Le recenti elezioni amministrative, che si concluderanno il prossimo 19 giugno con i ‘ballottaggi’ in quasi tutti i principali capoluoghi italiani, capitale compresa, hanno delineato uno ‘scenario’ quasi da prima Repubblica: tutti dicevano di aver vinto, a Trieste piuttosto che a Salerno, nel tentativo di ‘mascherare’ le evidenti ‘débacle’ nelle città principali. L’unica situazione che ci è apparsa politicamente ‘normale’ è sembrata quella milanese e, proprio per questo motivo, abbiamo chiesto un parere a un ‘meneghino doc’: Vittorio Michele Craxi, detto Bobo, impegnato, negli ultimi tempi, a svolgere, con la sua nuova componente denominata ‘Area socialista’, una coraggiosa funzione di ‘spina nel fianco’ sia nei confronti del Psi di Riccardo Nencini, sia nei riguardi del Partito democratico dominato, in questa fase, da Matteo Renzi. Ecco la sua analisi intorno al caotico panorama politico uscito dalle urne.
Onorevole Craxi, innanzitutto le chiediamo un giudizio alla luce dei risultati di questo primo turno di elezioni amministrative. A noi sembra di essere innanzi a una ricca serie di ‘débacle’: è così?
“La ‘dèbacle’ più rilevante riguarda il tasso di astensionismo degli elettori, che è la ‘spia’ essenziale per misurare la tenuta democratica del sistema e del Paese. Per quanto riguarda il premier è abbastanza evidente che sia entrato in un’area di ‘sofferenza’ elettorale. Il mito dell’autosufficienza non regge ed è altrettanto chiaro che la mossa di spostare l’attenzione sul referendum per distrarre l’opinione pubblica sulle amministrative non ha funzionato. Nella politica democratica bisogna anche contemplare la sconfitta, ma nelle parole e nel Dna del primo ministro quest’ipotesi è ‘scartata’. E ciò crea disorientamento in molta parte della sinistra, di cui Renzi dovrebbe essere il leader. E, in più di qualche caso, anche a me provoca un certo sconcerto”.
C’è forse un problema di ‘supponenza’ da parte delle nuove generazioni, sia nelle destre dei vari Salvini, Meloni e Marchini, sia a sinistra, con Renzi e Orfini?
“La ‘videocrazia’ mette sulle spalle di giovani leader grandi e diffusi problemi, alcuni strutturali e antichi, altri nuovi e moderni di assai difficile soluzione. Per questo, il disincanto, la paura e la rassegnazione sovrastano la speranza, che pure dovrebbe essere il ‘segno’ di una classe dirigente di nuova generazione. E’ questa la ragione del successo degli outsider ‘grillini’, che si presentano con facce nuove e robuste, mescolando indignazione e confusione programmatica: un mix che, evidentemente, funziona. Non risolverà la malattia della crisi di sistema in corso, ma si avrà la sensazione che qualche cosa di nuovo sia in atto”.
La destra dice che non si tratta di una ‘debacle’ e la sinistra è convinta che quella di domenica scorsa non sia stata una sconfitta: insomma, chi sono i veri vinti e i veri vincitori?
“Grandi sorprese non ce ne sono state. Il duello politico si è ‘spostato’ al nord, ovvero nelle aree più influenti del Paese: Milano e Torino sono decisive per la tenuta del Governo e per la sfida che non tarderà fra opzioni politiche rinnovate. Io non credo a un’Italia ‘tripolare’. Per questo motivo, insisto a richiamare la necessità di rimettere mano alla legge elettorale e a bocciare questa frettolosa e insensata riforma costituzionale. L’area di Governo, in ogni caso, ha già perso: il Pd ha perso, perché non ha una capacità elettorale espansiva e deve necessariamente rivedere pragmaticamente la propria ambizione dell’autosufficienza. Quanto alla destra, a me pare, comunque, che essa sia in grado di promuovere una proposta politica che sappia tenere assieme identità valoriale e concretezza politica. Ciò significa che il ‘dopo-Berlusconi’ non priverà affatto quella parte politica di un ‘approdo’...”.
È possibile una rinascita delle idee politiche di Bettino Craxi, in un mondo politico come quello di oggi?
“Certamente, non esiste più quel mondo politico, ma continua a essere presente nella nostra società la necessità di una “democrazia governante” come Egli amava definirla e di “un socialismo liberale adatto ai tempi”, così come immaginava per una sinistra moderna, dove per “liberale” significa ancorato ai bisogni di emancipazione diffusa di libertà dal bisogno e non nell’accezione ‘scriteriata’ di un mondo, di un’Europa e di un’Italia soffocata dalle regole o dagli spiriti ‘cannibali’ dell’economia guidata dalla finanza e dai banchieri, siano essi centrali o locali. Di idee politiche mio padre ne ha avute molte. Quelle meno conosciute, espresse nel tempo dell’esilio, meriterebbero una rilettura attenta: aveva intuito che i vincoli europei che avevamo sottoscritto ci avrebbero presto strozzato. Purtroppo, è stato profetico”.
