Secondo l'esponente socialista, l'intesa a 4 tra Grillo, Renzi, Berlusconi e Salvini era basata su una ridicola fretta di andare a votare, un metodo che qualifica in modo chiaro l’inadeguatezza delle attuali leadership: adesso è necessario prendersi una pausa di riflessione
La legislatura sembra volgere al termine esattamente com’era cominciata: con l’impossibilità di dare stabilità politica al nostro Paese. Balza sempre più agli occhi come la formula dei Partiti ‘leggeri’, o personali, oppure ancora guidati da leadership ‘padronali’, sia entrata in una crisi irreversibile, capace solamente di esacerbare ancor di più gli animi. A questo punto, con l’estate ormai alle porte, più di qualcuno sta pensando di chiedere alle forze politiche una pausa di riflessione, finalizzata a individuare un percorso politico praticabile per l’intero sistema democratico preso nel suo complesso. Ne abbiamo parlato con l’onorevole Bobo Craxi, punto di riferimento di una vasta area di socialisti, laici e riformisti, pronti a cimentarsi in un coraggioso tentativo di ricostruzione e di rilancio del centrosinistra italiano in grado di far emergere l’Italia dall’attuale ‘trappola’ di populismi, demagogie e incompetenze in cui sembra essere finita. Ecco qui di seguito il parere di un esponente politico che ha vissuto molto da vicino l’infinita ‘transizione’ italiana, la quale non sembra essere riuscita a condurci da nessuna parte.
Onorevole Craxi, innanzitutto può darci il suo giudizio rispetto a quanto accaduto in questi giorni sulla nuova legge elettorale?
“La legge elettorale, ennesimo fallimento di questi ultimi vent’anni, era un tentativo mal congegnato di rifare il verso alla democrazia tedesca con il condimento di alcune ‘furbizie’ tutte italiane. La manovra era quella di mettere ‘fuori gioco’ una parte non secondaria delle forze democratiche di questo Paese, nonché le vistose dissidenze all’interno dei ‘Partiti personali’, ormai in crisi, che stanno producendo un ‘calvario’ parlamentare dal quale sarà difficile, per i quattro contraenti, uscirne senza ‘ammaccature’...”.
Molti hanno parlato di un ritorno al sistema proporzionale con soglia di sbarramento, ma in realtà si trattava di un modello più ‘ibrido’: è così?
“La filosofia era quella di un ritorno alla democrazia dei Partiti, fatto salvo il fatto che i Partiti, così come li abbiamo conosciuti, non esistono più e che quelli di natura personale stanno entrando in una crisi dissolutiva che, purtroppo, coincide con la crisi del nostro sistema istituzionale, in un momento delicato per la vita del Paese. La forzatura referendaria ha reso assai complicati i correttivi del cosiddetto ‘porcellum’, che in fondo erano abbastanza semplici e avrebbero salvaguardato un impianto per lo meno rappresentativo della nostra democrazia politica. Questa ridicola fretta di andare a votare qualifica in modo chiaro l’inadeguatezza delle attuali leadership politiche: mi auguro che arrivi, non solo dal Parlamento ma anche dalla figura garante delle nostre istituzioni, un messaggio chiaro sulla necessità di prendersi una pausa di riflessione”.
L’idea dei ‘renziani’ rimane quella di una polarizzazione dei flussi, senza dichiarare prima insieme a chi si vorrebbe governare e per fare cosa: non è un’ambiguità evidente?
“E’ una linea ‘avventurista’, fondata sull’anticipazione del voto peraltro non condivisa né dalla comunità economica, né da un certo numero di ‘personalità’ del centrosinistra. Renzi difficilmente tornerà a Palazzo Chigi. E tutta la strategia che ha messo in campo è destinata a franare. Purtroppo, la Storia ci ha insegnato che i referendum rappresentano degli ‘snodi’ politici e determinano nuove fasi. Egli, in un certo senso, avendolo perso così rovinosamente tenta di prolungare una fase che, ormai, si è chiusa e che non avrà alcun futuro politico”.
