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24 Novembre 2024

Bobo Craxi: “Berlusconi non si arrenderà, ma la sua stagione politica è finita da un pezzo”

di Francesca Buffo
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Bobo Craxi: “Berlusconi non si arrenderà, ma la sua stagione politica è finita da un pezzo”

A seguito dei recenti fatti giudiziari del senatore Silvio Berlusconi, in questi giorni è di forte attualità il paragone storico tra la dolorosa vicenda di Bettino Craxi e quella del leader del centrodestra italiano. Da molte parti sono state sollevate analogie e differenze, affinità e divergenze, opinioni e punti di vista non sempre appropriati e opportuni: una sorta di tendenza verso una visione ‘controfattuale’ della Storia, un ragionare a posteriori confrontando personaggi e contesti mediante ragionamenti astratti, quasi si trattasse di un raffronto calcistico tra il Paulo Roberto Falcao dei primi anni ’80 e il Lionel Messi di oggi. Ecco pertanto il parere di Bobo Craxi, che ha vissuto in prima persona la vicenda, politica e umana, del padre Bettino e che può dunque fornirci un giudizio meno approssimativo in merito a due vicende particolarmente controverse della nostra Storia repubblicana

Bobo Craxi, le ha dato fastidio, in questi giorni, il continuo paragonare le vicende di suo padre Bettino con quelle del senatore Berlusconi? Ci sono senz’altro delle affinità, ma anche delle divergenze evidenti tra queste due storie, lei non crede?
“È vero che le storie possiedono un’analogia, nel senso che sono gli unici ex primi ministri del dopoguerra ad aver subito processi e condanne: mio padre per reati ‘politici’, Berlusconi per fatti attinenti alla sua attività imprenditoriale e per altre vicende assai meno imprenditoriali. Comuni avversari tendono al paragone, augurandosi una medesima fine, spietata per Berlusconi. Viceversa, i ‘tifosi berlusconiani’ parlano di un’analogia improbabile poiché, a loro dire, Craxi fu l’emblema di una politica corrotta e impopolare, mentre Berlusconi veleggia sull’onda del successo e del consenso. La verità, come sempre, sta nel mezzo: sono casi politici e non giudiziari, ciascuno rappresenta una storia a parte, a sé stante. Fa ‘velo’ naturalmente, in tutto ciò, il loro antico rapporto di amicizia, ma i destini politici e personali sono profondamente diversi. Berlusconi non patirà le medesime sofferenze, ne sono sicuro, né sceglierà la via più politica, ma più impervia, dell’esilio, per alcuni una fuga, per altri una ricerca interna ed esterna. Berlusconi si batterà, anche se ormai è divenuta una battaglia per l’onore pubblico, dato che sul piano politico la sua stagione è finita da un pezzo”.

Siamo proprio sicuri che, nel caso della frode fiscale sui diritti televisivi Mediaset su cui la Cassazione ha recentemente emesso sentenza definitiva, il teorema del ‘non poteva non sapere’ non fosse supportato da evidenti prove sostanziali? In fondo, è difficile credere che il proprietario di un’azienda così importante non abbia dedicato almeno una lettura ‘veloce’ ai bilanci delle proprie attività, o che non fosse minimamente al corrente delle sue strategie: le risulta possibile che anche la corte di Cassazione sia vittima di un forte pregiudizio nei confronti di Silvio Berlusconi e che non abbia ben valutato prove, riscontri e risultanze dei precedenti gradi di giudizio?
“L’impostazione di fondo del processo, in Italia, è indiziaria. Quindi, il formarsi autonomo del giudizio insindacabile di chi deve esprimere un verdetto offre poche vie di scampo, anche di fronte alla fragilità della consistenza stessa della prova. Berlusconi è stato indubbiamente sottoposto a un’accanita iniziativa giudiziaria e gli osservatori neutrali, tra i quali annovero anche me stesso, non possono non rilevarlo. La sua condanna paradossalmente ha posto più problemi ai suoi avversari politici che non al suo ‘fronte’, il quale sta invece ritrovando nuova linfa politica. Tuttavia, ritengo inaccettabile non prendere atto del verdetto: lo si può discutere, ma non si può pretendere un ‘double standard’ e poi accettare le conseguenze politiche dell’iniziativa della giustizia italiana. Pacificazione significa anche questo. E non si può tradurre in una richiesta di impunità”.

Nel centrodestra italiano esistono, secondo lei, personalità politiche in grado di sostituire degnamente la leadership ‘berlusconiana’, magari facendo finalmente emergere questa parte politica dalla propria sindrome qualunquista?
“Per convenzione, noi abbiamo assegnato il terreno della destra a questo ‘neopopulismo’, ma su tale versante si esercitano anche altri protagonisti della vita pubblica italiana. La destra ‘normale’ di cui tanti ‘blaterano’, qui da noi non esiste. Persino il fascismo, catalogato come movimento di destra, conteneva nel suo seno spinte di orientamento diverso. Esiste un pensiero moderato, sovente espressione del mondo cattolico conservatore, così come esiste una destra economica, che riesce a penetrare in tutti i fronti della politica. Ed è quella che mette più preoccupazione, poiché guidata dal dogma dell’infallibilità del mercato e dal dominio del denaro. Io credo che nascerà un ‘doppio fronte giustizialista’: il primo guidato da una concezione etica dello Stato, il secondo più vicino al rinnovamento dottrinario della Chiesa di Papa Francesco. Un giustizialismo sociale meno aggressivo, ma non meno populista”.