Lei è milanese e, assistendo alla bella e corretta sfida tra Sala e Parisi, Milano è apparsa uno dei pochi luoghi di ‘normalità’ del Paese: lei cosa ne pensa?
“Milano, pur nella complessità dei problemi di una metropoli, ha affrontato i ‘venti’ della crisi in una oggettiva condizione di vantaggio. Di più, essa può contare su una tradizione amministrativa ben consolidata, che certamente non è il frutto della seconda Repubblica, ma di quasi un secolo di gestione riformista e socialista. Detto questo, la ‘normalità’ di cui si parla è probabilmente riferita ai due ‘candidati-fotocopia’, entrambi vecchi ‘city-manager’. Sono intercambiabili, perché entrambi esprimono la propria lontananza dalla politica identitaria e valoriale, anche se Stefano Parisi è meno mendace quando si riferisce alla sua giovane militanza socialista, rispetto a Sala, che invece ha improvvisato la sua inclinazione verso il ‘mito’ della rivoluzione cubana”.
Nencini sembra aver ‘mimetizzato’ il Psi all’ombra del Pd, mentre l’area di minoranza che a lei fa riferimento appare, senza offesa, una semplice ‘zattera’ in mare aperto: da cosa dipendono tutte queste difficoltà dei socialisti in Italia?
“Io continuo a pensare che la questione socialista, in Italia, sia una cosa maledettamente seria. Per questo motivo, ritengo si debba smettere di fare cattiva propaganda: il Psi, alle ultime elezioni, non ha conquistato il 5,8% dell’elettorato che non votava nelle grandi città. E questa versione ufficiale non fa onore all’intelligenza di chi la ‘spaccia’ come una verità. Senz’altro, ci sono prove di ‘resistenza in vita’ in molti comuni italiani, con alcune punte davvero eccellenti, ma il problema della prospettiva è molto serio. Noi di ‘Area socialista’ restiamo disponibili a un dialogo unitario, ma a una condizione: che si prenda sul serio la questione della nostra prospettiva elettorale, che non può essere né l’ennesimo accordo col Pd, né tantomeno la costruzione di una ‘bad company’ degli alleati di governo (Alfano, Verdini) così come prospettato, fra le ‘righe’, da Nencini. Pensiamo sia necessaria una lista socialista che superi lo sbarramento, sapendo che le intenzioni di Renzi sono quelle di concludere l’alleanza con i Partiti minori ritenendo, a torto, che l’autosufficienza lo metta al riparo da rischi. Ho visto che all’interno del Partito socialista italiano, il direttore de ‘l’Avantionline’ ha incominciato a ‘smarcarsi’ dalla linea ufficiale del Partito. Lo ripeto: Area socialista, che in questi giorni ha triplicato le adesioni ai Comitati per il ‘No’ al referendum, può tornare a dialogare se verranno messe su un piano di parità le due posizioni referendarie e se, immediatamente dopo la consultazione popolare, si appronterà un piano per dare vita a una lista politica socialista aperta alle tendenze laiche. D’altronde, è questa la tendenza maggioritaria tra i nostri compagni, che non intendono svolgere un ruolo comprimario nella battaglia ‘personale’ che sta conducendo Renzi. C’è uno spazio autonomo di ripresa e di iniziativa politica socialista, al quale non dobbiamo rinunciare, per nessuna ragione. E i soli che possono, a pieno titolo, vantare questo segno identitario siamo noi: non capisco perché continuare a esercitare tale funzione in una ‘chiave’ totalmente ‘subalterna’. C’è, inoltre, il problema di separare la guida del Partito dalla funzione governativa: aver fatto finta di eludere questo problema ha concentrato su Nencini ogni genere di critica. Se scioglie questo nodo, il Partito torna unito; se, invece, intende rinchiudersi in un ‘bunker’ personale, la scissione è inevitabile, perché Nencini non avrà l’autonomia sufficiente per interpretare la nuova fase politica che si è aperta”.
Ma non sarebbe meglio svolgere questa funzione di ‘bussola’ socialista, laica e riformista, entrando a far parte a pieno titolo nel Partito democratico?
“Questo Pd, dominato dalla figura di Renzi, non può attrarre che tendenze opportunistiche e ‘trasformiste’ della società italiana: un’altra guida che fosse in grado di riconoscere e valorizzare la funzione storica e attuale dei socialisti italiani avrebbe ‘orecchie’ meno disattente. Noi dobbiamo continuare a ricercare il consenso nella società italiana, riorganizzando una posizione che salvaguardi la tradizione e il contenuto valoriale unito al pragmatismo che impongono i tempi in cui viviamo. La posizione socialista deve continuare ad avere, nella sinistra italiana, il posto che gli spetta e che gli deriva dalla sua Storia. Per questo, molti si ribellano e si indirizzano in diverse direzioni, perché l’assenza di una posizione unitaria e autonoma dei socialisti viene vissuta come un grave ‘vulnus’ politico. La crisi del Pd e di Forza Italia apre degli spazi immensi: sarebbe un delitto non tentare di occuparli unendo il nostro ‘vascello’ anche a quello di altri, purché sia chiaro ed evidente il nostro segno identitario”.