La proposta del leader dei 5 Stelle, Beppe Grillo, pone di nuovo al centro del dibattito politico la possibilità di rendere il nostro Paese uno Stato federale. Tra incomprensioni e speranze disattese, la Storia della nostra unificazione nazionale ha sempre ruotato intorno a questa possibilità, che non è mai riuscita a realizzarsi
Ha fatto molto scalpore la dichiarazione apparsa sul blog di Beppe Grillo circa la possibilità di adottare un sistema federale in Italia. Secondo il leader del M5S, infatti, “è ormai chiaro che l'Italia non può essere gestita da Roma, da Partiti autoreferenziali e inconcludenti (…) Per far funzionare l'Italia è necessario decentralizzare poteri e funzioni a livello di macro-regioni, recuperando l'identità di Stati millenari, come la Repubblica di Venezia o il Regno delle due Sicilie”.
A seguito di queste dichiarazioni si è generato un vespaio di polemiche e attacchi, anche sullo stesso blog dell’ex comico genovese, tra quelli che si definiscono preoccupati da una possibile compromissione dell’unità nazionale italiana, a chi invece vede nel federalismo un modo per rafforzare tale unione. Il concetto stesso di federalismo sembra essere poco chiaro. Pochi sanno che il primo a formulare l’ipotesi di un federalismo italiano era stato Carlo Cattaneo (Milano, 15 giugno 1801 – Lugano, 6 febbraio 1869), il patriota protagonista delle cinque giornate di Milano, proponendo un sistema federale molto simile a quello degli Stati Uniti d’America e della Confederazione degli Stati svizzeri (della quale conosceva l’organizzazione e lo sviluppo economico grazie a un viaggio compiuto nel 1848).
Le posizioni di Cattaneo e di molti altri federalisti a lui contemporanei possono essere riassunti in quello che è l’attuale motto dell’Unione europea: “Uniti nella diversità”: i popoli italiani erano troppo eterogenei per potersi unire in uno Stato fortemente centralizzato senza soffrire le conseguenze legate a questi forti squilibri, specialmente di natura economica.
La Storia del Risorgimento, come sappiamo, è andata in tutt’altra direzione e, in parte, le problematiche che nel corso degli anni lo Stato italiano ha dovuto affrontare (e che solo in minima parte sono riconducibili alla “Questione meridionale”) sono state l’avverarsi di queste previsioni. Dopo la seconda guerra mondiale e la fine dell’esperienza fascista, le speranze di rendere l’Italia uno Stato a carattere federale sembrarono potersi riaccendere: dopo l’esperienza della monarchia fortemente centralizzata dei Savoia e la dittatura mussoliniana, la nuova Costituzione approvata nel 1948 sembrava per la prima volta dare una risposta alle istanze federaliste grazie all’istituzione delle Regioni. I nuovi enti avrebbero dovuto essere, nelle intenzioni iniziali, delle vere e proprie autonomie territoriali, di cui il Senato della Repubblica avrebbe dovuto essere la rappresentanza politica. Il progetto iniziale è stato ripensato e l’autonomia legislativa delle Regioni è stata limitata dall’art.117 C. a determinate materie.
Le istanze autonomiste territoriali sono state alla base della nascita della Lega Nord che dal 1991, facendosi portavoce degli “interessi del Nord”, ha fatto di questo pensiero il proprio cavallo di battaglia, dapprima sposando l’ideale federalista e, in seguito, trasformandolo in lotta indipendentista. Proprio grazie alle pressioni e all’operato della Lega Nord è stata attuata nel 2001 la più importante revisione costituzionale della Repubblica, la famosa riforma del Titolo V, che ha per argomento l’ordinamento regionale. L’approvazione della norma di revisione Costituzionale può essere considerata il primo vero tentativo di rendere le Regioni Italiane degli enti autonomi dalla potestà dello Stato. In particolare, i nuovi testi degli articoli 117 e 119 C. attribuiscono alle Regioni stesse una propria autonomia legislativa e fiscale nella gestione delle entrate e delle uscite di spesa pubblica.
Sembrerebbe, quindi, che le basi per l’attuazione di un progetto federalista oggi ci siano, con le Regioni che sono in grado di legiferare e approvare i propri bilanci in piena autonomia rispetto allo Stato centrale. Ma, alla fine della giostra, la situazione rimane immobile: forse la novità più sostanziale, in questo frangente, è la decisione del Governo Renzi di trasformare il Senato in una specie di Camera delle Regioni e delle autonomie territoriali, ponendo fine al bicameralismo perfetto e ritornando al progetto originario della Costituzione del 1948. Un progetto federalista e non le cialtronerie su eventuali secessioni, buone soltanto per raccogliere voti, potrebbe infatti rappresentare una soluzione valida per rendere lo Stato italiano meno burocratico e più 'snello' nella sua organizzazione. Anche se si tratta di un disegno che richiede uno sforzo politico ed economico che pochi sono disposti a sostenere.
Anzi, a dire il vero, pochi prendono seriamente in considerazione la proposta rilanciata da Grillo sul suo blog, temendo che una trasformazione dell’Italia in Stato federale possa essere il preludio a una possibile secessione. Come se non fossimo un Paese già abbastanza diviso.