La difficoltà ad aprire la fase ‘post Berlusconi’ dipende, forse, dal problema del reperimento di maggiori risorse economiche? In sostanza, Berlusconi vinceva perché era ricco e poteva sostenere una campagna elettorale permanente?
“Nella ‘video-democrazia’, come amava definirla mio padre Bettino, chi meglio padroneggia il ‘mezzo’ ha maggiori ‘chances’ di penetrare nel cuore e nella testa della gente. Le elezioni, in quanto grande offerta di prodotti da ‘comprare’, hanno spesso visto Berlusconi primeggiare poiché la sua ‘vendita’ era assai più efficace. La vendita del prodotto politico, più che la politica vera e propria, poiché il primo era solo frutto di una propaganda efficace al limite della truffa. Questa ‘videocrazia’ ha inoltre mutato i toni e i temi della politica e, alla fine, il fronte avverso si è dovuto adeguare con un populismo più ‘soft’, ma meno convincente. E’ chiaro che Grillo è ‘figlio’ di questa stessa cultura ‘videodemocratica’, arricchita dalla retorica della rete. Ci siamo ormai addentrati nell’epoca dell’informazione: pretendere di fermare questo processo è quasi impossibile, ma cercare di governarlo è una necessità per una buona politica democratica”.

Veniamo allo ‘strano razzismo’ serpeggiante nel Paese: secondo lei deriva da isolati focolai di arretratezza mentale e antropologica, oppure gli sbarchi di clandestini e disperati sulle coste dell’Italia meridionale richiedono una regolamentazione diversa dei flussi migratori e un ulteriore rafforzamento degli accordi bilateriali con i Paesi di origine?
“Pretendere di prevedere i flussi immigratori in un momento di grande instabilità politica nel nord Africa e nel subsahara è molto difficile. Invocare un sostegno europeo è invece corretto, come altrettanto corretto sarebbe promuovere politiche rafforzate di cooperazione mediterranea. Ci sono Paesi come la Tunisia che hanno dovuto accogliere 80 mila profughi libici nei loro ‘campi’ e non hanno fatto un fiato. Noi appariamo egoisti e incolti quando ci lamentiamo degli sbarchi a casa nostra. L’immigrazione fuori controllo è fonte di preoccupazioni e mette in crisi la sicurezza pubblica. Dunque, governare e non semplicemente subire il fenomeno rimane il primo dei nostri doveri. Fare propaganda politica sulle disgrazie altrui è, invece, un atteggiamento vigliacco, un arretramento della nostra civiltà, un abbandono delle nostre radici, che sono proprio quelle di un popolo migratore. Non vedere e capire che ‘loro siamo noi’ è cieco e assurdo”.

Lei non reputa i recenti insulti leghisti nei confronti del ministro Cecile Kyenge frutto di una cattiva selezione del personale politico del movimento guidato da Bobo Maroni?
“È il frutto velenoso dell’involuzione di un movimento che doveva cambiare il Nord e che oggi si ritrova a cavalcare slogan da tifoseria calcistica. Penso che la nuova fase porterà via con sé anche questi miasmi della seconda Repubblica”.

Il Psi in autunno celebrerà il suo terzo Congresso nazionale: per fare cosa?
“Il Congresso assolve un compito statutario ordinario, ma in questo caso, salvo rinvii dettati dal precipitarsi degli eventi politici, ha un compito straordinario. Siamo entrati in una fase completamente diversa della vita del Paese, della democrazia di tutto l’occidente e della vita stessa dei Partiti che traggono la propria linfa vitale e ispirazione dai movimenti novecenteschi. Noi sappiamo benissimo per primi che un Partito che difende orgogliosamente la propria identità e che cerca di mettersi in sintonia con le migliori esperienze delle socialdemocrazie europee avrebbe bisogno di ben altro peso per poter contare e far valere ragioni antiche e nuove, per orientare anche nuove generazioni verso la politica socialista, riformista liberale e democratica. Sappiamo che la Storia, recente e passata, limita questa prospettiva e, spesso, ha frustrato queste nostre legittime ambizioni. Si è chiusa una fase anche per noi. Tuttavia, non si è ancora avviato un nuovo cammino per la Repubblica e per i Partiti che sono nati dopo di noi. L'Europa politica, dei popoli e delle nazioni rimane una grande sorgente; il socialismo italiano, legato a quello europeo, una grande speranza da coltivare. Dobbiamo dare una nuova possibilità alla nostra esperienza politica, aprire una ‘breccia’ per le nuove generazioni, immergersi nella discussione globale che coinvolge tutti i movimenti progressisti del mondo sul nuovo modello di sviluppo che intendiamo dare all’intera umanità, nel quadro del nuovo equilibrio mondiale che si viene determinando. Per questa ragione hanno ancora un senso i Partiti, la democrazia fondata su di essi e, ancor di più, un Partito che si definisce socialista, italiano ed europeo. Per cercare di raggiungere questo obiettivo, cioè quello di una larga alleanza nel segno del socialismo europeo, è dunque necessario ingaggiare una lotta che è anche lotta di sopravvivenza politica. Ciò che è razionale in politica, in Italia appare spesso illegittimo, vecchio e superato: è tuttavia possibile continuare a provarci”.