Parliamo dei socialisti: alla fine, i ‘nenciniani’ sembrano orientati a rimanere un ‘cespuglio’ all’ombra del Pd, mentre la frazione da lei guidata sembra direzionata a un accordo con la formazione di Roberto Speranza e Giuliano Pisapia: è una fotografia corretta? Le cose stanno così?
“Si, la 'corrente' di Nencini, che purtroppo si fregia dell’antico nome della nostra tradizione politica, ha stretto un ‘patto di ferro’ con Renzi e Lotti e riceverà in cambio, forse, un ‘diritto di tribuna’, sempre che il sistema elettorale mantenga il suo carattere ‘octroyeé’. Io non guido ‘frazioni’, ma sto raccogliendo, in queste settimane, molte espressioni e presenze socialiste nel Paese affinché la nuova alleanza politica che si dichiara di sinistra non sia priva dell’essenziale apporto dei socialisti. Esiste una ‘questione socialista’, nella sinistra italiana, ancora aperta. Ed esiste una forte propensione, nella sinistra italiana e in quella europea, a rimettere in discussione tutte le dottrine con le quali si è pensato di affrontare la ‘globalizzazione’, venendone travolti. Governare democraticamente questi processi implica una ripresa del carattere internazionale della nostra proposta. Ma tutto ciò prova, una volta di più, come il tentativo socialista degli anni ‘80 fosse l’ultima significativa esperienza di una sinistra che non si piegava alle pressioni e alle ingerenze esterne. L’esperienza dell’Ulivo, infine, è superata dai fatti: la nuova stagione in cui questione democratica e questione sociale vengono affrontate di ‘petto’ è cominciata il 4 dicembre. E da lì è necessario ripartire”.
Esiste realmente un’area, a sinistra, dove sarà possibile tornare a un’idea della politica e della socialdemocrazia capace di proteggere le fasce più deboli della società?
“Le aree politiche non esistono senza un reale e determinato impegno affinché si sollecitino ad affrontare, con maggior efficacia e unità, le sfide del nostro tempo. E’ chiaro che, in una fase di sfiducia verso le istituzioni, prevalgano gli accenti ‘populisti’, ma vi sono esempi a cui guardare nei quali anche i Partiti della sinistra tradizionale hanno saputo individuare una strada più idonea per far coincidere gli interessi generali del Paese con la tutela delle classi popolari, come per esempio nel caso portoghese. Tuttavia, senza una robusta forza di esperienza politica come quella socialista è difficile riorganizzare una maggioranza di sinistra, pena lo sconfinamento nelle avventure ‘populiste’ senza prospettiva. In ogni caso, a me pare che l’alleanza del cambiamento possa, fin da ora, già contare sulle diverse esperienze e su diverse personalità che si sono misurate con la prova del governo nazionale e locale. E ciò renderà la proposta di questa sinistra più competitiva”.
Passiamo alla politica estera: come giudica la tendenza isolazionista dell’amministrazione Trump?
“E' un isolazionismo per modo di dire, certamente protezionista in materia economica e revisionista sul terreno del ‘multilateralismo’, come nel caso degli accordi di Parigi, ma assolutamente ben presente nella difesa degli interessi strategici americani nel mondo. E tale influenza, sul teatro asiatico, nel golfo Persico, nel Mediterraneo e persino in Europa, consente agli americani di mantenere una linea di protezione verso alcuni Paesi e un certo interesse per le aree più deboli, affinché si rafforzino o si indeboliscano sempre più. Il distacco degli inglesi dell'Europa naturalmente determina l'anche l'indebolimento della linea anglosassone, ma al tempo stesso accresce l'obbligo di occuparsi dell'Europa, dove vi sono imponenti interessi strategici e militari”.
Non crede che gli americani stiano imboccando una strada totalmente illusoria, rispetto a un capitalismo ormai globalizzato?
