Dopo 13 anni dalla scomparsa di Bettino Craxi, ultimo vero grande leader del socialismo riformista italiano, il suo ricordo riemerge sempre più nitidamente rispetto alla sbiadita fotografia che la campagna elettorale di questi giorni ci sta mostrando dello scenario politico italiano. Ma come è stato possibile un degrado qualitativo così inesorabile delle nostre classi dirigenti? E in che modo è possibile tentare un'inversione di tendenza in un Paese sempre più bisognoso di quelle grandi riforme che proprio Bettino Craxi fu il primo a indicare come soluzione necessaria e urgente per la modernizzazione italiana? Ne abbiamo parlato con il figlio Bobo, candidato capolista nel Lazio della lista del Psi per il Senato della Repubblica.
Bobo Craxi, quali sono le cause dello scadimento qualitativo verificatosi nella politica italiana a 13 anni dalla scomparsa di Bettino Craxi?
“Non saprei giudicare in termini di qualità della politica i cambiamenti che sono subentrati nella democrazia del nostro Paese negli ultimi quindici anni. I fattori dell'involuzione certamente sono tali da ritenere che, più che di una vera seconda Repubblica, questi anni sono stati la 'coda' della prima, con tutti i suoi nodi irrisolti. Questioni istituzionali e questioni politiche generali, intrecciate alle difficoltà economiche, delineano un quadro che non suscita speranza ma preoccupazione”.
È stato il crollo delle ideologie a portarci verso il ‘supermercato’ delle idee?
“Le idee per far uscire il Paese dalla crisi esprimono tendenze e orientamenti che, in gran parte, sono figlie della divisione ideologica del Novecento. D'altronde, alla sbornia collettivista ha fatto seguito l'ubriacatura monetarista e liberista. Il fronte della divisione è sempre caldo e la sintesi non è dietro l'angolo. Il fronte del progresso, tuttavia, oggi ha fatto passi in avanti ed è approdato a una più convincente e matura visione socialdemocratica, magari diversamente declinata, ma che corrisponde a un’esigenza reale, che è quella non di sovvertire l'ordine capitalistico, ma di condizionarlo con politiche sociali più virtuose”.
Non pensa si sia esagerato in senso opposto, rispetto alle vecchie ‘appartenenze separate’ della prima Repubblica, che una certa ‘chiarezza’ di punti di vista e una loro autenticità di fondo la possedevano?
“In italia ci si sta tardivamente avvicinando a una condizione simile a quella delle altre democrazie europee. Naturalmente, diversi sono i nomi dei Partiti, confusi ancora i proponimenti dei leader, ma c'è la consapevolezza che il bipolarismo all’italiana può e deve avere uno sviluppo e un esito più ‘europeo’, con una sinistra e una destra rappresentate, rispettivamente, da riformisti e moderati liberali e cattolici”.
Quale può essere la migliore via d’uscita per l’Italia? Un ritorno alla politica degli anni ’80, oppure un’ulteriore evoluzione verso una ancor vaga e ipotetica terza Repubblica?
“L'evoluzione è in atto: non facciamoci trarre in inganno dalle sigle e dalle personalità. Si deve naturalmente assestare il quadro politico. Tuttavia, le tendenze richiedono uno sforzo di riduzione del peso dei movimenti antisistema che hanno contrassegnato la seconda Repubblica. Certo, il quadro deve evolvere nella direzione europea. Diversamente, se si insisterà nel difendere la peculiarità italiana, avremo ancora e per molto tempo un'anomalia formale, che si riverbererà sul quadro politico sostanziale”.
Oggi il suo Partito, il Psi, è schierato con la coalizione di centrosinistra guidata dal Pd: ritiene sia questo il raggruppamento principale per la nascita di una futura forte sinistra socialdemocratica? Oppure, tale evoluzione dovrà ancora superare numerosi ‘passaggi’ intermedi con tempistiche medio-lunghe?
“I rapporti di forza fra noi e loro sono diventati tali che è impossibile stabilire un’influenza sull’evoluzione del Partito democratico in senso socialista. Io penso che, nei prossimi anni, più che lavorare per rafforzare questa tendenza democratica del Psi, sarà necessario rafforzare la tendenza socialista della sinistra italiana”.
Bettino Craxi viene spesso ricordato per il suo carisma, ma i politici attuali sembrano possedere un’idea diversa, piuttosto ‘vuota’ ed edonista, di tale qualità, che non si identifica più nell’autorevolezza, bensì si traduce in un modo spettacolarizzato di comunicare promesse che, il più delle volte, non corrispondono a un’effettiva capacità di Governo: le cose stanno così?
“Non saprei dire e non intendo fare paragoni che si rivelerebbero impropri: ognuno è figlio del suo tempo, come dice una bella canzone ed è artefice del proprio destino. So che la fatica del governare è ben altra cosa rispetto alla semplicità del promettere, o alla fredda contabilità. Si tratta di guidare una nave che ha a bordo milioni di passeggeri e deve sempre trovare le rotte appropriate in un mare le cui correnti, oggi, sono determinate da ‘venti’ che soffiano al contrario e che vengono indirizzati da altri continenti. Per questo, la serietà della responsabilità, in politica, è una virtù che non tutti posseggono”.
Un’ultima domanda, che consideriamo importante: lei ritiene che la legislatura che nascerà dopo le prossime elezioni del 24 e 25 febbraio possa essere ‘costituente’ e portare le forze politiche a trovare un’intesa attorno ad alcune riforme istituzionali che appaiono ormai necessarie? In sintesi, è la ‘volta buona’, questa, secondo lei?
“A parole, tutti si pongono il problema delle grandi riforme, ma molto dipenderà dai rapporti di forza in campo e dalle forze che usciranno dalle urne. Come cittadino me lo auguro, come riformista lo auspico, da socialista cercherò di lavorare perché ciò avvenga”.