La linea politica portata avanti dal segretario Nencini ha ottenuto il rientro dei socialisti in parlamento, ma talvolta è apparsa ondivaga, o quantomeno incerta: è un giudizio ingeneroso?
“Il Psi che nacque a Montecatini ereditò la scomparsa storica del 2008: per la prima volta dal dopoguerra i socialisti erano scomparsi dalle istituzioni parlamentari. Gli anni della diaspora e delle infamie si erano dunque conclusi con la nostra dissoluzione. Nel 2013, l’obiettivo di ritornare è stato raggiunto, pagando per questo non pochi prezzi politici. Con il senno del poi è evidente che accettare posti in parlamento contro la nostra dissolvenza è stato un errore, così come non aver presentato un candidato di ‘bandiera’ socialista per il centrosinistra. Le difficoltà di oggi sono figlie di quegli errori e di quella fase: sarebbe ingeneroso non riconoscerlo. Riqualificare una linea politica, ridare una prospettiva e un senso di marcia a una comunità politica fortemente indebolita non è e non sarà semplice, ma la fase è gravida di molteplici cambiamenti e opportunità: fare la ‘guardia repubblicana’ della governabilità non può e non deve essere il nostro ruolo esclusivo. Non possiamo contare né sugli ‘aerei propagandistici’, né su apparati ancora oggi mastodontici, né su particolari solidarietà nel mondo economico o della cooperazione, né tantomeno su quelle del sindacato riformista, il quale non ha incoraggiato, in questi anni, i nostri tentativi. Non parliamo, poi, degli aiuti ‘esterni’, che invece abbondano in altri campi della politica in direzione di movimenti e personalità. Dobbiamo fare appello a tutti i socialisti ovunque collocati, in uno sforzo di generosità verso la nostra Storia e per l’avvenire di una prospettiva socialista e democratica, che garantisca ai lavoratori un presidio di tutela dei loro interessi, ai giovani una prospettiva in cui riconoscersi e alle donne del nostro Paese un movimento che faccia della ‘parità effettiva’ una lotta quotidiana contro tutte le insidie che avanzano su molti terreni”.

Non crede che anche il Psi abbia i suoi problemi di ricambio generazionale e di reclutamento del personale politico? Qualche critica per una gestione ‘burocratica’ emerge da più parti…
“Affinché si promuova una ‘svolta’ che assomigli a una ‘scossa’, anche il problema della guida del Partito è all’ordine del giorno. Ne è stato consapevole anche Riccardo Nencini dopo le elezioni: egli ha ‘portato la croce’ per cinque anni con uno sforzo personale notevole, ha raggiunto il risultato che ci proponevamo ed è evidente che il lungo e difficile lavoro ha logorato anche le sue forze. Non sono alle viste né congiure sleali, né tradimenti ‘coperti’, ma un’esigenza di ricambio politico della gestione, nel segno della collegialità, ma anche della discontinuità. Dobbiamo favorire un rinnovamento generazionale per i prossimi anni. E questo rinnovamento, se saremo uniti e convincenti, ci sarà. Dobbiamo dare l’idea di un Partito fiero e autonomo e, per questa ragione, il Partito socialista dovrebbe essere guidato da un gruppo dirigente possibilmente non eletto nelle file di altri Partiti: sarebbe un'ulteriore incomprensibile anomalia, il segno di una subalternità. Il problema dei socialisti non è l’eccessiva burocrazia, né la mancanza di democrazia interna, ma quello di restituire a un numero più largo di italiani la dignità e l’orgoglio di appartenere a una grande Storia. Ci sono giovani che hanno aderito alle idee socialiste dopo i fatti del 1992/94, sono saliti su una ‘zattera’ mentre in fianco a noi c’erano ‘corazzate’ e ‘portaerei’ piene di illusioni, speranze, promesse di potere. Se lo hanno fatto ciò significa che non hanno ritenuto sbagliate le ragioni per le quali, per molti anni, il Psi è stato il Partito al contempo più antico e moderno della democrazia italiana. Questo senso di orgoglio non va smarrito e va ripreso attraverso una chiave di lettura originale e moderna, non ‘passatista’. Chi vi parla vuole contribuire con coerenza a un possibile buon esito dello sviluppo della fase futura. I tempi della Storia sono più lunghi di quelli dell’attualità contingente: è una marcia più lunga, più difficile, ma non meno affascinante per chi vuole continuare ad affrontarla con vecchi e nuovi compagni di strada”.


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
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