“Gli Stati Uniti non mettono in discussione il capitalismo e la sua forza globale, bensì ne sono, di fatto, i progenitori. Essi stanno cercando di adottare un ‘doppio standard’, in particolare in ‘entrata’, cioè nei confronti dei prodotti provenienti dell'Europa, o in alcuni settori in cui hanno perso competitività e cercano di recuperarla attraverso forme surrettizie di embargo. Tuttavia, è vero che si tratta di una via ‘illusoria’, che presto dovrà fare i conti con l’impraticabilità”.
Il Regno Unito dopo la Brexit e la signora May in difficoltà per il deludente risultato delle elezioni politiche di questi giorni: non c’è il rischio che Scozia e Irlanda del Nord stiano pensando seriamente a rendersi indipendenti dalla Gran Bretagna pur di rimanere nell’Unione europea?
“Theresa May non ha ottenuto quel mandato forte che aveva chiesto per trattare le condizioni di uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea: indubbiamente, ciò crea una condizione d’incertezza politica. Tuttavia, riguardo alle possibilità di una ‘deflagrazione’ del Regno Unito, ritengo che una separazione concordata risulterebbe addirittura vantaggiosa per l’Inghilterra, che potrebbe mantenere legami solidi con i nuovi Stati e, contemporaneamente, svolgere una funzione di ‘ponte’ economico - e anche politico - con l'Europa. Non si può dire lo stesso della reiterata richiesta del governo catalano di promuovere il referendum che sancirebbe la separazione della Catalogna dalla Spagna. In ogni caso, tali ‘frazionismi’ rappresenterebbero un danno soprattutto per l'Europa, poiché introdurrebbero una nuova fase di ‘egoismi separatisti’ in un ‘momento-chiave’ di rilancio dell'Unione. Una ‘ripartenza’ che potrebbe finalmente incidere sulle tante cose che non vanno solo se avvenisse nel segno di una grande unità, di una nuova consapevolezza dell’Ue in merito al proprio ruolo centrale nel mondo e non cedendo al ‘frazionismo’, anche quando esso è motivato, come nel caso catalano, da radici storiche che hanno sempre opposto la Castiglia alla Catalogna. In tutti i casi, il ‘frazionismo’ sarebbe l’ennesimo segnale di una grande debolezza politica dell’Unione europea”.
Il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo: come si dovrebbe articolare, secondo lei, la nostra politica estera in futuro? Siamo ormai destinati a occuparci prioritariamente del Mediterraneo?
“Probabilmente sono i protagonisti che muovono la nostra politica estera a non riuscire a dimostrare quel peso specifico che determinerebbe maggiormente la funzione essenziale di un grande Paese come il nostro, che si affaccia sul Mediterraneo. D'altronde, questo rimane il terreno principale su cui l'Italia è destinata a esercitare un ruolo di primo piano, anche se non tutte le ‘mosse’, in questa legislatura, sono state azzeccate. Tuttavia, va sottolineato che grazie a un certo attivismo propositivo ha visto gli italiani recuperare un ruolo laddove gli era stato vistosamente sottratto, penso soprattutto e specificatamente alla Libia. Sullo scenario tradizionale del conflitto mediorientale che oppone gli israeliani e palestinesi, mi pare che, in assoluta continuità con il Governo Renzi, anche Gentiloni abbia scelto di prediligere un rapporto speciale con Tel Aviv, rovesciando una politica molto più assertiva che è stata alla base della nostra politica estera per oltre quarant'anni. È una questione che dovrà essere corretta. Anche perché, il terrorismo di matrice islamica non pone la questione palestinese come un problema politico. E quello del terrorismo non può essere un alibi per non occuparsi più della pace, che invece potrebbe far scaturire e determinare un ‘volano’ di sviluppo economico e un grande segnale positivo per tutta l'area”.
NELLA FOTO: BOBO CRAXI