pubblico italiano e nella sinistra la questione socialista nel momento più alto del riaffermarsi di una questione sociale poderosa, in Italia, in Europa e nel mondo. Un Partito socialista non dico ‘robustissimo’, ma sufficientemente autorevole sul piano politico, avrebbe potuto interloquire nel dibattito pubblico, riorganizzare attorno a sé nuove e vecchie energie, partecipare con ben altro ‘piglio’ dialettico alla grande discussione che si é aperta nel centro-sinistra, diviso troppo spesso sulle questioni di leadership e carente di iniziativa comune sull’analisi complessiva della grande questione sociale che si é aperta nel mondo a causa di una globalizzazione senza regole e senza democrazia. Il problema, oggi e domani, riguarda non tanto la rifondazione burocratica di un soggetto politico, ma la partecipazione di una prospettiva socialista moderna alla discussione attorno ai temi fondamentali che riempiranno l’agenda pubblica, europea e mondiale. Come affrontare le varie crisi senza venir meno ai presupposti fondamentali del socialismo democratico, che sono fondati innanzitutto sulla giustizia sociale e sulle libertà pubbliche che non possono essere messe in discussione? Chi dice che oggi appellarsi alla socialdemocrazia sta dalla parte della conservazione, afferma, per certi versi, una verità: se conservare non i privilegi ma i diritti della democrazia e del lavoro é sinonimo di immobilismo, io preferisco restar fermo, piuttosto che abbracciare, senza alcuna protezione, le scommesse della finanza, dei mercati e dei poteri irresponsabili. Il socialismo può rivivere, innanzitutto, per questo”.
Cosa pensa della legislatura che sta finendo?
“Luci e ombre: doveva essere transitoria per rinnovare la Costituzione ed é diventata permanente, riproducendo il vizio antico del ‘trasformismo’ parlamentare, che ha generato solamente maggioranze variabili, determinate dalla centralità del Pd. Il quale, in 5 anni, ha sfasciato il sistema di alleanze con cui entrò in parlamento. Il ‘ciclone Renzi’ ha fatto il resto. Perché il ‘ciclone’, come diceva Pieraccioni: “Passa, piglia e porta via..”. Aveva così fretta di risolvere tutto ciò che non andava in Italia, da scambiare la democrazia di un grande Paese per quella di una media città. E, ovviamente, ha fallito la sua missione, come era prevedibile”.
Si aspettava qualcosa di più dai 5 anni di centrosinistra alla guida del governo del Paese?
“Bisogna essere realistici: non di più di quello che é stato fatto e realizzato, semmai qualcosa di meno, soprattutto se penso a cose inutili e dannose come la riforma dello Statuto dei lavoratori, o il ‘bislacco’ tentativo di riforma delle istituzioni e della legge eelettorale. Rilevo che, per sobrietà e rigore, pur senza grandi entusiasmi, il Governo Gentiloni-Minniti appare, se non altro, più attento agli equilibri e alle forme che presiedono le responsabilità pubbliche, oltreché più assertivo sulle difficilissime sfide a cui siamo sottoposti nel mar Mediterraneo”.
Cosa penserebbe suo padre di questo periodo storico?
“In realtà, mio padre Bettino questo periodo storico a grandi linee lo aveva vaticinato, nei suoi aspetti più generali e nei suoi problemi fondamentali, che avrebbero dovuto essere aggrediti per tempo. Ho riascoltato frasi profetiche sulle migrazioni di massa che ci avrebbero aggredito, attratte dalle nostre ‘luci’ se non avessimo contribuito per tempo ad ‘accendere’ anche le loro. Così come é divenuta celeberrima la profezia su quest’Europa che, senza una rivisitazione dei parametri di Maastricht, si sarebbe rivelata “un limbo nella migliore ipotesi, un inferno nella peggiore...”. Egli, quindi, parla e continua a parlarci, esattamente come aveva promesso di fare. Il nostro compito é quello di continuare ad ascoltarlo, perché le sue idee continuano a tracciare una linea di pensiero e a illuminare una condotta politica più responsabile”.
NELLA FOTO: IL LEADER DEL PARTITO SOCIALISTA ITALIANO, BETTINO CRAXI
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